Recentemente mi sono iscritto ad una specie di fan club di Luigi di Maio, un gruppo su internet . Non fraintendetemi, non sono un particolare sostenitore del Movimento 5 Stelle (ma sono neanche uno dei suoi tanti detrattori per partito preso). Lo ammetto: il motivo per cui mi sono iscritto a questo gruppo non è dei più simpatici. Ne avevo sentito parlare come di un covo di ingenuotti, pieno di post assurdi e inverosimili condivisi nella più totale (e quindi tanto più divertente) buonafede, di interventi sgrammaticati e di orrori improponibili e dunque esilaranti.
Insomma, mi ci ero iscritto un po’ per curiosità, un po’ per trovare del materiale di cui ridere con gli amici.
Quello che vi ho trovato, invece, è stato più fonte di perplessità, rabbia e preoccupazione che di risate. Purtroppo, infatti, la situazione è molto peggiore rispetto a come me l’avevano descritta; e, soprattutto, indica delle tendenze probabilmente diffuse, il cui significato e la cui portata va ben oltre l’ambito ristretto e tutto sommato insignificante della comunicazione leggera e dello scambio di opinione via internet, un equivalente telematico delle chiacchiere da bar. Anche perché i numeri degli utenti non sono trascurabili. Questo gruppo, da solo, conta sessantacinque mila utenti (!), e ve ne sono innumerevoli altri affini, di diversi colori politici.
Veniamo ai contenuti. Ho visto post sul recente ricovero della Boldrini, con immagini della faccia della ministra modificata e storpiata, riempirsi di commenti in cui alla ministra si augurava la morte, o la chiusura a tempo indeterminato in una clinica psichiatrica, o lo stupro da parte degli immigrati il cui ingresso in Italia sarebbe accusata di favorire. Molti dei commenti notavano stupiti gli “occhi da pazza” e la mascella deforme, indicandoli come segni di un’indole depravata: segno dell’incapacità degli utenti di distinguere una foto pesantemente e vistosamente modificata da una autentica.
Ho visto condividere delle immagini di un falso profilo di Renzi in cui si mettevano in bocca all’ex primo ministro frasi prese da un famoso ed esilarante diverbio in tv tra Zequila e Pappalardo. Nessuno degli utenti è stato in grado di riconoscere la (celeberrima) citazione, ma non è questo il punto. Nessuno si è sorpreso che un personaggio come Renzi potesse aver usato quel linguaggio urlato e volgare in un momento così delicato della sua vita politica. Nessuno si è minimamente posto il problema della possibilità che quella foto fosse un falso. C’era, quindi era vera. E anche quando io stesso ho segnalato l’inautenticità della foto, con degli argomenti a sostegno (la mancata “spunta blu” che serve a distinguere un profilo ufficiale di un personaggio pubblico dagli innumerevoli falsi) e l’origine della citazione, decine e decine di commenti successivi mostravano che i lettori continuavano a prendere assolutamente per buona quella “notizia” – e che quindi o non si erano presi la briga di andare oltre l’immagine ed il titolo leggendo i commenti più in vista, oppure non gliene era importato.
I post spacciati per notizie (da siti assolutamente inattendibili anche ad una prima occhiata) e che invece sono poco più che un inarticolato grido di rabbia ed un’offesa sputata in faccia a qualche politico costituiscono il tipo di post più comune. Nella quasi totalità dei casi, la notizia è falsa o semplicemente assente: post troppo generici e vaghi per avere un qualche contenuto reale. Molto spesso volano accuse verso un’intera classe di persone (i banchieri, gli immigrati, i politici) che viene giudicata – tutta indistintamente – colpevole. In questi casi non vi è, evidentemente, alcun contenuto informativo. Non si dice niente di preciso, non viene riportato alcun fatto. Si grida semplicemente “dagli all’untore!”
