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Conoscere, Farsi conoscere, Rafforzare, Discendere

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CONOSCERE, FARSI CONOSCERE, RAFFORZARE, DISCENDERE

Un ‘parrino’ dal Brasile ai vicoli di Borgo Vecchio

 

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di Antonio Guglielmi mccj

 

(prima parte)

 

Introduzione

 

Condivido queste riflessioni mentre comincio il quarto anno di presenza e di servizio pastorale nella comunità comboniana di Palermo, presso la parrocchia di Santa Lucia, vergine e martire, inserita nell’antico quartiere di Borgo Vecchio.

Prima di iniziare, giova ricordare che i comboniani sono tornati a Palermo nel luglio del 2010, dopo averla  lasciata nel 1996. Le ragioni di questa apertura sono da ricercare nella finalità stessa: portare avanti un progetto di presenza missionaria in Sicilia in collaborazione con i laici comboniani e le suore comboniane.

Il cardinale accoglieva il ritorno dei Missionari Comboniani ad una condizione: che ci si facesse appunto carico di una parrocchia. Quella affidata alla responsabilità dei missionari fu “Santa Lucia, vergine e  martire, al Borgo Vecchio”. Espressione del cardinale, ripetuta in occasione della visita del padre generale, fu che questo contesto era “pane per i vostri denti”.

 

  1. La comunità dei Missionari Comboniani

Padre Danilo Volonté è stato il primo  arrivato nel luglio 2010. Vi era stato precedentemente. Attualmente lavora in parrocchia, ma ha aperto spazi di collaborazione con la Pastorale Giovanile Diocesana. E’ l’economo della casa.

Padre Mario Fugazza è presente dal settembre 2012. Si occupa di Animazione Missionaria, collabora in parrocchia, integra l’equipe del Centro Missionario Diocesano, partecipa agli incontri regionali di pastorale Vocazionale, collabora con l’ufficio Migrantes.

Padre Antonio Guglielmi a Palermo dal novembre 2011. E’ parroco, superiore della comunità.

Bisognerebbe volgere lo sguardo alla storia della parrocchia per capire la situazione che si era creata prima dell’arrivo dei missionari comboniani. Ma tralascio il passato, poiché ritengo possibile dedurlo dalle sfide che il territorio e la comunità parrocchiale presentano al momento attuale.

La seguente condivisione è la mia lettura personale di questa territorio che modella che cosa? e che assumo come realtà che forgia la mia fede e la vita, diventando carne e mistica.

 

  1. 1) Cosa portavo dentro di me quando arrivai a Palermo?

Dentro di me portavo “a saudade”[i] dell’esperienza ricca e sofferta della chiesa del Brasile, in particolare delle regioni del Nord-Est, dove ho trascorso 16 anni della mia vita missionaria: una chiesa ministeriale, impegnata al servizio della vita, dei diritti umani, attenta ai poveri con le sue pastorali sociali specifiche, con un occhio al Vangelo e l’altro alla storia, alla vita reale delle persone. Il servizio reso alla pastorale carceraria e il sostegno alle persone che non avevano case e rivendicavano un luogo dove posare la testa. Una chiesa dal volto samaritano e misericordioso, una chiesa attenta al femminile e creatrice di spazi di partecipazione per tutti. Una liturgia incarnata e festosa, che celebra la vita delle comunità, impegnate nella sequela del Nazareno, assetate di Parola di Dio. Tuttavia, pur sempre una chiesa povera e fragile, fatta di piccole comunità ecclesiali di base e di esclusi.

 

Mi era alimento una espressione cara a Fratel Michael David nel suo commento alla Beatitudine “Beati i miti” quando parla di disarmo dogmatico: “il disarmo dogmatico significa, semplicemente,  presentarsi all’altro in modo da non fargli paura, in modo che l’altro non si difenda e sia possibile una relazione di fiducia, senza la quale si rende vano ogni comune cammino su questa terra privandoci di compagni di viaggio e avendo solo concorrenti”.[ii] La Sicilia che i mass media presentano, che esiste nell’immaginario collettivo, che balza alla mente è 3M “Mafia, Munnizza e Migranti”. Per me si trattava di andare oltre certi stereotipi. Arrivavo veramente non prevenuto, ma desideroso di fare un cammino insieme. Si trattava di servire le creature senza mai asservirle. “Il Signore non può affidare la terra se non a coloro che sono inermi, cioè a coloro che sono capaci di custodire la terra senza farle violenza e senza mai cedere alla logica del possesso che apre facilmente la porta ad ogni forma di abuso”.[iii]

 

