di Patrizia Lalicata
“Tornare alla terra ci salverà”. É il messaggio lapidario di Carlin Petrini, l’uomo che ha fondato Slow Food e che ha dato vita alla manifestazione biennale di Torino il Salone del Gusto. Il tema di quest’anno era l’Arca del gusto, l’arca, simbolo arcaico di salvezza, ma stavolta ad essere salvati non sono gli animali, ma la biodiversità alimentare.
Nei mercati oggi abbiamo ortaggi di ogni stagione per tutte le stagioni, acquistiamo con gesti frettolosi e un occhio al portafoglio beni di cui non conosciamo la provenienza, né l’origine. La natura non ha fretta, i tempi della natura sono i tempi dell’attesa.
“Mamma ma quanto impiega un finocchio a crescere?” Non lo so, o meglio non lo sapevamo, finché non li abbiamo piantati nel nostro orto urbano. E abbiamo aspettato che crescessero, li abbiamo piantati, innaffiati e liberati dalle erbacce e visti crescere.
Cosa può insegnare ad un bambino la cura di un orto: il rispetto per il lavoro faticoso, la capacità di aspettare, la gioia di usare le mani non per azionare qualche crescita virtuale ma per affondare le mani nella terra e scoprivi dentro scorrere la vita: lumache, millepiedi, bruchi pelosi.
Ma gli orti urbani sono una moda o una necessità?
Chi sceglie di riavvicinarsi alla terra lo fa per numerosissime ragioni, noi abbiamo scelto di affittare un piccolo lotto, tramite la cooperativa Codifas che gestisce dei terreni in due aree diverse di Palermo (zen e via Messina marine), perché i nostri figli non sentissero solo parlare di verdure e di biologico ma sperimentassero la fatica e la gioia, il sudore e la stanchezza, l’industriarsi e l’operosità, l’attesa che vengono dal mettersi a confronto con la terra.
Ho un sogno che ogni balcone, ogni terrazzo, ogni giardino scolastico, ogni cortile condominiale coltivi il proprio orto per ritrovare i ritmi condivisi e i colori della natura e per attutire i rumori di fondo della nostra frenesia quotidiana.
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