“La morale non è un ramo
della filosofia, ma la
filosofia prima”
(E.Lévinas)
La meditazione sull’uomo e sull’universo dell’umano, oggi attuale come sempre, occupa una posizione centrale nell’orizzonte della proposta filosofica lévinassiana. Secondo il pensiero di Lévinas il nostro rapporto col mondo è un rapporto con l’Altro che la tradizione filosofica occidentale ha cercato di assorbire, identificando l’Altro a sé, spogliandolo della sua alterità. La filosofia dell’alterità si configura quindi come la contestazione profonda dell’egocentrismo che sembra influenzare fin dal suo sorgere ogni ipseità e insieme come lo sforzo di pensare in modo etico l’insostituibilità e l’unicità dell’individuo.
Le fondamentali esperienze di vita in cui si radica il suo pensiero: gli orrori delle guerre mondiali, della prigionia, dell’Olocausto del suo popolo, fanno da premessa per comprendere la sua opera. Infatti, nei suoi scritti fa risuonare il grido degli antichi profeti e quello delle vittime della violenza antisemita, presentandone l’istanza imperativa come la contestazione decisiva del corso prevalente della cultura occidentale, in cui ha dominato l’ontologia totalitaria, in cui la storia ha schiacciato gli individui e la guerra è stata il momento risolutivo delle relazioni umane e l’Altro è stato visto anzitutto come il nemico.
Nel dibattito contemporaneo la questione morale investe aspetti di estrema delicatezza e complessità, come mostrano, ad esempio, le argomentazioni relative ad ambiti dell’esistenza e della coesistenza umana, talmente facili a volte, talmente impossibili altre. Sono questioni che riguardano tutti e sembrano ineludibili perché relative ad opzioni ed esperienze sia della vita sociale, sia della vita di pensiero, in cui tutti siamo coinvolti, e la cui soluzione potrebbe essere affidata alla riflessione filosofica, quella dell’etica che è chiamata a fornire contributo valoriale. Viviamo in un periodo storico in cui la cultura dominante fa pensare a un possibile mito dell’ ‘uomo forte’ che potrebbe riportare a una struttura politica quei totalitarismi del Novecento che pensavamo ormai aver superato. Pensavamo fossero dietro la porta quando invece sembrano essere solo dietro l’angolo, coperti da semplice foschia tessuta da diverse forme di colonialismo fino ad arrivare ad oggi: un tempo non più caratterizzato dalla freccia cartesiana, ma dall’immagine del labirinto o, come profeticamente affermava Italo Calvino – in una delle magistrali Lezioni americane – un mondo che obbedisce, non più a leggi lineari, ma ha, come segno distintivo, la complessità; e dunque questa complessità bisognerebbe saperla interpretare e gestire. I corsi e ricorsi della storia fanno molto riflettere e capita di osservare gli eventi presenti avvertendo sensazioni di spiacevoli déjà-vu. Potrebbe risultare interessante ripensare oggi, alla luce degli ultimi eventi che hanno caratterizzato il nostro tempo, la dialettica identità-alterità espressa in Totalità e Infinito la cui valenza richiama domande su questioni di senso e di valore, attraverso una matrice di stampo etico-filosofico.
Ed è vero che, per dirla con Lévinas, la vera vita è assente, ma noi siamo al mondo, e proprio in questo mondo, è presente anche l’Altro, comunque si voglia intenderlo.
Nell’opera Totalità e Infinito il tema della relazione con Altri è l’argomento centrale, il sottotitolo – Saggio sull’esteriorità – indica quella esteriorità radicale, trascendente ogni interiorità egologica, che solo nell’ alterità, caratteristica dell’altro uomo, ci è dato incontrare.
Il termine totalità rimanda alla tendenza di fondo dell’ontologia predominante della filosofia occidentale che vorrebbe racchiudere l’essere nella luce dell’unico e totalizzante abbraccio della conoscenza. La critica alle linee di fondo della filosofia occidentale si presenta, dunque, in quest’opera, soprattutto come la critica all’idea di totalità, acquisendo una portata non solo ontologico-gnoseologica, ma storico-politica. La ragione totalitaria finisce, infatti, secondo Lévinas, per concentrarsi nell’elevazione della storia universale a giudizio inappellabile dell’operato dei singoli, nella considerazione della guerra come strumento risolutivo del confronto politico ed infine nella giustificazione di tutti i regimi totalitari.
