16 Andarono dunque senz’indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia. 17 E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. 18 Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano. 19 Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
20 I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
21 Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.
Nel primo giorno dell’anno, la liturgia fa risuonare l’antica benedizione sacerdotale, ascoltata nella prima Lettura: “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,24-26). Questa benedizione fu affidata da Dio, tramite Mosè, ad Aronne e ai suoi figli, cioè ai sacerdoti del popolo d’Israele. È un triplice augurio pieno di luce, che promana dalla ripetizione del nome di Dio, il Signore, e dall’immagine del suo volto. In effetti, per essere benedetti bisogna stare alla presenza di Dio, ricevere su di sé il suo Nome e rimanere nel cono di luce che parte dal suo Volto, nello spazio illuminato dal suo sguardo, che diffonde grazia e pace.
La prima ad essere ricolmata di questa benedizione è stata Maria, la vergine, sposa di Giuseppe, che Dio ha prescelto dal primo istante della sua esistenza per essere la madre del suo Figlio fatto uomo. Tutta la sua vita è nella luce del Signore, nel raggio d’azione del nome e del volto di Dio incarnato in Gesù, il “frutto benedetto del suo grembo”. Così ce la presenta il Vangelo di Luca: tutta intenta a custodire e meditare nel suo cuore ogni cosa riguardante il suo figlio Gesù. La Madre di Dio è la prima benedetta ed è Colei che porta la benedizione; è la donna che ha accolto Gesù in sé e lo ha dato alla luce per tutta la famiglia umana.
È anche l’esperienza che hanno fatto i pastori di Betlemme, che compaiono ancora nel Vangelo di oggi. L’annuncio dell’avvenimento di Dio fatto uomo li ha raggiunti nella notte, nella fatica, nel freddo di una vita quotidiana, forse impegnata solo a sopravvivere. Ma ecco che allo sparire degli angeli, senza indugio, i pastori si incamminano verso Betlemme e trovano Gesù. Fanno l’esperienza di trovare Dio e stare alla Sua presenza ricevendo la sua benedizione non nella sala di un maestoso palazzo, al cospetto di un grande sovrano, bensì in una stalla, davanti ad un “bambino adagiato nella mangiatoia”. Proprio da quel Bambino si irradia una luce nuova, che risplende nel buio della notte. È da Lui, ormai, che viene la benedizione: dal suo nome – Gesù, che significa “Dio salva” – e dal suo volto umano, in cui Dio, l’Onnipotente ha voluto incarnarsi, per rivelarci pienamente la sua bontà.
In uno dei suoi bellissimi sermoni, quello per il Natale del 1618, il vescovo Lancelot Andrewes (1555-1626) costruisce il discorso a partire da questa osservazione: “Nel messaggio dell’angelo ci sono due parti: 1. la nascita, 2. il ritrovamento. Perché questa è una festa doppia: non solo la festa della sua nascita, ma anche la festa del suo ritrovamento. Per questo l’angelo non conclude l’annuncio con è nato per voi, ma dice altro: lo troverete. Non basta dire Cristo è nato, ma, per ricavare un vantaggio da questa nascita, noi dobbiamo trovarlo. È nato è la parte che fa lui: lo troverete è la nostra. Se non lo troviamo è come se non fosse nato. Per noi, per tutti. Nasce per noi quando lo si conosce”.
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