E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.
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I Sepolcri di Foscolo. A diciassettenni. Sfida complessa, per l’argomento e per il linguaggio. Duecentonovantacinque versi sono tanti, e occorreva scegliere. L’azzardo, qui, è quello di scegliere gli ultimi versi, elaborati, complessi, apparentemente lontani dal vissuto dei ragazzi. Ma, nonché bellissimi, importanti per l’educazione del loro immaginario.
Da cosa sono preceduti questi versi? É noto: Foscolo, a dispetto della sua matrice materialistica, ha affermato l’importanza della tomba come luogo di affetti privati e di memoria pubblica. La tomba è veicolo di identità, di memoria e di civiltà. Il mondo classico è al centro della meditazione foscoliana, perché lì il culto dei morti è centrale. Dal culto dei morti l’Italia deve trarre le mosse per riconquistare prestigio, dignità e soprattutto la libertà politica. Tante immagini, suggestioni, concetti, finché si arriva qui: vengano a parlarci le Muse stesse, che custodiscono i sepolcri, perché solo la poesia è in grado di vincere il silenzio di mille secoli. C’è nel territorio dell’antica città di Troia ancora al tempo di Foscolo una tomba, quella degli eroi troiani sconfitti nella celebre guerra, la tomba inaugurata da Elettra, ninfa amata da Giove, che pianse su di lei; la tomba su cui Cassandra profetizzò inascoltata la distruzione di Troia. La tomba che evoca la sconfitta, il fallimento, la distruzione. Tutto è perduto a Troia. Tutto è morte e devastazione. Ma un giorno, lo predice Cassandra, un vecchio poeta cieco entrerà nel sepolcro e lo interrogherà. Il sepolcro piangerà e parlerà, il poeta canterà e consolerà. Tutti verranno ricordati, vincitori e vinti. L’unico nome è quello del vinto Ettore.
Questo, doverosamente, il contenuto dei versi. I temi in gioco: la vita e la morte, la memoria, gli affetti, la poesia, l’umano. La morte è presa in custodia dalla poesia. L’idea forte è questa. Quando tutto tace ed è muta “l’armonia del giorno”, la poesia è capace di far risentire un’eco, un sospiro. Foscolo indugia sul pianto di Giove per la sua amata Elettra, un pianto che rende sacro quel corpo e la sua tomba. Il testo insiste sulla sacralità della tomba. La tomba è sacra perché a renderla tale è il dolore di chi piange e ricorda, e non importa che il quadro di affetti rappresentato in questi versi affondi le sue radici nella leggenda. Anzi, proprio per questo il tutto assume una dimensione emblematica, di paradigma intramontabile.
Giove piange la morte della sua Elettra, le donne troiane sciolgono le loro chiome pregando che i loro mariti non periscano in guerra. Cassandra sa che tutto sarà distrutto, ma sa anche che il suo destino è quello di non essere creduta, ed insegna il pianto ai più piccoli. La tomba è luogo in cui si apprende l’umanità, ed un condensato di umanità è tutto il discorso di Cassandra con cui il poeta conclude il suo carme. Troia sarà distrutta, Cassandra non sarà ascoltata, Ettore sarà sconfitto, ma l’ultima parola è del vecchio che osa scendere tra i morti e intervistarli. É il “sacro vate” che può far questo, figura forse dello stesso Foscolo, che è capace di purificare il dolore col canto e di rendere intramontabile la tragedia umana.
Chi è il poeta? Chi è il poeta oggi? Quel vecchio cieco, che erra, che brancola, che si insinua tra le tombe, che le abbraccia, che le interroga, che le ascolta. L’umanità quando non si rassegna alla routine del visibile, del vincente, del banale. La fragilità del poetare, che brancola nel buio quando tutto è illuminato dai riflettori del palcoscenico social-mediatico. La fragilità di chi ha voglia di ascoltare i morti, o se vogliamo i senza voce, i residuali, gli sconfitti. L’eterna funzione della letteratura e della poesia, che spariglia le carte e dà dignità di esistenza a chi è stato travolto dalla storia. Come la ginestra di memoria leopardiana, o gli umili di memoria manzoniana o ancora i vinti di memoria verghiana.
Dare voce alle tragedie umane. Che costellano ogni tempo, compreso l’attuale. E travolgono eroi, figure importanti, ma anche persone ordinarie o anonime. E le tragedie, lo ricordino i ragazzi, sono sempre a rischio di oblio quando i riflettori si spengono su di esse. I media. Tra i banchi studiare Foscolo può costituire l’obiezione di coscienza verso l’oblio. Omero rappresenta il desiderio di ogni uomo che ciò che ha contato rimanga. Gandhi, Luther King, Romero, Kennedy, ma anche i nostri morti di mafia o di terrorismo, Moro, Mattarella, e ancora Impastato, Falcone, Borsellino, Puglisi e tanti altri i cui sepolcri sono ancora meta di visite.
Tu avrai l’onore delle lacrime, Ettore, ovunque sarà considerato sacro e sarà compianto il sangue versato per la patria e finché il Sole risplenderà sulle sciagure umane. Ettore, che non è mai esistito perché esiste sempre, in quanto sconfitto e perdente ha l’onore dell’ultima immagine di questo capolavoro. Ettore vive laddove chi versa sangue per la patria, oggi diremmo lo Stato, ha l’onore del ricordo collettivo. Sì, perché le sciagure umane non hanno l’ultima parola. Il Sole può risplendere su di esse. Purché gli uomini si ricordino, purché gli uomini non disimparino il piangere, purché gli uomini sappiano sostare sul dolore, purché gli uomini abbiano ancora voglia di ascoltare la poesia, ultima trincea della memoria.
Se la scuola può ancora offrire percorsi umanizzanti, passare da questi testi è imprescindibile.
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