di Valeria Viola
Fino al 23 febbraio 2014, nel nuovo spazio espositivo dell’Ara Pacis a Roma, sono in mostra alcuni mirabili dipinti provenienti dalla National Gallery of Art di Washington; si tratta di opere di autori della seconda metà dell’Ottocento, della cerchia di Monet ed i suoi. Non sono presenti opere universalmente riconosciute, come la statua polimaterica della piccola danzatrice raffigurata da Edgar Degas o l’autoritratto di Vincent Van Gogh del 1889, che sono rimaste in America, ma altri lavori meno noti eppure interessantissimi per comprendere le diverse sfaccettature di questo movimento che rivoluzionò la pittura moderna.
Come ebbe a dire il direttore della National Gallery, Earl A. Powell, il fascino di questa raccolta sta soprattutto nella coerenza interna che da subito si coglie, coerenza dovuta al fatto che “i pittori dell’avanguardia francese del tardo Ottocento tendevano verso traguardi estetici simili”. Per noi italiani c’è forse una ragione di attrazione in più: nei nostri musei sono oggettivamente pochissimi i dipinti degli artisti francesi ed olandesi del periodo, nonostante siano documentabili le connessioni tra loro ed i contemporanei pittori italiani che ne subirono il fascino e l’influenza.
L’allestimento della mostra, didatticamente efficace, permette di approfondire i temi principali della pittura impressionista e post-impressionista, ovvero i paesaggi en plein air, la ritrattistica, la figura femminile e la natura morta, attraverso una carrellata di eccezionali dipinti di Bonnard, Cézanne, Corot, Degas, Gaugin, Monet, Manet, Renoir, per citarne solo alcuni. In coda è anche indagata la relazione di completamento professionale che fu tra Pierre Bonnard ed Edouard Vuillard, del gruppo dei “Nabis”.
Particolarmente istruttivo è uno dei lunghi pannelli inseriti nel percorso che mostra la relazione tra questo tipo di pittura e le innovazioni della fine del secolo XIX, come l’invenzione della fotografia o quella dei prodotti industriali che resero possibile la pittura all’aria aperta, al di fuori dalle botteghe tradizionali. I tubetti di colore ad olio, i pastelli ed il cavalletto portatile, oltre alla dimensione ridotta delle tele utilizzate, agevolarono gli artisti nel catturare la luce solare nelle sue diverse gradazioni di colore. Inoltre, è ricordato che nel 1839 lo scienziato Michel Eugène Chevreul pubblicava le sue ricerche in cui esponeva la teoria del “contrasto simultaneo”, ovvero dell’aumento di luminosità dovuto all’accostamento di due colori complementari, posti sui lati opposti del suo famoso cerchio cromatico. Al lavoro degli impressionisti era così data la base scientifica che fu poi utilizzata in maniera estensiva da Paul Signac e George Seraut.
Complementare a questa mostra è, a mio avviso, un’altra esposizione temporanea che si tiene al Vittoriano di Roma fino al 02 febbraio sotto il titolo “Cézanne e gli artisti del Novecento”. Paul Cézanne (1839-1906) è solitamente definito un pittore post-impressionista, in realtà il suo lavoro, profondamente personale, non è facile da porre sotto un’etichetta senza sminuirne il significato. Certo è che l’opera dell’artista francese ha fatto da ponte tra l’Impressionismo del XIX secolo e la nuova linea di ricerca artistica del XX secolo: non a caso sia Matisse che Picasso dichiaravano Cézanne “padre” del loro lavoro.
In Italia, l’artista non fu visto solo come innovatore, ma anche come un pittore “classico”, per la capacità che gli era propria di ridurre la forma ai suoi termini geometrici essenziali. Questa duplice interpretazione dell’opera di Cézanne, per un verso avvicina l’artista alla tradizione italiana, per un altro lo ha portato ad essere modello per un rinnovamento della tradizione stessa, specie in virtù della sua esperienza impressionista di luminosità del colore e per la tendenza degli ultimi anni alla disintegrazione dell’immagine.
L’esposizione romana propone un interessante confronto fra le opere dell’artista e quelle di alcuni dei più importanti autori italiani del XX secolo, che furono da lui influenzati a partire da queste distinte letture del lavoro del maestro. Così troviamo sia Umberto Boccioni nel suo ultimo periodo futurista che Giorgio Morandi, le cui bottiglie sembrano una “traduzione” in italiano delle arance del francese. Accanto a loro anche Carrà, Sironi, Severini, Pirandello e numerosi altri.
Per chi vuol andare oltre alla semplice comparazione visiva tra i dipinti, la curatrice, Maria Teresa Benedetti, ha posto all’inizio del percorso un’interessante saletta, in cui sono spiegati con ampie tavole didattiche gli elementi di confronto secondo i maggiori temi pittorici.
Nella speranza di aver stuzzicato la voglia di un viaggio verso la Capitale, segnalo in conclusione alcuni siti per avere maggiori informazioni sulle 2 mostre:
http://www.arapacis.it/mostre_ed_eventi/mostre/gemme_dell_impressionismo
http://www.comune.roma.it/wps/portal/pcr?contentId=NEW514330&jp_pagecode=newsview.wp&ahew=contentId:jp_pagecode
Per chi rimane, ricordo comunque che sino al 6 Gennaio presso la Galleria Beatrice di via Alloro, nella mostra dal titolo “Anni 80. Il decennio magico dell’800 pittorico italiano”, è esposta per la prima volta l’opera “Le Bigherinaie” di Telemaco Signorini, pittore fiorentino annoverato tra i Macchiaioli che portarono la tecnica impressionista in Italia.
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