  1. 2) Conoscere e farsi conoscere

Approdando in questa terra, che scopro sempre di più interessante e bella per i suoi paesaggi naturali, il patrimonio culturale e storico dei suoi  monumenti e le sue opere d’arte, per essere stata terra occupata da popoli dalle provenienze più disparate, per il genio artistico e creativo della sua gente, come anche per la caparbietà nel raggiungere i propri obiettivi, mi sembrava onesto conoscere questa terra così ospitale e accogliente nei riguardi di qualsiasi visitante. Conoscere è fare silenzio, scoprire, cercare di capire, accogliere senza emettere giudizi di valore, conservare in cuor proprio per poi ruminare man mano che  percepisci di appartenere a questa terra, a questo popolo. Conoscere non solo da un punto di vista teorico, ma pratico, di inserimento. Non si può amare quello che non si conosce dal di dentro, scendendo, immergendoti tra la gente. Si tratta di presenza reale, di corpo e anima, in quella che è la vita quotidiana, feriale delle persone: frequentare i luoghi comuni, vicoli, negozi, piazze, manifestazioni religiose o civili, scuole e associazioni, camminando in mezzo a loro, sostenendoli con una presenza discreta e di prossimità  nei momenti di sconforto, di dolore e sofferenza, oppure gioire per la nascita, un successo, il matrimonio di una coppia o la promozione della squadra di calcio.

La  conoscenza è fatta di sapori, saperi e colori. Se ad un veneto la polenta a tavola non può mancare, o ad un pugliese chiedere un piatto di orecchiette e cime di rape è risvegliare gli antichi sapori della cucina materna, o per un barese riso patate e cozze riporta a qualcosa di magico; caponata, pasta alle sarde o col nero di seppia, tenerumi e broccoli, cassate e cannoli sono specialità che il ricco menù della cucina siciliana offre, con i suoi sapori e odori che ricordano le provenienze di popoli che fanno corona nel Mediterraneo a questa affascinante isola. E tra le manifestazioni religiose non si può dimenticare Santa Rosalia, con “l’acchianata“ del 4 settembre, oppure processioni e tradizioni della settimana santa, specialmente il venerdì santo o la ricorrenza dei fedeli defunti dove ai bambini si regalano giocattoli o dolciumi, fatti di pasta di mandorle a forma di frutta colorata, dono dei nonni e zii defunti. Il teatro dei pupi e l’evocativa lingua locale diventano gli ingredienti per una “full imersion“ in questa isola di popoli.

Questo ti permette di approfondire la ricerca di senso della vita di una comunità umana, su quali valori ed equilibri si fonda la convivenza della gente, le relazioni con il vicinato, il rapporto con la religione e l’attaccamento alla famiglia. Quella che può essere considerata la saggezza di una comunità umana, esperienziale, di un certo spessore non la si può fare in tempi brevi, ma richiede scadenze lunghe e progettazione  per evitare scivoloni, ferite o rafforzare abissi.

Ma non è sufficiente conoscere, è fondamentale essere visibili, farsi conoscere, permettere alle persone di sapere chi sei, da dove vieni, dove sei stato, dove si trova la tua famiglia, cosa piace e non piace mangiare. Avere l’abitazione nello stesso luogo di lavoro può costituire un limite, nel senso che non ti permette di rintanarti, a qualsiasi ora sei cercato, sei vulnerabile al disturbo,  ma diventa anche vicinanza. Il vangelo parla di Gesù che non aveva tempo per mangiare. Fin dagli inizi, indovinata è stata la condivisione degli spazi di casa durante il grest di 10 giorni con i bambini del territorio, mentre le mamme, utilizzando la cucina, preparavano le merende per i loro figli. In alcune occasioni, come la domenica, il mangiare insieme ed invitare persone della comunità che sono single o vivono una situazione familiare faticosa, l’accesso a quelli che sono i luoghi comunitari della casa, come anche la fiducia nel concedere le chiavi per sbrigare qualche piccolo servizio sono gesti eloquenti di un rapporto positivo che gradualmente si rinsalda attraverso la conoscenza rincuorata da una relazione  di fiducia reciproca.

