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Le vie – non occasionali – dei nostri tesori?

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di Valeria Viola

 

Sabato pomeriggio, nella meravigliosa cornice del restaurato cortile del museo archeologico, Giuliano Volpe, Presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, e Roberto Lagalla, Rettore dell’Università di Palermo, hanno ricordato ai presenti l’importanza dell’articolo 9 della Costituzione Italiana, che recita: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.

In particolare, durante l’incontro sul tema “I musei parlano”, si è sottolineato il riferimento alla res publica presente nell’articolo 9 in relazione alla promozione della cultura: l’attenzione e la conoscenza verso il patrimonio della propria città, nonché la collaborazione alla sua tutela, non possono oramai riguardare solo gli addetti ai lavori, ma devono essere proprie di ogni cittadino.

La cultura si deve aprire all’uomo comune e questi alla cultura.

A questo proposito, la manifestazione “Le vie dei tesori” (http://www.leviedeitesori.it/) sembra aver colpito nel segno, se è vero, come è stato riferito dal Rettore, che già dopo i primi 2 dei 4 finesettimana programmati si sono registrate circa 55.000 visite. Tali numeri testimoniano certo un’indiscussa partecipazione dei palermitani, oltre che dei turisti stranieri.

 

Di sicuro una delle motivazioni di questo abbondante afflusso è la curiosità di vedere luoghi spesso inaccessibili o, comunque, difficilmente visitabili, come l’oratorio di Santa Caterina d’Alessandria solitamente chiuso, la Palermo sotterranea, o il bagno ebraico recentemente scoperto a Palazzo Marchesi. L’idea di gustare il sapore di un “evento unico ed irripetibile” deve aver esercitato su molti una forte attrazione.

Il problema rimane, però, quello di far sì che il rapporto tra cultura e cittadino non si chiuda a questi importanti ma limitati momenti, come sono stati anche “Palermo apre le porte” o “La scuola adotta un monumento”. Questi eventi, pur significativi, non sono che limitatamente costruttivi di una consapevolezza culturale: dovremmo fare in modo che la conoscenza del nostro patrimonio incida sulla formazione dell’individuo, ne promuova le competenze sociali e civiche, come ci indica la Raccomandazione del Parlamento Europeo 2006/962/EC.

Il traguardo può essere raggiunto non solo andando oltre l’episodicità delle aperture e proponendo una fruizione continua (magari con l’affidamento della gestione dei nostri innumerevoli siti d’interesse a giovani responsabili), ma anche e soprattutto con un programma culturale che non si basi solo sulla semplice “visita guidata”, ma metta in moto una serie di relazioni tra scuola, università, musei, enti pubblici e privati, comunità locali, etc. a favore della formazione continua del cittadino.

Ciò ovviamente non vuol dire che tutti dobbiamo sapere di arte, botanica o geologia, e nemmeno conoscere ogni monumento di Palermo, ma vuol dire che si deve dare ai Beni Culturali la possibilità di arricchire la nostra vita ed aiutarci a migliorare le capacità (espressive, civiche, imprenditoriali, etc.) che poi utilizzeremo nei campi di nostra pertinenza. Questo il modo migliore di “valorizzare” i Beni Culturali.

Lo scorso 15 ottobre, a distanza di nove anni dall’uscita del penultimo volume, è stato presentato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, l’ottavo ed ultimo libro che è trascrizione dei manoscritti di Agostino Gallo sulla “Storia delle Belle Arti in Sicilia”. Questo erudito palermitano, che visse tra il 1790 ed il 1872 e che tanti utilissimi dati ha raccolto in 50 anni, rappresenta però il cliché dello studioso che oggi dobbiamo superare. Nell’epoca del digitale non ci serve più chi elenca i fatti, mentre invece rimane decisiva la figura di colui che sa interpretare ed utilizzare questi dati per fare andare avanti la società.

Auspichiamo ancora una volta che ci si muova in tal senso in modo più incisivo di quanto finora fatto, sennò, nonostante l’immenso nostro patrimonio, rimarremo sempre fanalino di coda del resto dell’Europa. 

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