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Arriva l’autunno anche per le mostre ed i musei!

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di Valeria Viola

 

Come ogni anno, ad ottobre, la città di Palermo sembra svegliarsi pian piano dal sonno culturale tipico della stagione vacanziera e si apre con alcune interessanti iniziative. Riapriamo, però, la rubrica consigliando alcune mostre già prossime alla conclusione e che non vanno perse.

La mostra Stanze #1, presso il museo d’arte contemporanea di Palermo Palazzo Riso, ha aperto a fine maggio, ma fino al 9 di novembre consentirà di conoscere alcune opere di Jannis Kounellis e Giovanni Anselmo, due dei massimi esponenti dell’Arte Povera italiana. Concepita come una riflessione sull’identità del  museo Riso dal curatore Giovanni Iovane, la mostra, in realtà, non agevola una riflessione ad ampio raggio sui due artisti, perché ne espone solo poche opere, ma ci offre l’occasione, sinceramente molto rara, di parlare di Arte Contemporanea a Palermo.

Ricordiamo ai meno esperti che nel 1967 usciva il libro “Arte Povera” di Germano Celant che riuniva sotto lo stesso appellativo le opere di diversi artisti che lavoravano nell’Italia di allora, coscienti che il loro messaggio dovesse essere concentrato sulla realtà del presente, sulla sua continua necessità di trasformazione e movimento: l’arte di Kounellis, Penone, Pistoletto, Mertz non voleva più essere strumento per bloccare la realtà come erano stati, per esempio, i dipinti della tradizione, ma un oggetto libero di produrre energia nel suo contesto, di vivere e modificarsi nel tempo.

 

Kounellis, nato in Grecia nel 1936, dal 1956 vive in Italia dove studia e lavora. Sin da subito il suo intento è stato quello di realizzare un’arte libera di trasformarsi, diremmo oggi “performativa”, che si ispira alla dimensione “processuale” della natura. Quelli che l’artista usa ancor oggi sono materiali naturali ed organici, come il legno ed il carbone che testimoniano una trasformazione di secoli, o materiali riutilizzati, come abiti vecchi e ferri arrugginiti che portano con sé storie diverse e sconosciute. Questi mezzi “poveri”, insieme alla occasionale presenza di animali vivi all’interno delle istallazioni, si contrapposero alle opere della Minimal Art che, ispirata al mondo industriale, statico ed asettico, imperversava negli anni Sessanta.

L’arte di Kounellis impiega immagini semplici, del nostro quotidiano, ma con una loro storia, per rendere l’idea di un’energia trasformante, di un mondo in mutamento. Gli armadi sospesi, già presenti a Palermo nel 1993 e nel 2008, oggi in una sala di Palazzo Riso incombono su una  serie di pesanti cavalletti alle cui lastre di metallo sono agganciati dei cappotti scuri uniti tra loro da rozze cuciture. I vecchi armadi ed i cappotti, già esposti in diverse istallazioni (tra cui ricordiamo quella di Londra del 2010, del castello di Rivoli nel 2011 e di Torino nel 2012), si combinano insieme portando con sé dei messaggi del passato. Il fruitore può tentare di decifrarli o semplicemente vivere di quei messaggi, camminando all’interno dell’istallazione, entrando a far parte di questa e, quindi, trasformandola con la sua stessa presenza.

E’ stato detto che la mostra andrà ad arricchire la collezione permanente di Palazzo  Riso, bisognerà vedere come questo intento si adatterà all’idea di un’arte viva, nata negli anni della contestazione, ma soprattutto pensata come in continua evoluzione similmente alla città che la contiene ed alla società con cui si confronta.

Di Anselmo è presente un disegno del 1965 dal titolo La mia ombra verso  l’infinito dalla cima dello Stromboli durante l’alba del 16.08.65 e l’opera Mentre  la terra si orienta e la luce focalizza. Quest’ultima istallazione dovrebbe essere realizzata, secondo la didascalia, con “ago, terra e 3 proiezioni”. Di queste ultime, però, 2 non erano attive al momento della mia visita, perché i proiettori sembra avessero fuso le lampade, come mi ha riferito uno dei guardiani. Significativo che ciò succeda all’opera di un artista che con la sua Scultura che mangia sosteneva proprio la necessità di nutrire l’arte: nell’opera del 1968, infatti, una lattuga inserita tra 2 blocchi di pietra, ogni qual volta marciva, doveva essere sostituita dagli operatori del museo con una lattuga fresca, in modo che una delle 2 pietre non cadesse e l’arte non morisse… di fame.

Il fatto che una mostra così piccola difettasse in manutenzione dopo appena un mese dall’apertura, forse può essere letto come un inconscio svelamento dello stato dell’Arte Contemporanea a Palermo? A mio avviso, a parte la proiezione del documentario Senza Titolo, la mostra manca di un adeguato corredo didascalico, necessario più che mai in una città come la nostra che raramente ha la possibilità di confrontarsi con qualcosa che vada oltre l’Ottocento.

Un’altra riflessione sull’identità del museo è iniziata a luglio al Salinas con la mostra “Del museo di Palermo e del suo avvenire”, visitabile fino al 4 novembre presso il Museo Archeologico e dedicata ad Antonio Salinas, archeologo e numismatico palermitano, che giocò, fino ai primi anni del Novecento, un ruolo culturalmente decisivo per la città.

E’ piacevole per me raccontare di aver assistito a quello che ho letto come un gesto di affetto dei palermitani verso il loro patrimonio: in occasione dell’inaugurazione, il pubblico ha cominciato a radunarsi in piazza Olivella almeno un’ora prima dell’orario di apertura, tant’è che dall’interno si sono decisi ad aprire l’ingresso prima del previsto; dagli sguardi che ruotavano, a destra ed a sinistra, in alto ed in basso, assaporando ogni diversa angolazione del cortile attorno alla fontana del Tritone, sembrava che si fosse lì non solo per celebrare lo studioso, ma anche per godersi, estasiati,  quell’unico pezzettino di museo strappato ad un interminabile cantiere di restauro.

Se ancora l’Arte Contemporanea non è entrata nei cuori di tutti, penso che alcune cose ci alberghino ormai stabilmente. 

 

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