  1. 3) Gli elementi forza

Il secondo elemento è capire gli elementi forza della comunità parrocchiale: su cosa poggiava attualmente la vita parrocchiale, quali le persone trainanti, su chi poter contare. Elementi forza non solo fatti di risorse umane, ma anche di tradizioni religiose, celebrazioni, ricorrenze, certe sensibilità che hanno le persone. Cosa piace e dà vivacità alla vita della gente che ti circonda. Ero cosciente che ero io che dovevo fare l’inserimento, entravo nella loro vita e dovevo adattarmi al loro passo. Si trattava di percepire la piccola foresta che silenziosamente era cresciuta e non soffermarmi sull’albero, anche se grande, che caduto violentemente aveva recato danni alla vita ecclesiale della comunità. Piuttosto che sottolineare quello che mancava e lamentarmi dell’operato altrui, era necessario non spegnere il lucignolo fumigante, la canna incrinata. Elementi forza era un gruppo di donne, alcune anziane, che erano rimaste fedeli al Signore e alla comunità ecclesiale di Santa Lucia, qualche catechista, alcune persone che prestavano servizi religiosi. E poi niente più di questo.

Ben presto mi sono reso conto che il concetto della territorialità della parrocchia, considerato come il principale criterio per concretizzare l’esperienza ecclesiale in tutti questi anni, è cambiato. Oggi il territorio fisico non è più così importante come le relazioni sociali. Abitare in un determinato spazio fisico non significa stabilire vincoli con quella realtà geografica. L’essere umano attuale vive una certa mobilità e dinamismo nelle relazioni. Questo rende fluida l’appartenenza territoriale, con facile spostamento da un luogo all’altro. Si preferisce definire spazio un luogo abitato dove le persone possono interagire e convivere. Certi territori sono luoghi di passaggio: di attesa per determinate finalità, ma non sono abitati. Si usufruisce dello spazio in attesa di… alla stazione, negli aeroporti, nei supermercati, nei luoghi sacri.

Oggi si parla di comunità virtuali, comunità o movimenti di appartenenza, rompendo lo spazio fisico e costruendo nuovi territori basati in diversi interessi, superando la nozione di spazio e di tempo.  E’ impensabile lavorare con gruppi di giovani o coppie giovani disprezzando le reti sociali che attraggano e connettano interessi e motivazioni. La parrocchia come territorio fisso e stabile è in crisi per l’esperienza di comunità ambientali non delimitate per lo spazio geografico. Perciò la parrocchia sta diventando a-territoriale: è il “luogo”, ma anche il “non-luogo”, è la casa ma anche la via. Un agnostico o un “lontano” che è in ricerca può recarsi in una parrocchia che dista chilometri dal luogo in cui abita, perché forse lì, in quel luogo e in quel tempo, può ascoltare il soffio dello Spirito. Così come un credente che, ormai maturo nella fede, voglia seguire una messa, e un’omelia decente, in una chiesa che non sia la sua. È proprio questo il punto: nessuno oggi può più dire “questa è la mia chiesa, questo è il mio tempio, questa è la mia parrocchia”. Oggi siamo di fronte a un nuovo cristianesimo errante nel viaggio, nel cammino, un cristianesimo itinerante e orante, come d’altronde ai tempi di Gesù.

Tuttavia non possiamo ignorare o disprezzare il concetto di territorialità. Il territorio della parrocchia  costituisce ancora per una buona fetta di cattolici un punto di riferimento e di incontro, di integrazione da parte di tutti, indipendentemente dalla situazione economica, sociale e culturale, svolgendo così un ruolo di prossimità tra le persone che lo abitano. Evita così che la parrocchia sia semplice luogo di affinità che si incontra, ma promuove attitudini, momenti di apertura per accogliere la pluralità delle forme di seguire Gesù Cristo. Le sue porte rimangono aperte a tutti praticanti e non, impegnati e quelli che la cercano per uno sbrigo religioso.

Anche la Parrocchia di Santa Lucia non è esente da questa situazione. Il Borgo vecchio che ha una sua caratteristica e cultura, con una religiosità tradizionale e che chiede servizi religiosi, che sopravvive con una sua cultura di ghetto. I vari condomini o residenze multiple presente a macchia di leopardo nel territorio del Borgo Vecchio, costituita da gente di un certo calibro economico, culturale.

In più, non residenti nel territorio parrocchiale, quanti frequentano generalmente la messa delle ore 20 oppure in altri orari, accattivati dalla simpatia del celebrante, identificati con la linea pastorale, motivati per l’accoglienza e la fiducia per i sacerdoti o per altri ragioni personali, spesso legate alle proprie fragilità. Tra di loro, in questi anni, molti hanno rafforzato l’impegno ecclesiale a servizio dei più deboli e costituiscono una riserva umana per il bene della comunità ecclesiale.

 
 


[i]                  Dal portoghese “ nostalgia” in italiano

[ii]                 Fratel MichaelDavide, “Patire le beatitudini” Ed. Meridiana 2010, pg 98.

[iii]                Fratel MichaelDavide, “Patire le beatitudini” op. cit., pg 93.

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