Lc 2, 1-14 (evangelo della Notte di Natale)
25 dicembre 2013
In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. 2 Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria. 3 Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città. 4 Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide. 5 Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. 6 Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. 7 Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. 8 C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. 9 Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, 10 ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: 11oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. 12 Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». 13 E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 14«Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».
L’adorazione, Guido Reni (1575–1642), 1630-164,
Museo Nazionale di San Martino, Napoli
Tutto il mondo occidentale è contrassegnato, in questi giorni, dall’apice della retorica del Natale. Corse folli ai regali in un sottofondo distratto di mielose canzoncine con contorno di spruzzate di neve artificiale sulle vetrine dei negozi; riunioni familiari in cui il piacere di rivedersi troppo spesso soccombe di fronte alla sostanziale indifferenza dei reciproci vissuti ed alla paura che esplodano tensioni sopite; auguri a poco prezzo, insensati eccessi alimentari e spreco di risorse; il tutto a rendere quei pochi giorni di riposo, sufficienti solo a ritornare al lavoro, più stanchi e depressi di prima.
A Palermo, bisogna riconoscerlo, si deve fare uno sforzo maggiore che in altri posti per entrare nella retorica del Natale.
Qui le luminarie scarseggiano rispetto a tempi non lontani. I volti dei commercianti non riescono a nascondere l’ansia che la propensione al consumo cittadino rimanga al di sotto delle aspettative. Anche il clima ci si mette: il nostro tiepido dicembre ci ha ormai abituati ad una temperatura mite che rende sempre più improbabile poter pensare di incontrare le renne e gli slittini di un paesaggio imbiancato dalla neve che un Natale come si deve porta con sé.
In questo contesto di effervescente banalità, la forzata retorica della bontà, degli affetti familiari e del dono (talvolta ecologico solo perché riciclato) paradossalmente risulta tanto più stucchevole a chi sta bene, quanto odiosa a chi soffre, a chi è in carcere, a chi vive sulla sua pelle il male che c’è nel mondo e che il giorno di Natale non accenna a sparire.
Ma se stiamo attenti e poniamo il nostro sguardo sulle Scritture, ci accorgiamo che una certa retorica coinvolge anche la nostra percezione di ciò che c’è alla base del Natale.
Il vangelo della veglia di Natale, ad esempio, è quello di Luca, l’unico evangelista che ci racconta i particolari della nascita di Gesù. Ci aspetteremmo la grotta, il presepe, il bue e l’asinello che riscaldano con il loro calore un infreddolito bambinello Gesù, deposto sulla paglia. Invece, nelle pagine di Luca non c’è traccia di grotta, non c’è il bue, né l’asino, non si sa neanche se è inverno, anzi potrebbe essere persino una bella serata estiva o primaverile. Per non parlare dei magi, misteriosi soggetti che compariranno più in là e che non sono né tre, né re.
Il racconto lucano della nascita di Gesù parte, invece, da un riferimento che sembra storico ed, in realtà, è molto teologico.
È un po’ come se oggi si dicesse, In quei giorni… ai tempi di Obama e Putin, quando Letta e Alfano guidavano il governo ed Orlando era il sindaco di Palermo…
Luca non è un cronista e rimangono assolutamente incerti i riferimenti storici ai personaggi dell’epoca, ma ciò che viene in evidenza è che, nel momento della nascita di Gesù, storia e fede si incontrano, l’oggi della salvezza è proprio il nostro oggi, non un ideale futuro da attendere, non un glorioso passato che non c’è più: è con le nostre contagiose logiche di potere, diffuse a livello mondiale, territoriale o locale, sia nel mondo laico, sia all’interno della Chiesa, è con questi uomini, immersi in mezzo a una realtà che viviamo con le sue mille contraddizioni, che la Speranza si fa carne in mezzo a noi.
Di questa realtà difficile, Giuseppe era ben consapevole. Sapeva di non essere padre del figlio di sua moglie. Sapeva che quel censimento era vissuto dal popolo ebraico come un atto di arroganza dal potere romano (sul censimento, cfr. 2Sam 24; Num. 1, 1-3; Es 30,11-16). Sapeva che avrebbe dovuto affrontare un lungo viaggio con la moglie incinta per farvi ossequio. Ma la sua casata era di Betlemme, la stessa Betlemme di Efrata che Michea prefigurava come la patria del dominatore di Israele (Mic 5,1) ed ognuno doveva registrarsi nel proprio territorio d’origine (almeno così intendevano gli ebrei). Forse Giuseppe avrebbe sperato altro. Evidentemente non aveva forza e mezzi per riuscire ad ottenere qualcosa di diverso. Dunque si carica su di sé la sua povertà, i suoi dubbi, le sue impotenze e si mette in marcia per arrivare a Betlemme.
Anche Maria, giovane promessa sposa (secondo alcuni autori, non poteva che essere già sposa ed il fatto di presentarla ancora come fidanzata è un modo delicato per far capire al lettore che il marito non è il padre del figlio che porta in grembo), aveva appena sentito dalle parole dell’Angelo che il frutto del suo seno sarebbe stato il Figlio di Dio, il Messia tanto atteso. Aveva sinceramente creduto in un progetto straordinario che già da subito, però, cominciava a far traballare ogni categoria umana. Forse ella aveva umanissimamente ipotizzato qualcosa di più altisonante per un ruolo così straordinario. E invece il Dominatore delle genti non era così potente da garantirle nulla più che un riparo da caravanserraglio all’aperto, un garage dell’epoca.
“E così il Figlio di Dio, venuto ad abitare tra gli uomini, trova posto proprio tra coloro per i quali non c’era posto: Gesù viene alla luce come un figlio di persone escluse dall’ospitalità, di poveri pellegrini in cerca di una dimora. Ma un figlio così, nato nella povertà, nell’umiltà, nella marginalità, chi poteva riconoscerlo? Solo i poveri e gli umili: l’angelo che annuncia questa nascita a un pugno di pastori che vegliano nella notte accanto al gregge ci ricorda che ormai la povertà e l’umiltà sono i criteri essenziali per discernere la presenza di Dio!” (E. Bianchi ).
Il Messia nasce, dunque, ultimo tra gli ultimi. È una fiammella di luce che si accende, non nei palazzi dei potenti, non all’interno dei raffinati convegni frequentati dagli intellettuali, non nelle stanze degli alti prelati, ma tra gente disprezzata e irrilevante agli occhi del mondo. Tuttavia non irrilevante agli occhi di Dio. Ed è forse questa la buona notizia.
Il quadro di Guido Reni, che è stato inserito sopra, rende bene la luce propria della inerme creatura appena nata, bisognosa di tutto, ma potente tanto da illuminare i volti rugosi dei pastori che le si accostano adoranti. Ecco la buona notizia per i poveri. Forse solo per loro, perché solo i poveri possono comprenderla.
Nel giorno di Natale, Dio si fa povero, si fa uomo. E noi festeggiamo il suo farsi povero accanto alle nostre povertà. Laddove noi siamo impotenti, piegati dalla vita, lì dove è la nostra verità, possiamo trovare un aiuto, da parte di un Dio che si fa nostro fratello.
Lorenzo Jannelli
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