La manifestazione degli studenti che qualche giorno fa si è svolta a Palermo tra scontri violenti, urla e lanci di uova e crocché, oltre che di sassi e bottiglie, riporta di attualità il problema della formazione politica dei nostri giovani. Perché è evidente che una protesta come questa – condotta contro un governatore appena eletto, che non ha certo la responsabilità dei disastri prodotti dai suoi predecessori e, almeno per mancanza di tempo, non ha ancora avuto neppure la possibilità di sbagliare – è segno che di politica non si capisce nulla. A meno di voler ritenere una valida motivazione le voci di un inciucio che, anche a non essere dei sostenitori di Crocetta (come peraltro non lo è il sottoscritto), appaiono solo pettegolezzi, almeno finché non siano verificate alla prova dei fatti.
Ancora più impressionante è lo stile della manifestazione. Che, come minimo, non ha saputo isolare i violenti. Dire che i ragazzi si sono solo difesi dalle cariche della polizia non spiega perché si siano portati da casa caschi, stanghe e bottiglie. Qualcuno ha detto che si aspettavano la repressione violenta e si sono premuniti. Ma alla fine tra i feriti c’erano ben nove poliziotti in tenuta antisommossa e nessun giovane… Un dato che mi ricorda il bel racconto di Calvino in cui si parla di Battista, la monaca di casa che era stato poi sposata dal giovane figlio di amici di famiglia, dopo esserne stata violentata. “Certo”, osserva il narratore, “nella vicenda rimasero dei punti oscuri. Per esempio, perché fu lui a gridare?”.
Ma c’è qualcosa di più grave. Lo slogan era “riprendiamoci il futuro”. Poggiante, a sua volta, su una serie di attacchi alle misure del governo nazionale che penalizzano le fasce più deboli e i giovani soprattutto. Personalmente sono d’accordo con i manifestanti sull’assunto. Ma non basta gridare delle accuse e delle esigenze (che comunque non c’entravano con il nuovo governo regionale). Questa è rabbia, non politica.
E senza la politica, che è la mediazione tra i bisogni e i fatti concreti, non si va da nessuna parte. Ma la politica comporta conoscenze, almeno a livello di informazione, consapevolezza, progettualità, che non si realizzano facendo cortei e occupando gli istituti scolastici, ma esigendo dalla scuola una formazione specifica in questo campo, che essa non dà. E la logica delle occupazioni non solo non va in questo senso, anzi la esonera da questo compito, perché crea delle brevi parentesi di preteso impegno (preteso: ai gruppi di studio nelle scuole occupate partecipano quattro gatti), creando i presupposti per poi gettarsi a corpo morto nello studio più scolastico per tutto il resto dell’anno.
Forse sarebbe ora che la si smettesse di prendersi in giro con questi riti pre-natalizi e si cominciasse a battersi perché la nostra scuola cambi davvero, non dando più spazio a slogan e grida, ma rendendo normali una seria informazione e un continuo confronto sui temi di attualità, alla luce della tradizione culturale di cui è portatrice. E per tutto l’anno. Non tra novembre e dicembre, come è sempre stato finora.
Giuseppe Savagnone {jcomments on}
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