IL TEOLOGO MOLARI: “LA PIENA RICEZIONE DEL CONCILIO RICHIEDE UNA VERA CONVERSIONE”
Una chiacchierata di Silvia Lanzi con il teologo Carlo Molari
L’11 ottobre sarà il cinquantesimo anniversario dell’apertura del Concilio Vaticano II, un concilio che avrebbe dovuto portare nuovo respiro alla Chiesa. Non sempre è stato così.
Per alcuni è stato poco meno di un flagello che, come tale, si cerca di arginare e di cui si cercano di minimizzare gli effetti nefasti. Ne parliamo con don Carlo Molari, teologo.
A distanza di 50 anni il Concilio è ancora attuale?
Certamente. Le novità dottrinali e pratiche che il Vaticano II ha introdotto sono state recepite solo in parte sia per la portata del rinnovamento programmato, sia per le resistenze che alcuni ambienti della Chiesa cattolica hanno opposto alle riforme necessarie e sia per i cambiamenti culturali verificatisi nel frattempo. Chiarisco queste tre ragioni.
Alcuni cambiamenti programmati erano di natura epocale ed esigevano tempi lunghi per la loro attuazione. Essi sono ancora in corso e rischiano di perdere slancio. Il 50 anniversario dell’inizio del Concilio può essere l’occasione per accelerare la ricezione delle sue decisioni.
Le resistenze di alcuni ambienti ecclesiali continuano tutt’ora, anzi in ambito cattolico sono ora espresse con maggiore chiarezza e forza. Per alcuni decenni, dopo lo scisma del Vescovo Lefebvre, la resistenza ad alcune scelte conciliari è rimasta sotterranea per non venire collegata al movimento tradizionalista scismatico.
Da qualche anno, invece, è emersa e argomentata in modo articolato. Alcuni teologi e anche Vescovi hanno sollecitato il Papa a indicare autorevolmente le modifiche da apportare ai testi del Vaticano II che non corrisponderebbero alle dottrine della Tradizione cattolica. Infine alcune proposte del Concilio corrispondevano a situazioni culturali di quegli anni che sono cambiate per cui hanno perso l’urgenza che sembravano avere.
Quali sono allora le principali novità portate?
È difficile rispondere in modo adeguato a questa domanda e sarebbe troppo lungo, sia sufficiente ricordarne alcune. La riforma liturgica è stata la prima e più visibile novità del Concilio. Non si pensi semplicemente alla introduzione delle lingue volgari, perché di per sé sarebbe possibile utilizzare il latino anche oggi. Si tratta invece del modo di concepire la Liturgia.
L’Eucaristia e gli altri sacramenti sono presentati come atti di tutta la comunità ecclesiale. Nei secoli scorsi soprattutto dopo il Concilio di Trento si era perso il senso comunitario della liturgia e si era dato valore esclusivo all’azione del ministro, a cui veniva attribuito un potere sacro personale e quasi miracoloso.
Poiché la concezione comunitaria o meglio comunionale della Chiesta è stata ricuperata e ha sostituito la visione prevalentemente giuridica e gerarchica degli ultimi secoli, anche la liturgia è stata presentata in modo conseguente. È la comunità del popolo di Dio che esercita la propria fede, esprime la propria speranza e mette in moto dinamiche di comunione per la crescita dei figli di Dio.
Dal punto di vista culturale l’aspetto più innovativo dell’evento conciliare è stata l’assunzione della coscienza storica, la percezione cioè che tutto il cammino dell’umanità e quindi anche della chiesa si svolge sotto il segno del cambiamento e per l’impulso della energia creatrice di Dio. Da questo è seguita una visione nuova della rivelazione che non consiste tanto in comunicazione di idee, bensì in eventi attraverso i quali parole nuove fioriscono come interpretazione della vita e del rapporto dell’umanità con Dio.
Per questo la Costituzione Dei Verbum ha parlato di una “economia della rivelazione” che “avviene con eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto” (DV 2).
Particolare incidenza poi ha avuto l’assunzione del modello evolutivo e la prospettiva della planetarizzazione proprie della Costituzione Chiesa-mondo. Al n. 5 essa afferma: “Ne segue un’accelerazione tale della storia, da poter difficilmente essere seguita dai singoli uomini.
