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Il palermitano senza qualità (della vita)

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di Giuseppe Savagnone

Si parla molto di qualità della vita e si fanno graduatorie, in cui la città di Palermo è sempre agli ultimi posti. Non sono sicuro che siano del tutto veritiere. La qualità della vita di una città è data anche da fattori che le indagini statistiche non considerano e che sono fondamentali. Prendete il colore del cielo e quello del mare, la mitezza del clima invernale, la bellezza dell’ambiente architettonico… Tutte cose che i palermitani “emigrati” in altre città, del centro-nord, che sulla carta hanno una migliore qualità della vita, non riescono a dimenticare, anche se là gli autobus funzionano.

Quello che si può e si deve misurare, invece, è la qualità dei servizi, che incide, evidentemente, su quella della vita, anche se non la esaurisce. E sotto questo profilo  la graduatoria riguarda in primo luogo le amministrazioni locali. Riporto, a questo proposito, i dati di un recente studio della Svimez  (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) che ha messo a confronto la capacità di sei grandi città italiane – Torino, Milano, Roma, Napoli, Bari e Palermo – di fornire alcuni servizi base (dallo smaltimento dei rifiuti agli asili-nido, dalle scuole materne ai servizi cimiteriali, dall’assistenza scolastica ai trasporti).

Il risultato non ha nulla di sorprendente, ma lo riporto lo stesso: posto il livello 1 come rapporto ottimale tra spesa effettuata e fabbisogno stimato, i comuni del centro-nord (da Roma inclusa in su) arrivano a un punteggio medio di 0,87, quelli del sud a uno dello 0,48. Beh, un po’ più della metà, osserverà qualcuno in vena di cercare consolazioni. Solo che, andando a verificare comune per comune, si scopre che  Palermo si ferma allo 0,40, a fronte, per esempio, di Roma, che arriva allo 0,94!

Scomponendo i dati, si ha una verifica drammatica di questo dislivello. Prendiamo una voce che ha una particolare valenza umana – anche perché si ripercuote sulla condizione delle donne e sulla loro possibilità di accedere al lavoro – , quella relativa agli asili-nido.  I comuni di Roma e di Milano investono in questo servizio oltre 3.000 euro a bambino; Bari 1.804; Torino 1.467; Napoli 1.160. E Palermo? Ah, sì, Palermo. Il comune di Palermo 834 euro a bambino.

I risultati sono quelli che conosciamo: donne disperate, che sono costrette a lavorare per sbarcare il lunario, ma non sanno a chi lasciare i loro piccoli, anche perché spesso non hanno i soldi (molte di loro sono extra-comunitarie) per ricorrere agli asili dei privati.

Sui trasporti e sullo smaltimento dei rifiuti siamo senza parole, e del resto  non c’è bisogno di dire nulla: abbiamo sotto gli occhi la situazione drammatica della nostra città (quanto ai secondi, proprio in un momento in cui la relativa tassa assume livelli insostenibili!). Una battuta sui cimiteri: stamattina, passando davanti a un’agenzia di pompe funebri, leggevo il seguente avviso posato su una bara in esposizione: «Si cedono posti disponibili» (si suppone, al camposanto). Anche morire è un problema, a Palermo.

La domanda che tutti da sempre ci facciamo è: perché tutto questo? Perché, restando a vivere qui, dobbiamo pagare il cielo e il mare con questo degrado? Certo, non bisogna dimenticare che tutte le grandi metropoli oggi, in Italia, hanno dei problemi. E sappiamo bene che, con lo slogan che interdiceva di “mettere le mani nelle tasche degli italiani”, il governo precedente a quello attuale ha ridotto le tasse ai ricchi, diminuendo, in compenso, i contributi agli enti locali e mettendoli così in condizione di non poter più fornire i servizi che su quei contributi si reggevano.  Ma le cifre fornite dall’indagine della Svimez parlano di soldi che altrove si spendono per i cittadini e da noi no, anche se paghiamo imposte non inferiori a quelle di altre città.

Non ho risposte da dare. Ma vorrei tanto vivere in una città dove, oltre a godere di una splendida natura, non si dovessero notare, come parte integrante del paesaggio, cumuli maleodoranti di immondizie, e, nella trasparenza solare delle nostre giornate invernali, si vedessero passare anche gli autobus.

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