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Il paese dei clown

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di Giuseppe Savagnone

 

Ho letto recentemente che l’associazione internazionale dei clown, con sede in Inghilterra, è in serie difficoltà, perché non si trovano più soggetti che abbiano questa vocazione. Basta una rapida scorsa alle vicende della politica italiana di questi ultimi due decenni per rendersi conto che una simile preoccupazione è del tutto infondata. 

I clown, almeno in Italia, ci sono ancora. Solo che, da noi, non li si trova più nei circhi, ma alla guida dei partiti. Di Grillo è abbastanza facile individuare la corrispondenza a questo modello: era un comico e sostanzialmente lo è rimasto. Con la differenza che non fa più ridere. Gli insulti, la violenza verbale, la mancanza di rispetto verso persone e istituzioni, richiamano certamente la professione di chi deve dare spettacolo, fare colpo, meritarsi gli applausi del pubblico.

I clown non rispondono di ciò che dicono e possono sempre cavarsela con le finte scuse di chi si tappa la bocca, consapevole di averla detta grossa. Ma questa irresponsabilità non è consona al ruolo di leader di una forza politica che già adesso influisce fortemente sulle sorti del nostro paese e che aspira, per sua stessa dichiarazione, a prenderne le redini in modo esclusivo, secondo lo slogan dei 5stelle: “tutti a casa” (tranne loro).

 

Se poi questo leader unisce alle sue battutacce lo stile di un dittatore anche all’interno del suo movimento, al punto da espellere inesorabilmente chi non la pensa come lui ed osa criticarlo, la voglia di ridere diminuisce ancora di più.

Si fa strada, anzi, la paura di ritrovarci governati da uno che non ha pudore di dichiararsi sulla linea di Hitler, anzi, per usare le sue parole, si pone «oltre Hitler». E che sembra esserlo davvero, non solo nel modo convulso e isterico di arringare le folle (se avete mai visto un documentario sulle adunate naziste, avrete notato l’impressionante analogia), ma anche nel deliberato intento di prendere nelle proprie mani tutto il potere, sopprimendo – per il bene del suo partito e della patria, naturalmente! – le libertà degli altri.

Un altro comico che non fa più nemmeno ridere è Berlusconi. Peccato! C’era riuscito benissimo fino a poco tempo fa, nella trasmissione di Santoro, in cui aveva dato prova di possedere ancora notevoli doti cabarettistiche fingendo di spolverare, prima di usarla, la sedia su cui era stato seduto Travaglio. E, prima ancora, quando aveva detto che la crisi era un’invenzione delle Cassandre della sinistra, come dimostrava inconfutabilmente, a suo avviso, il fatto che i ristoranti erano pieni. Solo che il riso si è trasformato, anche in questo caso, in paura, allorché si è constatato che circa otto milioni di italiani non avevano il senso dell’umorismo e, invece di ridere, avevano considerato quello spettacolo un buon motivo per tornare a votare per Berlusconi, rimettendo nelle sue esperte mani di economista le sorti ormai compromesse (in buona parte da lui stesso) del nostro paese.

Resta solo da vedere fino a che punto anche questi ammiratori confermeranno la loro commovente fiducia nel loro mito, ora che si è scoperto che l’abolizione dell’Imu, da lui promessa e attuata, sta portando – come aveva detto Monti, accusato allora da Berlusconi di non saper fare bene i conti – a una tassa, la Tasi, ancora più pesante per i cittadini.

E poi c’è Renzi, rottamatore troppo ansioso, fin dall’inizio, più di prendere il posto dei rottamati che di inaugurare stili e programmi veramente nuovi. Come gli altri due grandi (ma forse sarebbe più corretto dire: piccoli) protagonisti della scena pubblica italiana, anche lui è alla ricerca permanente di un pubblico da incantare e di cui riscuotere gli applausi. Anche lui, come gli altri due, innamorato di se stesso (in psicologia si parla di narcisismo). Anche lui, come gli altri due, impegnato a fare contratti in prima persona con gli italiani, garantendo sulla propria faccia che manterrà tutte le promesse, altrimenti se ne andrà (salvo a stabilire lui stesso se le promesse sono state mantenute). Anche lui, come gli altri due, circondato da uomini e donne destinati a recitare la parte di diafane controfigure: nel circo i riflettori devono puntare su un solo protagonista.

Ho visto in Tv uno scampolo di un suo discorso: sembrava Grillo. Agitato, urlante, aggressivo. Anche se, onestamente, un punto a favore c’è: non lancia insulti e non minaccia di vivisezione il cane di Berlusconi. E ha almeno provato a dare davvero qualcosa a una fascia di italiani (però facendo lo scherzo ai più poveri di non dare niente proprio a loro: valli a capire questi comunisti!). Quello che latitano, in queste elezioni europee, sono i programmi.

A sommare le tre star in questione, non si riesce a tirare fuori uno straccio di progetto per un’Europa un po’ diversa da quella che ci stiamo ritrovando, né carne né pesce, fantasma politico che non riesce a gestire le sfide finanziarie ed economiche né ad avere un vero ruolo internazionale. Ah, sì, dimenticavo il programma di Grillo, uscire dall’euro. I comici, come è noto, sono dei forti conoscitori dei meccanismi dell’economia internazionale.

E adesso, pover’uomo? Chiederà qualcuno. E adesso, piuttosto che piangerci addosso, cerchiamo di capire come possa essere successo che in Italia, da vent’anni e più, i clown abbiano assunto il ruolo direttivo nella politica. Perché nessuno di questi uomini si è imposto con la violenza fisica. Grillo e Berlusconi, è vero, hanno minacciato di fare la marcia su Roma, ma, si sa, con quella bocca possono dire ciò che vogliono, tanto poi giureranno che non l’hanno mai detto.

Sta di fatto che hanno trovato degli italiani che li hanno votati e che, stando ai sondaggi, minacciano di farlo di nuovo. Colpa degli elettori, dunque. Che un clown disoccupato cerchi di fare colpo si capisce, meno che ci sia chi pensa di potergli affidare la guida di un paese in profonda crisi. Colpa anche – forse soprattutto – dei mezzi di comunicazione, che fanno da grancassa a questo circo mediatico pur di vendere copie di giornale e di fare audience.

È da qui che bisogna ripartire. Dalla educazione della gente a capire che cosa è (e che cosa non è) la politica. Dal contributo dei giornali e delle Tv a questa educazione alla cittadinanza responsabile. Qualche volta sono stato criticato per non avere indicato proposte concrete. Ne faccio una adesso: cosa accadrebbe se i mezzi di comunicazione stringessero un patto d’onore, impegnandosi a non dare il minimo spazio a discorsi e comportamenti indegni della politica (della serie: pro o contro Dudù), togliendo ai clown la voce con cui ci assordano e dandola solo a patto che si voglia parlare dei problemi degli italiani?

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