Quanto al termine infinito, che costituisce il secondo elemento del titolo dell’opera, esso rimanda a ciò che opera la rottura della totalità, ovvero l’irrompere in noi della relazione etica tramite l’appello che ci viene dal volto bisognoso ed indifeso dell’altro uomo.
Totalità e Infinito, allora, impegnata per un verso nella critica della filosofia occidentale della totalità conoscitivo-razionale, per un altro verso è rivolta a mostrare le condizioni del farsi realtà dell’impegno etico, a svolgere un concetto di soggettività che ribalti ad un tempo sia la soggettività del soggetto conoscente sia quella del soggetto impulsivo irrazionale.
La soggettività umana autentica è quindi, per Lévinas, quella che si costituisce come responsabilità unica ed insostituibile per altri in virtù dell’appello etico. Esattamente, egli individua nell’etica il ruolo stesso della verità metafisica, arrivando a sostenere che l’etica è la stessa metafisica, la filosofia prima. L’esperienza fondamentale che dovrebbe convincere della rottura della totalità e della maggior pregnanza filosofica dell’idea di infinito rispetto all’idea di totalità, si trova quindi nell’apparire del nudo volto dell’Altro di fronte al soggetto. L’infinito, che sul volto dell’Altro si rivela come esperienza concreta e perfino quotidiana, mette in scacco quelle che da sempre sono state considerate le qualità indiscutibili del soggetto, la sua capacità di dominare e comprendere ciò che gli sta intorno e mette in crisi o disfa le varie forme con cui tende a fare rientrare nel già noto l’Altro, ovvero nella stessa generalissima precomprensione dell’essere.
L’ Io proposto da Lévinas ha quindi la caratteristica di essere in grado di mantenere una relazione con l’Altro senza annullarlo. Si tratta di una nuova visione della soggettività, come ciò che accoglie Altri, come ospitalità.
Come sostiene l’autore, il presentarsi dell’Altro come volto nudo e, come tale, misero ed impotente, per un verso sembra offrirlo indifeso al mio potere fino al punto di suscitare in me il desiderio di ucciderlo, ovvero di negarlo totalmente, ma per un altro verso, invece, tale nudità oppone una resistenza infinita al mio potere, dal momento che neppure l’omicidio può eliminare il comando etico che nella nudità del volto si esprime. Dunque, la relazione etica tra me e Altri non è quindi una relazione simmetrica di reciprocità ma una relazione asimmetrica, e si instaura quindi come responsabilità di me verso Altri, come responsabilità assoluta che non dipende, in quanto tale, dalla reciproca responsabilità di Altri verso di me.
Di conseguenza, il soggetto, investito dalla responsabilità verso l’Altro, non viene abbassato, bensì innalzato, dal momento che è responsabile di costruire la pace, in tutte le sue valenze, con l’Altro. In una prospettiva di reciproca convivenza, nell’ottica di edificazione di una società solidale, è forte il ruolo giocato da ciascuno che diviene referente principale di integrazione e di inclusione. L’alterità si trova a fondamento di qualunque interazione umana: riconoscere l’Altro, seppur diverso da me, diviene un assunto fondamentale soprattutto se si considera che esistiamo nello stesso mondo e nelle stesse categorie di spazio e di tempo.
In qualsiasi momento della nostra vita l’Altro è prima di tutto colui che ci sta accanto: ad esempio lo straniero, visto come diverso, e del quale non comprendiamo o vogliamo capire la cultura e la storia. Forse attraverso l’educazione all’altro si potrà permettere di creare una società più coesa e in armonia con il creato, superando lo spettro di un ritorno agli errori tragici del secolo scorso. Infatti, le notizie sociopolitiche attuali sono spesso disarmanti; e oggi le scelte politiche sembrano andare contro quei valori della società occidentale che sembravamo aver acquisito. La non soluzione al problema migratorio viene trattata con una serie di chiusure, di soluzioni transitorie o di accenni verso un ritorno ai nazionalismi. Allora ripensare Lévinas la cui impronta è di recentissima memoria potrebbe essere utile per ‘crescere in alterità’, per riflettere sulla valenza della posizione della propria soggettività come punto di partenza di buon senso, optando per una cooperazione internazionale che punti da un lato allo sviluppo dei Paesi di origine e da un altro a una politica demografica più compatibile con l’eco sistema del pianeta.
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