Unico diventa il destino dell’umana società, senza diversificarsi più in tante storie separate. Così il genere umano passa da una concezione statica dell’ordine, ad una concezione più dinamica ed evolutiva; ciò che favorisce il sorgere di un formidabile complesso di nuovi problemi, che stimola ad analisi e a sintesi nuove” (GSp 5). Questi problemi non sono ancora pienamente chiariti nelle loro esigenze e tanto meno sono stati risolti.
Che cosa vuol dire tradizione? È qualcosa di vivo, che si arricchisce via via o è semplicemente un dare “qualcosa” ad un altro così come essa è stata ricevuta?
Nel senso comune tradizione significa trasmissione dal latino tradere (trasmettere o consegnare). Ogni cultura e ogni religione ha una sua tradizione, che viene vissuta in modo molto diverso secondo i modelli culturali utilizzati. Nella Chiesa cattolica ci sono stati nel tempo diversi modi di concepire la tradizione e quindi la trasmissione delle sue varie componenti. Quando si è data molta importanza alle idee, la tradizione veniva ricondotta alla conservazione e alla trasmissione delle dottrine di fede. Ma la fede non è costituita in primo luogo dalle idee, bensì si sviluppa come atteggiamento di abbandono fiducioso in Dio, principio e fine dell’esistenza umana.
In questa prospettiva la fede viene descritta dal Concilio così: “A Dio che si rivela è dovuta l’obbedienza della fede con la quale l’uomo si abbandona a Dio tutt’intero liberamente, prestandogli «il pieno ossequio dell’intelletto e della volontà» e acconsentendo liberamente alla rivelazione data da Lui” (DV 5).
Dalla nozione di fede così concepita e dall’assunzione del modello dinamico ed evolutivo consegue anche una nuova concezione di tradizione. Il Concilio la descrive in questo modo: “Ciò che fu trasmesso dagli Apostoli poi, comprende tutto quanto contribuisce alla condotta santa del Popolo di Dio e all’incremento della fede, e così la Chiesa, nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e trasmette a tutte le generazioni ciò che crede.
Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l’assistenza dello Spirito Santo; cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor oro, sia con l’esperienza data da una più profonda intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa cioè, nel corso dei secoli, tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio” (DV 8).
I credenti perciò sono inseriti in un processo di vita che, se vissuto adeguatamente, conduce alla scoperta e all’approfondimento continui della verità. Anche Benedetto XVI in una catechesi ha parlato in modo semplice, ma esauriente: “La Tradizione è la comunione dei fedeli intorno ai legittimi Pastori nel corso della storia, una comunione che lo Spirito Santo alimenta assicurando il collegamento fra l’esperienza della fede apostolica, vissuta nell’originaria comunità dei discepoli, e l’esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa.
In altre parole, la Tradizione è la continuità organica della Chiesa, Tempio santo di Dio Padre, eretto sul fondamento degli Apostoli e tenuto insieme dalla pietra angolare, Cristo, mediante l’azione vivificante dello Spirito: “Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, e avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù.
In lui ogni costruzione cresce ben ordinata per essere tempio santo nel Signore; in lui anche voi insieme con gli altri venite edificati per diventare dimora di Dio per mezzo dello Spirito” (Ef 2,19-22). Grazie alla Tradizione, garantita dal ministero degli Apostoli e dei loro successori, l’acqua della vita scaturita dal costato di Cristo e il suo sangue salutare raggiungono le donne e gli uomini di tutti i tempi.
Così, la Tradizione è la presenza permanente del Salvatore che viene a incontrarci, redimerci e santificarci nello Spirito mediante il ministero della sua Chiesa, a gloria del Padre”.
Il Papa concludeva: “possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti. Il grande fiume che ci conduce al porto dell’eternità. Ed essendo così, in questo fiume vivo si realizza sempre di nuovo la parola del Signore…: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20)” (Catechesi 26 aprile 2006).
Perché, secondo lei il Vaticano II è stato mal recepito o addirittura osteggiato ancor oggi?
Perché la piena ricezione del Concilio richiede una vera conversione (metànoia) ed ogni vera conversione trova resistenze in tutti, ma soprattutto nelle persone educate all’ideale di una stabilità immutabile e convinte di possedere una verità assoluta.
Dal sito Progetto Gionata
http://www.gionata.org/index.php?option=com_content&view=article&id=3824:il-teologo-molari-la-piena-ricezione-del-concilio-richiede-una-vera-conversione&catid=136:dall-italia&Itemid=100513
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