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I cattolici non protestano, ma s’impegnano

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catholic-voteNel difficile e, talvolta, non poco tortuoso rapporto con la democrazia, i cattolici hanno spesso usato il voto come strumento essenziale per partecipare alle elezioni libere, ma non sempre è stato così. Dopo l’Unità d’Italia, la contrapposizione sta Stato Italiano e Chiesa Cattolica produsse roventi polemiche che si manifestarono, come sappiamo, anche tramite l’appello della gerarchia ecclesiastica a non andare a votare (noto come “non expedit”), che lacerò il Paese, accentuando la distanza fra cattolici italiani e democrazia (fino alla nascita del Partito Popolare, nel 1919, che contribuì efficacemente all’inserimento dei cattolici nella vita pubblica del Paese).

Ma dal dopoguerra in poi, con il ritorno dell’Italia alla democrazia, che senso può avere per un cattolico non andare a votare, oppure decidere di andare a votare per protesta? Negli ultimi decenni le percentuali di chi si astiene nei paesi democratici sono purtroppo in aumento e questo calo riguarda anche il cosiddetto voto cattolico. Nonostante i ripetuti appelli dei vescovi ad esercitare questo diritto/dovere, tenendo conto dei principi e criteri che la dottrina sociale della chiesa offre, non solo al credente, per contribuire ad orientarsi (sempre secondo coscienza!), non pare che questi problemi siano entrati nella riflessione pastorale.
E dire che aiutare i cittadini a riflettere sull’importanza della partecipazione al voto li aiuterebbe, specie se poveri, a contare di più. Che dire?

La comunità ecclesiale dovrebbe porsi la domanda se i cattolici (l’opzione per qualsiasi schieramento non è in discussione) possono svolgere il loro compito per il bene comune, alimentando visioni protestatarie che sfociano inevitabilmente nel populismo e nella demagogia. Il problema è molto serio, ma risulta scarsamente presente persino nelle stesse aggregazioni laicali che rappresentano il laicato organizzato, quello più interno quindi alle dinamiche sociali. Si trascura del tutto il fatto che l’atto di votare non è mai banale, ma richiede grande attenzione e impegno.

Se il voto di scambio viene giustamente considerato un reato penale, che dire di quei cittadini che votano per avere un favore? (il grande giurista Arturo Carlo Jemolo considerava questo scambio simile al peccato di simonia). E poi, occorre imparare ad entrare nel vivo delle questioni. Che senso ha, per esempio, votare in occasione del prossimo referendum, in base al giudizio, positivo o negativo, sull’attuale governo, senza entrare nel merito della riforma costituzionale? Nella sua lunga storia, il movimento cattolico ha valutato fatti e persone secondo una logica puramente deduttiva, che lasciava poco spazio alle argomentazioni, ma da tempo si è aperta una fase nella quale, senza dimenticare o svendere i principi ispiratori, si deve essere capaci di portare avanti le proprie ragioni a partire, per dirla con Kant, dalla “fertile bassura dell’esperienza”.

Esprimere quindi la propria insoddisfazione con l’astensione o votando contro qualcuno o qualcosa, anziché per e a favore di qualcuno o qualcosa, non è il modo migliore di utilizzare lo strumento del voto, anche perchè i risultati elettorali hanno sempre e comunque delle conseguenze di lunga durata sulla vita del Paese. Nessun cittadino, specie se cattolico, dovrebbe ignorare, per superficialità e leggerezza, il significato anche etico dei momenti elettorali. Protestare, senza essere innanzitutto e soprattuto propositivi, non serve a migliorare la società, ma a diffondere il virus del peggiore qualunquismo, del tutto incompatibile con l’identità cristiana e i contenuti della Dottrina Sociale della Chiesa. E’ chiaro comunque che i comportamenti qualunquistici e protestatari che si esprimono in occasione del voto hanno le radici in una cultura che non si è formata improvvisamente. Una mentalità distorta, per esempio, permea da tempo purtroppo anche molti cattolici che di fronte alla complessità del sociale, anzichè provare a porsi in un’ottica risolutiva, anche se parziale, dei problemi (disoccupazione, immigrazione, scuola, sanità, etc) preferisce radicalizzare la denuncia, come se bastasse amplificare la percezione dei problemi per risolverli.

La migliore tradizione cattolica è fatta invece di impegno diretto di persone che si sono rimboccate le maniche, senza aspettare interventi dall’alto che, semmai, vengono sollecitati grazie e in virtù di quell’azione iniziale dal basso. Occorre ritrovare, al più presto, nella ricca tradizione cattolica (i santi sociali in particolare) quello stile d’impegno paziente e perseverante (che non ricerca i riflettori per esistere!) per avere i riferimenti più validi e saldi da rinnovare, con intelligenza e creatività, nel complesso contesto contemporaneo.

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