Il recente episodio del fallito abbandono, da parte degli eurodeputati 5stelle, dell’alleanza con il gruppo dell’antieuropeista Nigel Farage, per aderire a quello di Alde (Alleanza dei liberali e democratici per l’Europa), merita forse qualche riflessione. Soprattutto in un momento in cui si dà per probabile la vittoria del partito di Grillo alle prossime elezioni politiche.
La dinamica dei fatti è nota: a monte della decisione di aderire ad Alde c’erano state trattative tra Grillo stesso e il capogruppo dei liberali europei Guy Verhofstadt, il quale però, davanti alla sollevazione dei suoi, all’ultimo ha deciso di rinunziare all’operazione. Spiazzando così il leader del Movimento 5stelle, che già l’aveva data per fatta e l’aveva sottoposta al voto della “base”. «Siamo stati fermati dall’establishment, tutte le forze possibili si sono mosse contro di noi. Abbiamo fatto tremare il sistema come non mai», è stato il proclama di Grillo dopo questa clamorosa figuraccia. Una interpretazione quanto meno problematica, visto che la reazione di Farange al suo voltafaccia era stata di accusare proprio Grillo di essersi unito «all’establishment eurofanatico di Alde».
Ma forse mai come in questo caso l’altisonanza delle parole dell’ex comico ha dovuto cercare di coprire i problemi sollevati dalla sua disastrosa iniziativa. Il primo è dato dal fatto che Alde è il gruppo più decisamente europeista del Parlamento europeo. Ora, l’antieuropeismo è stato finora uno dei pochi punti fermi del programma dei 5stelle. In un panorama di propositi per lo più indirizzati al potenziamento delle forme dirette di democrazia, alla moralizzazione della vita pubblica e al risanamento ecologico, quello di uscire dall’area della moneta unica europea, promuovendo un apposito referendum, aveva una specifica valenza politica che connotava il futuro programma di governo del partito di Grillo. Peraltro, in coerenza con questa posizione, Grillo stesso aveva aspramente attaccato, anche in un recente passato, la linea del gruppo europeista.
La scelta dei 5stelle di chiedere l’adesione ad Alde non è stato dunque un aggiustamento della rotta fino a questo momento seguita, ma il suo totale ribaltamento. E si capisce bene perché gli eurodeputati di quel gruppo siano insorti, davanti a una simile ipotesi, che pure era allettante (Alde sarebbe diventato, con l’aggiunta dei grillini, il terzo gruppo parlamentare, accrescendo di molto il proprio peso politico), per garantire la serietà della loro posizione.
Ma il punto cruciale è che proprio la presa di posizione degli eurodeputati di Alde mette in luce una differenza fondamentale tra il loro stile e quello dei colleghi pentastellati: i primi, pur non dovendo cambiare di una virgola la loro linea, che sarebbe rimasta la stessa, si sono rifiutati di svilirla alleandosi con chi fino a ieri se ne poneva agli antipodi; i secondi hanno disinvoltamente accettato di cambiare di 180 gradi la loro, passando al fronte opposto.
Frutto di un lungo dibattito interno nel partito? Non precisamente. È accertato che gli europarlamentari del Movimento, fino a domenica, quando Grillo ha annunciato la svolta, erano all’oscuro perfino delle trattative avviate dal loro leader con Verhofstadt. E lo hanno detto senza mezzi termini. «Ho appreso la notizia, con sorpresa e sconcerto, questa mattina», ha scritto su Facebook Marco Zanni, eurodeputato dei 5stelle. protestando «contro il metodo utilizzato, che non ha nulla a che fare con democrazia diretta». «La decisione del voto di oggi è stata presa all’oscuro di tutti gli eurodeputati», è stato l’amaro commento, sempre su Facebook, di Marco Affronte, che il giorno dopo ha annunciato la sua decisione di uscire dal partito, anche a costo di pagare i 250.000 euro di penale prevista per questa ipotesi dal regolamento del partito.
E la base del Movimento? I sostenitori dei 5stelle, che domenica si erano svegliati fermamente euroscettici, hanno saputo alle 10 di mattina da un post che avevano tempo fino alle 12 del giorno dopo per pronunziarsi democraticamente, on line, sulla svolta già enunciata dal loro leader.
E in effetti 40.654 iscritti si sono pronunziati, con il 78,5% dei votanti a dire l’atteso sì. Ora, non si vuol mettere in questione, qui, il merito di una simile decisione. Ma un arco di tempo di poco più di 24 ore sarebbe inadeguato anche a decidere dove andare a fare le vacanze. E l’adesione o meno all’Europa e alla moneta unica europea è un problema di grandi proporzioni, con mille risvolti politici ed economici, per le enormi ricadute che ha sulla vita di un Paese. Che da un mattina all’altra la grande maggioranza degli aderenti a un partito che ha fatto dell’antieuropeismo la sua bandiera capovolga la propria posizione, senza alcun dato nuovo, senza alcun confronto, non può non lasciare fortemente perplessi sulla consapevolezza della loro scelta precedente.
C’è di più. Dopo il “gran rifiuto” di Alde, Grillo ha dovuto sconfessare il voto plebiscitario dei membri del Movimento e ritornare all’alleanza con i nazionalisti antieuropeisti. Questa volta con ancora maggiore risolutezza (è stata la condizione posta da Farage) e senza neppure chiedere un’approvazione-lampo, come aveva fatto la prima volta per la scelta opposta. Giravolta nella giravolta. E tutto nel nome della democrazia diretta, su cui si basa anche la proposta dei 5stelle di introdurre il vincolo di mandato, vale a dire l’obbligo del parlamentare al rispetto del programma elettorale e alla permanenza nel partito per il quale è stato eletto e che la nostra Costituzione esclude esplicitamente (art. 67).
Sono molti in Italia coloro che in questi ultimi anni, comprensibilmente delusi dai partiti tradizionali, hanno visto nel Movimento 5stelle una salutare prospettiva di rinnovamento della politica, fondato, secondo i solenni propositi ufficiali, sull’ascolto delle reali esigenze e della volontà della “base”. Ma, davanti a questi scenari, non è necessario essere dei politologi per notare che in realtà siamo davanti a un verticismo che non ha riscontro in nessun altro partito. La volontà della “base” la decide Grillo. E il vincolo di mandato, già di fatto introdotto nel Movimento (i 250.000 euro di penale), indica in realtà la pura e semplice sottomissione alle decisioni del “capo”, prese senza consultare (anzi nemmeno avvertire) nessuno. Dove, a questo punto, lo slogan del Movimento – «Mandiamoli tutti a casa» – acquista il sinistro significato di: «Al potere, in Italia, ci sia solo Beppe Grillo». Che, alla luce della abilità politica dimostrata in questo episodio, farebbe pure ridere, se non fosse che ora lui pretende di parlare non più da comico, ma da dittatore.
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