“Filo da torcere”, per il sostegno e l’autonomia delle donne
Ogni borsa è una piccola parte della storia di vita di queste ragazze. Sono le ‘borse narrative’ realizzate all’interno dello spazio donna “Filo da torcere” da alcune donne italiane e immigrate. In ogni borsa o bambolina artigianale c’è, infatti, un piccolo foglietto di carta che spiega la scelta dei disegni ricamati sulle stoffe.
“Filo da torcere”, nato quattro anni fa, all’interno del complesso salesiano di Santa Chiara, a due passi dallo storico mercato di Ballarò, si è attivato inizialmente come centro di ascolto e di sostegno alle donne italiane e straniere. Dopo un percorso itinerante, dentro Filo da torcere, sono sorti una sartoria narrativa, uno spazio di ascolto, uno spazio donna bambino per il potenziamento genitoriale e la scuola di relazione e di cultura italiana.
La sartoria narrativa
Per il momento, dentro la sartoria narrativa le donne sono 7 tra italiane, nigeriane e bengalesi. Si tratta di giovani donne, alcune delle quali hanno avuto alle spalle una storia difficile.
Quello che viene realizzato dentro la sartoria narrativa, viene poi periodicamente esposto e proposto in vendita in occasioni di eventi e iniziative interculturali.
Tra le ragazze della sartoria, c’è Joice che appunta tutto in un diario dove ha tracciato con fotografie e pensieri il significato che ha voluto dare ad ogni borsa.
“Sono a Filo da torcere da 3 anni e mezzo – sottolinea soddisfatta la giovane nigeriana di 39 anni –. Quello che faccio è soprattutto un lavoro dentro di me perché ci metto tutta me stessa. Ogni disegno che ricamo sulle borse è una parte della mia storia di vita che mi aiuta a crescere e dare un senso sempre più profondo a quello che faccio. Ho due figli e Dio mi deve dare la forza di riuscire un giorno, quando sarò pronta, anche a costruirmi un buon futuro”.
I fiori di Dolly
“In una borsa ho disegnato due fiori colorati che per me rappresentano i miei due bambini, di 8 e 4 anni, che crescono sempre più. Noi genitori siamo lo stelo e le radici pronti a sostenerli sempre – dice anche Runa del Bangladesh che ha 35 anni -. Quest’attività mi piace molto perché mi fa stare bene sia con me stessa che insieme alle altre donne”. Dolly, anche lei del Bangladesh e mamma di due figli, sta rivisitando la sua vita sempre attraverso le borse narrative.
“Sto ricamando tre fiori in questa borsa – spiega Dolly –. Il fiore grande sono io come mamma e i due fiori piccoli sono i miei due figli. Ho realizzato anche una borsa solo con un grande fiore e la borsa della luce tutta gialla”. “Siamo fatti per gioire davanti alla bellezza. È importante cercarla ogni giorno anche nelle piccole cose – scrive nella sua borsa con il grande fiore Dolly –. Dietro il più arido dei cespugli può nascondersi sempre un meraviglioso fiore”.
La relazione al centro
Ad accompagnare queste giovani donne con grande passione e dedizione è una giovane suora carmelitana che ha vissuto 8 anni in Camerun.
“All’inizio quando sono arrivata per la prima volta a Santa Chiara – racconta suor Maria Teresa Murgano, counselor e mediatrice culturale di scuola gestaltica – notavo che c’erano tante donne italiane e di altre nazionalità che venivano a chiedere la spesa alimentare e altri beni di prima necessità. Mi sono chiesta che fosse davvero poco dignitoso che queste donne, in forma anonima, potessero essere aiutate soltanto con questa forma di ‘elemosina’. Ho riflettuto allora sul tipo di attenzione e di ascolto diverso che si poteva dare loro. Da questa riflessione è nato tutto il percorso che ha portato alla nascita di ‘Filo da torcere'”.
“Abbiamo iniziato con una piccola stanza in cui davamo ascolto alle donne per capire che altri bisogni avessero al di là di quelli strettamente materiali – continua suor M.Teresa –. Ascoltandole, infatti, abbiamo compreso che tra gli altri bisogni c’erano quello di relazione, di fare gruppo, di imparare la lingua italiana e di tirare fuori le loro risorse per uscire dall’invisibilità. Dopo avere scelto alcune donne, italiane e straniere è nata la sartoria narrativa “Filo da torcere” in cui ognuna di loro si racconta attraverso le decorazioni e i disegni che decide di ricamare sulle borse. Abbiamo donne che hanno sofferto umiliazioni, violenze fisiche e psicologiche e altri problemi e che attraverso la realizzazione di borse o di altri manufatti oggi stanno ritrovando se stesse, rimettendosi in piedi. Tra di loro si è creato un clima di armonia in cui si aiutano a vicenda”.
“La relazione è sempre al centro di tutto il lavoro tanto che viene sempre scattata con chi compra la borsa una fotografia con la donna che l’ha realizzata. Una donna un giorno ha realizzato una borsa con delle lacrime in cui ogni lacrima aveva un colore e una dimensione diversa. Le lacrime che mi hanno colpito di più sono state quella nera, la più grande di tutte, che era il saluto al suo Paese di origine e la lacrima arancione di gioia per avere incontrato questo gruppo in cui per la prima volta ha ricominciato a riscoprire la bellezza delle relazioni”.
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