di Giuseppe Savagnone
Sembrava impossibile, eppure si sta verificando: negli Stati Uniti – proprio là, nella patria del grande capitalismo! – c’è un uomo politico che, a buon diritto, può ancora definirsi “di sinistra”, mentre in Italia e in Europa non sappiamo più neppure che cosa possa significare questa espressione.
Per riscoprirlo, bisogna andare a leggere qualche discorso programmatico del senatore democratico Bernie Sanders, che sta continuando – anche se con scarse speranze – la sua battaglia contro la super favorita Hillary Cinton, per la candidatura alle elezioni presidenziali. Sulla pagina web di Sanders si legge, per esempio: «Il popolo americano deve prendere una decisione fondamentale. Continueremo il quarantennale declino della nostra classe media e il gap crescente tra i molto ricchi e chiunque altro, o lotteremo per un’agenda economica progressiva che crei posti di lavoro, aumenti gli stipendi, protegga l’ambiente e provveda assistenza sanitaria a tutti? Siamo preparati a ridurre ad affrontare l’enorme potere economico e politico della classe dei miliardari o continueremo a scivolare verso l’oligarchia economica e politica? Queste sono le più importanti questioni del nostro tempo e il modo in cui le tratteremo determinerà il futuro del nostro Paese».
La denunzia di Sanders, riguardo al predominio di oligarchie economiche e soprattutto finanziarie in grado di controllare la politica, a danno di una equilibrata distribuzione della ricchezza, non è attuale solo per la società americana. Le statistiche dicono che in Italia, dall’inizio della Seconda Repubblica, il ceto medio si sta gradualmente assottigliando, lasciando il posto a una divaricazione via via crescente tra una minoranza di privilegiati sempre più ricchi e una maggioranza di persone sempre più povere. Molti di coloro che fino a pochi anni fa potevano considerarsi moderatamente agiati, o comunque in grado di “arrivare alla fine del mese” senza eccessivi problemi, oggi frequentano, vincendo un istintivo senso di pudore, le mense della Caritas e delle parrocchie. E del resto oggi ufficialmente circa quattro milioni di italiani – i cosiddetti “incapienti” – non pagano tasse perché guadagnano in media intorno ai 400 euro netti al mese. Come possono mangiare, loro, le loro mogli e i loro figli, se non ricorrendo alla carità della Chiesa?
Correttamente, il senatore americano indica in questo aumento delle disparità economiche e sociali il problema fondamentale della società statunitense. A noi non resta che prendere atto che lo è, in modo sempre più evidente, anche della nostra. La differenza è che là c’è chi ne parla – almeno lui – e si batte, raccogliendo anche un margine di consensi molto superiore alle previsioni, per cambiare la situazione.
La nostra “sinistra”, invece, è troppo occupata a difendere il diritto delle 7.513 coppie gay presenti nel nostro Paese, in particolare delle 529 che hanno dei figli – «lo 0,0005 per cento delle coppie italiane» (C. Zunino, I numeri delle famiglie gay. Sono meno di 8mila e solo in 500 hanno figli”, in «Repubblica» del 1 febbraio 2016) – per occuparsi di quelli dei milioni di cittadini che stanno precipitando nella povertà. Salvo a proclamare, come sta avvenendo dopo l’approvazione della legge Cirinnà, che l’Italia è finalmente, grazie ad essa, una nazione civile.
Si capisce, allora, perché in Italia le parole “destra” e “sinistra” abbiano perduto ogni significato. Tradizionalmente, l’ideologia della prima ha privilegiato le libertà individuali (come quelle dei gay), a cui si collegava anche l’iniziativa privata sui mercati, la riduzione del ruolo dello Stato, in nome di una sua “neutralità” di fronte ai conflitti sociali, il riconoscimento del diritto dei più abili o dei più fortunati ad accumulare ricchezza, senza alcun obbligo di condividerla con i meno abili o meno fortunati. L’ideologia della “sinistra”, invece, in tutte le sue versioni – di cui il marxismo è stata certamente la più importante ma non l’unica – , aveva sempre puntato sulla responsabilità che deve accompagnare l’esercizio dei diritti, il debito che i singoli hanno verso la comunità (nessuno “si fa da sé”!), il primato del bene comune sugli interessi dei privati.
Ebbene, oggi assistiamo alla paradossale conversione della ex “sinistra” alla ideologia che un tempo veniva chiamata “di destra” e al tentativo di farla passare per una “rivoluzione”, quando invece – pur presentando degli aspetti sicuramente importanti – è per molti versi la consacrazione dell’individualismo possessivo («quel che mio è mio») del mondo liberal-borghese. Su questa linea, si fa credere che l’azione sistematica per smontare i vincoli familiari tradizionali (l’ultima tappa è stata il “divorzio breve”) sia una battaglia a favore delle persone, nascondendo il fatto che essa è in realtà volta ad applicare rigorosamente ai rapporti familiari le leggi del mercato, basate sul costante diritto degli individui di recedere dal rapporto quando, nella logica del do ut des, viene a mancare la proporzione tra le prestazioni dell’altro e le proprie esigenze.
Certo – come ci sono alcuni aspetti pienamente condivisibili nella tradizione della “destra” – , c’è stata una “sinistra” ideologizzata e totalitaria che non rimpiangiamo affatto e che è bene che sia morta, insieme al marxismo, che ne era il principale ispiratore. Ma fa pena pensare che a subentrare ad essa sia una ideologia altrettanto disumana, per di più camuffata da “battaglia per la civiltà”, in cui sostanzialmente “destra” e “sinistra” si trovano a convergere e a coincidere, nella grande palude che è diventata la vita politica italiana. Non conosco Sanders tanto da potermene dire un sostenitore. Magari ci sono altri punti del suo programma, meno validi. So solo che, se ci sono, vengono largamente subordinati a quello della giustizia sociale e della lotta contro i privilegi. E questo mi basta per rimpiangere che in Italia, invece dell’uomo politico americano, abbiamo, come protagonisti, i nostri.
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