Introduzione alla lectio divina su Mc 13, 33-37d
30 novembre 2014 – I domenica del tempo di Avvento (Anno B)
33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!”.
Nighthawks, Edward Hopper, 1942, olio su tela
Art Institute of Chicago, Chicago
Questi quattro versetti di Marco hanno una collocazione particolare: chiudono un discorso importante di Gesù, destinato proiettare i suoi oltre la sua prossima morte sino all’orizzonte finale della storia terrena (discorso escatologico), e precedono di fatto il racconto della sua passione. Due piani, l’esplicito e l’implicito sullo sfondo, vi si intrecciano. Infatti Gesù parla della rovina del Tempio e il pensiero corre alla sua personale rovina. Parla di persecuzioni future ai suoi, e dà per scontata la grande persecuzione che a momenti lo investirà. Si riferisce ai romani turni di guardia nella notte ed evoca le tappe del prossimo abbandono dei suoi. Presto la sua personale vicenda di morte e resurrezione sarà carne della nostra carne e spirito del nostro spirito.
Ecco allora l’invito pressante, l’ultima indicazione per il segreto di un’attesa che coniughi l’assenza con una nuova forma di presenza. Vi leggiamo infatti un dono, non una minaccia, un tornerò, non un addio, ma in un’accezione impegnativa.
Ha appena parlato, infatti, sempre nel linguaggio standard dell’apocalittica, della finale beatitudine promessa: 24In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, …26Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. 27Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo … 32Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre.
E’ risposta ai suoi quattro primi discepoli, che all’inizio del discorso gli hanno chiesto quasi privatamente: quando (v. 13,4)?
Intanto oltre il legittimo interesse a conoscere la data di un evento così decisivo si legge il desiderio di tenere sotto controllo i fatti; se possibile, di governarli. Ci si arma di fronte una scadenza. Invece la paradossale logica evangelica ci chiede il disarmo totale e l’abbandono fiducioso. Anzi, poiché ignoriamo il quando, tutte le forze devono essere concentrate nell’attesa vigilante, perché il kairòs, il momento di grazia della parousia, non ci sfugga.
E qui la breve allegoria riprende il tema, caro ai sinottici, di un Gesù che si allontana lasciando agli uomini il governo della sua casa, a ciascuno un compito, nell’attesa del suo ritorno; in continuità con il racconto del Genesi in cui il Signore affida ad Adam il giardino da custodire e coltivare (Gn 2,15), non da proprietario ma da curatore.
Se tutto il discorso escatologico era centrato sulla dissoluzione finale delle strutture di potere, il tempio, i regni, le nazioni, ora la prospettiva è la casa, il luogo comunitario di cui nessuno tenta l’appropriazione, perché appartiene al Signore. E ancora luogo della responsabilità, dell’operatività sinfonica che risponde a una delega dell’autorità, più che del potere (v.34), termini con cui traduciamo il greco exousia. Il potere, infatti, si accompagna spesso nella storia all’arbitrio, mentre l’autorità, quella che è riconosciuta, fa crescere. E’ quella personale di Gesù, che dà sostanza a un messaggio di liberazione totale (v.1,27).
Anzi, la partecipazione all’exousia di Cristo, fuor di metafora, allude alla partecipazione al suo Spirito, che pur restando unico, distribuisce i suoi doni, i suoi carismi, a ciascuno in forma personale, per il bene comune, sovranamente libero dentro e fuori la comunità.
Questo è allora il cuore del messaggio: vivere l’attesa nella convinzione che nella ferialità dimessa o nell’eccezionalità della vita, aldilà delle sofferenze e dentro le sofferenze, un’offerta di amore sempre ci raggiunge per offrirci possibilità inedite e sorprendenti di realizzazione. Al nostro lavoro resta ancora affidata la creazione perché giunga a compimento, mentre la cosmogenesi continua tuttora attraverso l’irradiazione di sempre nuove energie. Se la casa comune è lo spazio dell’attesa, il tempo sarà il personale ritmo di appropriazione di queste energie (Molari). Ma a patto di aprire gli occhi, di vivere la profondità e non la superficie degli avvenimenti e delle relazioni, in una parola di vegliare, disponibili ad accettare e lasciare fiorire le sorprese di Dio.
Vigilare è anche, in questa stagione ecclesiale, delicato equilibrio tra il mantenere i punti fermi evangelici e il progredire nella comprensione del mistero di misericordia, aperti ai segni dei tempi.
Altrove ha promesso che lui è con noi, in noi, in mezzo a noi. Ma qui ci chiede come viviamo noi l’attesa del suo ritorno, vivendo già la sua compagnia. La riunione dei santi comincia qui, nella casa comune; la comunione col Padre è anticipata nella comunione tra i fratelli; ogni giorno ordinario contiene già il giorno del Signore.
Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate! Essere trovati desti nell’amore, tanto nel desiderio quanto nel servizio operoso, è la scommessa finale che tutti ci investe, senza preclusioni e confini di sorta.
Anno dopo anno la chiesa ci invita a vivere l’occasione di grazia che è l’Avvento.
Ma l’Avvento è di un Altro. A noi appartiene l’attesa. E l’attesa è costitutiva della nostra umanità. Ci ricorda che non ci diamo da noi, che non ci basta quello che abbiamo e quello che siamo. L’aspettare qualcosa e aspettare qualcuno ci strappa alla nostra finitudine e ci proietta nella relazione e nella sua cura. Lì perseguendo insieme l’ umanizzazione personale e comunitaria costruiamo lentamente il regno.
In questo periodo il giorno si fa breve e le tenebre dilatano il loro tempo. Anche la natura anela alla luce e la desidera. I riti pagani e neopagani del solstizio d’inverno ce lo ricordano. Ecco, per tutti, il desiderio è la chiave dell’attesa.
… la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. …Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo…A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio (Gv 1-5.9.12).
Raffaela Brignola
(Comunità Kairòs)
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