All’inizio dell’anno, in occasione degli auguri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, Papa Francesco ha tenuto un discorso come sempre ricco di contenuti. In particolare, nel ribadire la necessità di “un impegno comune nei confronti di migranti, profughi e rifugiati, che consenta di dare loro un’accoglienza dignitosa”, ha sottolineato l’importanza di “saper coniugare il diritto di «ogni essere umano […] di immigrare in altre comunità politiche e stabilirsi in esse», e nello stesso tempo garantire la possibilità di un’integrazione dei migranti nei tessuti sociali in cui si inseriscono, senza che questi sentano minacciata la propria sicurezza, la propria identità culturale e i propri equilibri politico-sociali.
“D’altra parte, gli stessi migranti non devono dimenticare che hanno il dovere di rispettare le leggi, la cultura e le tradizioni dei Paesi in cui sono accolti”. Quindi ha ricordato come sia indispensabile “un approccio prudente da parte delle autorità pubbliche non comporta l’attuazione di politiche di chiusura verso i migranti, ma implica valutare con saggezza e lungimiranza fino a che punto il proprio Paese è in grado, senza ledere il bene comune dei cittadini, di offrire una vita decorosa ai migranti, specialmente a coloro che hanno effettivo bisogno di protezione”.
Non è la prima volta che Papa Francesco usa il termine “prudenza”, ma l’accostamento al tema dell’immigrazione all’interno di un discorso ufficiale, lo rende ancora più significativo. Finora le parole del Papa sul tema immigrati sono apparse molto forti, quasi martellanti. Il valore dell’ospitalità è stato proposto in molte occasioni, con radicalità evangelica, senza timori ed incertezze. Che senso può avere adesso collegare immigrati e prudenza? Solo chi attribuisce al termine “prudenza” un significato erroneo può pensare che il Papa abbia mutato l’impostazione che lo caratterizza da sempre.
In un’epoca di comportamenti trasgressivi la parola prudenza può sembrare del tutto anacronistica, ma se ben compresa può sprigionare indicazioni preziose anche per l’oggi. Innanzitutto occorre sgombrare il campo dagli equivoci più diffusi. La prudenza come virtù non ha nulla a che fare con un generico buon senso, una specie di precauzione insistita che rifiuta ogni forma di rischio, la ricerca esclusiva di una convenienza personale. E’ una delle quattro virtù cardinali e fa parte del patrimonio filosofico più antico dell’umanità. Nel mondo precristiano ne hanno già parlato Platone ed Aristotele. Per quest’ultimo la phronesis ha un ruolo essenziale nella vita sociale, ed equivale alla saggezza che deve caratterizzare non solo il politico, ma anche tutti i decisori: “la prudenza/saggezza non ha come oggetto solo gli universali, ma bisogna che essa conosca anche i particolari, giacché essa concerne l’azione, e l’azione riguarda le situazioni particolari. È per questa ragione che alcuni uomini, pur non conoscendo gli universali, sono, nell’azione, più abili di altri che li conoscono, e questo vale anche negli altri campi: sono coloro che hanno esperienza” (Etica Nicomachea, VI, 7). Per Tommaso d’Aquino, che riprende l’insegnamento di Aristotele, la prudenza è la virtù che conduce tutte le altre.
Come mai, allora, una virtù così essenziale per la convivenza umana sembra quasi scomparsa dal lessico dei cattolici più impegnati nei vari ambiti della società dove si richiede, per fare bene il bene, non solo conoscenza profonda dei principi, ma anche molta esperienza e sapere pratico? La persona prudente sa vedere la realtà delle cose in maniera oggettiva, senza deformarla in rapporto, per esempio, alla paura. Non a caso Papa Francesco ha voluto accostare la prudenza ad un tema incandescente per la società attuale come l’immigrazione, non per frenare l’impegno nei confronti degli immigrati, ma per contrastare la paura crescente di tanti cittadini, anche cattolici (una paura da comprendere per aiutare a superarla) che viene però alimentata dai professionisti della paura (una “modalità” di fare politica da criticare duramente perchè strumentalizza consapevolmente la fragilità umana).
La carità non è solo slancio e generosità, ma anche direzione ed ordine. La persona prudente non è meno interessata di altri al bene comune, ma cerca di proporre concretamente come realizzarlo, senza inseguire sterili estremismi ed illusorie utopie. Se Papa Francesco non ha contrapposto accoglienza degli immigrati a sicurezza ed identità culturale di chi accoglie, anche i cattolici presenti nei diversi schieramenti dovrebbero evitare di farlo, cercando sempre le soluzioni praticabili nel qui e ora, il bene possibile, che solo la virtù della prudenza può garantire, soprattutto quando riguarda un problema complesso ed immenso come l’immigrazione.
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