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Le scuole cattoliche in Sicilia. Una voce critica

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di Augusto Cavadi

 

 

Come è stato evidenziato da recenti notizie di cronaca, anche in Sicilia le scuole cattoliche registrano un preoccupante calo di iscrizioni. Insieme al dato statistico si riporta, di solito, come causa principale  – se non addirittura unica – la diminuzione dei contributi statali: e così si lascia supporre che basterebbe ripristinarli, o addirittura incrementarli, per risolvere la questione.

 

     Questo approccio mi pare superficiale e, in quanto tale, poco istruttivo sia per chi è contrario sia per chi è favorevole   – in linea di principio – all’attività delle scuole private di ispirazione cattolica.

 

     Riterrei più illuminante scavare un po’ più a fondo e rintracciare delle motivazioni più reali. Tra le quali distinguerei motivazioni epocali (e, come tali, ineliminabili) e motivazioni contingenti (potenzialmente emendabili).

 

     Tra le motivazioni epocali va innanzitutto nominata l’eclissi delle “grandi narrazioni” ideologiche. Per decenni, in piena guerra più o meno “fredda” fra il modello occidentale capitalistico e il modello sovietico social-comunista, molte famiglie hanno affrontato anche a costo di qualche sacrificio le spese per l’istruzione privata dei figli pur di sottrarli (soprattutto dal 1968 in poi) ai condizionamenti culturali dei professori di “sinistra”. Ma, con il crollo del muro di Berlino nel 1989 e con il dominio del “pensiero unico” liberal-borghese, il “pericolo rosso” è quasi del tutto scomparso dallo scenario contemporaneo: perché  investire denaro per prevenire pestilenze estinte?

 

     Scartate le motivazioni politiche, potrebbero restare in lizza le motivazioni teologico-pastorali: mando i miei figli dalle suore o dai preti perché così possano ricevere quell’educazione cattolica che nessuna scuola statale mi garantisce. Ma, da questo punto di vista, la scuola cattolica ha perduto appeal sia per ragioni storico-epocali che per ragioni contingenti. Per ragioni storico-epocali: la secolarizzazione ha segnato la mentalità e le abitudini di molte famiglie e, rispetto solo ad alcune generazioni precedenti, il numero dei cattolici praticanti è sceso vistosamente (dal 90% al 20 % circa). E’ ovvio che genitori che non frequentano abitualmente la messa domenicale  – e ancor meno rispettano altri “precetti della Chiesa” – non siano motivati a investire parte del bilancio familiare per indurre i figli a diventare ciò che essi non sono (più). E quella minoranza di genitori cattolici che, invece, continua a praticare la religione cattolica ? Almeno questa non sarà interessata a iscrivere i figli in scuole confessionali? Qui emerge una spiegazione legata a dati contingenti, per quanto numerosi. La dichiarazione “Non sono più cattolico perché sono stato educato dalle Orsoline o dai Gesuiti o dai Salesiani…” è ormai diventata un leit-motiv. Che l’overdose di preghiere del mattino, rosari, novene, viae crucis, ritiri spirituali…provochi negli animi infantili e giovanili una sazietà facile a diventare allergia è un dato troppo noto per esigere qui delle dimostrazioni argomentate. Per un paradosso soltanto apparente si potrebbe, dunque, evincere che, se una coppia di genitori vuole avere qualche speranza di allevare figli praticanti, deve guardarsi da ogni forma di accanimento catechetico e lasciare che cerchino (e forse trovino) da sé la strada migliore.

 

       Se le scuole cattoliche non servono né a proteggere dallo “spettro del comunismo” né dalla disaffezione verso le pratiche religiose, non avrebbero proprio nessun’altra funzione educativa da assolvere? Alla luce anche del magistero di papa Francesco I si potrebbe rispondere che ad esse  resterebbe una mission preziosa: essere delle officine dell’agape, dei laboratori della solidarietà, delle oasi di fratellanza. I genitori potrebbero continuare a investire in esse qualora garantissero una formazione alla serietà degli studi, alla sobrietà dei consumi, alla cooperazione fra compagni, alla cura dei deboli, alla legalità democratica, alla nonviolenza nei rapporti fra singoli e fra Stati, al rispetto dell’ambiente, al gusto della meditazione contemplativa…Ma – se siamo disposti alla sincerità almeno con noi stessi – possiamo rispondere affermativamente alla domanda se questi princìpi, questi valori, sono coltivati nelle scuole cattoliche come e più che nelle scuole statali?  In una delle scuole cattoliche più prestigiose di Palermo ho insegnato negli anni Settanta e vi sono ritornato, recentemente, come commissario esterno per gli esami di maturità liceale. Il ricordo era di una scuola né peggiore né migliore delle scuole pubbliche in cui ho insegnato negli ultimi quarant’anni: ma ho trovato un livello di deontologia professionale inferiore alla media. Le pressioni, i tentativi di raccomandazione, le stategie più varie per condizionare la correttezza dei giudizi scolastici hanno scandalizzato, e francamente scoraggiato, tre dei quattro commissari esterni (la quarta collega, dopo alcuni giorni di ostentato e aggressivo legalismo, ha alla fine improvvisamente mutato atteggiamento  contribuendo, con il proprio voto aggiunto ai voti dei commissari interni,  a decisioni palesemente ingiuste). Se questa mia dolorosa esperienza non è stata un episodio isolato, ma la conferma di un trend abituale,   perché i genitori cattolici dovrebbe sprecare denaro per un tipo di scuola privata che non si differenzia, sostanzialmente, da altri meno costosi diplomifici? 

 

 

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