In altri, si tratta di un click-bait, ossia una notizia con un titolo “urlato”, d’impatto emotivo ma volutamente vago (“SCANDALOSO! GUARDATE COSA HA FATTO QUESTO DISGRAZIATO ALLE SPALLE DEGLI ITALIANI”) e che invece ha scarso o nullo contenuto. In qualche caso, invece, il contenuto c’è, ma non viene riportato con un tono semplicemente informativo, che lasci al lettore lo spazio, l’onere ed il privilegio di formarsi da solo un giudizio in merito: la quasi totalità dei “fatti” su cui si discute in gruppi simili non sono già più “fatti” nel momento in cui vengono riportati e resi oggetto di discussione. La notizia è già stata ben masticata e digerita dallo scrittore – e viene risputata al lettore infarcita di giudizi, coloriture emotive, esclamazioni, maledizioni, auguri di futuri successi ai “nostri” beniamini o di future pene ai malfattori. Fatti, valutazioni e interpretazioni vengono fatti coincidere; un solo punto di vista viene presentato come quello possibile. Lo scopo reale di questi post non è quello di “informare” qualcuno su qualcosa – non è neanche quello di creare una discussione, ma unicamente quello di creare un clima da tifoseria (“se sei d’accordo metti like e condividi”): del resto se c’è un solo punto di vista possibile su un fatto, non ci può essere alcuna discussione al riguardo, a meno che non si sia in mala fede: infatti per l’utente medio di questi gruppi chiunque provi anche solo minimamente a dissentire non può che essere, naturalmente, un infiltrato (del PD, di solito) o un traditore: la realtà è chiara, chiarissima, non è che – per esempio – Renzi abbia fatto una manovra controversa, RENZI È UN FARABUTTO, GUARDA COSA HA FATTO AGLI ITALIANI MENTRE NOI PENSAVAMO AL CALCIO, quindi cosa c’è da discutere? Cosa c’è da dissentire? I dettagli non importano, le fonti non importano, nessun margine di dubbio, la discussione non c’è: Renzi è un politico (categoria portatrice di stigma), Renzi ha governato, Renzi non è dei 5 Stelle, “noi” stiamo male, quindi RENZI È UN FARABUTTO. Ed il trattamento riservato ai traditori e agli infiltrati è disumano ed esemplare. Ho visto uomini di quaranta e cinquant’anni entrare nei profili facebook di ragazzini di quindici anni e pubblicare le immagini loro e delle persone a loro vicine, definendone le fidanzate dei “cessi” e denigrandoli in modo vergognoso per essersi macchiati della colpa di essere “troll del PD” e traditori degli italiani quelli veri.
Qui non si tratta, evidentemente, di una contestazione ad un’idea di verità “troppo forte” per auspicare un ritorno del relativismo epistemologico o etico. Al contrario, questo atteggiamento denota la morte di qualsiasi volontà conoscitiva. Non c’è la possibilità di mantenere la benché minima distanza tra la realtà e gli stati psicologici, le esigenze, i malesseri ed i criteri di valutazione del soggetto. Viene meno, in una parola, la funzione della ragione. Non c’è discussione, critica, analisi possibile perché la realtà è il “mio” malessere, la “mia” frustrazione, la “mia” insoddisfazione. Gli italiani stanno male, quindi chi li ha governati finora ha sbagliato. Con la forza di questa verità banale viene fatta saltare la possibilità di entrare nel merito e di avanzare qualsiasi distinguo. Se qualcuno sta meglio dell’uomo comune probabilmente non è “migliore” di lui; probabilmente – anzi sicuramente – è colpevole: le classi ricche e le classi dirigenti vengono condannate senza appello e senza alcuna distinzione, dai politici alle star ai giornalisti ai banchieri. Ma anche i più vulnerabili e i più estranei vengono guardati quantomeno con sospetto: meglio io che “loro”, e questo spiega i numerosi post di diffidenza e antipatia nei confronti degli immigrati.
La cosa curiosa è che alla radice la frustrazione di queste persone è pienamente giustificata. Il malessere è reale. Le rivendicazioni che avanzano sono almeno in parte legittime. La diffidenza verso le classi dirigenti è pienamente comprensibile: basta un’occhiata alla storia recente d’Italia per constatare come effettivamente tanto la classe politica nella sua interezza quanto gli alti dirigenti del mondo economico e finanziario e la gran parte del mondo intellettuale hanno fallito, per incapacità quando non per dolo.
Il problema è che le rivendicazioni e le accuse si fermano al livello dell’urlo, dell’offesa e della bestemmia. Non sono riflessioni: sono espressioni. L’uomo che le pronuncia è ridotto alla sua pancia. Quello che vuole l’utente medio di quei gruppi non è discutere, non è capire: è sentirsi capito, sentirsi rassicurato, sentire assecondata la sua rabbia, avere modo di accrescerla e dei compagni con cui sfogarla. Sentirsi dire che non è lui a essere sbagliato, è il mondo – la “casta”, i ricchi, i privilegiati, tutti quelli che lui ritiene stare meglio o essere colpevoli della sua sventura. Non vuole avere a che fare col diverso (quanto a idee, visioni del mondo, estrazioni sociali, culture); ma solo veder amplificato e reso forte dai numeri il proprio modo di pensare e di essere. È la forma 2.0 della propaganda: una propaganda che non cala più (solo) dall’alto, ma è infinitamente riprodotta, moltiplicata e potenziata da ciascun destinatario. Il meccanismo della condivisione fa sì che chiunque sia vittima della propaganda ne diventi anche complice; e spesso le notizie e i post condivisi sono opera diretta dei membri del gruppo.
In quest’ottica, chiunque sia “nuovo” ha buon gioco a cavalcare l’onda e a incanalare queste esplosioni di sdegno e rabbia a suo vantaggio. Del resto, il movimento 5 stelle dice quello che il suo adepto vuole sentirsi dire: riconosce il malessere, sa che qualcuno deve esserne responsabile ed è lesto a dargli un volto. E questo volto non può essere quello dei politici del movimento (sono giovani, nuovi nella scena pubblica, quindi hanno le “mani pulite” e questo evidentemente basta a garantire per loro) né quello dell’uomo comune stesso: gli italiani – rassicura il movimento – sono le vittime, non i colpevoli. E se qualche volta gli italiani hanno forse votato male è stato perché i media li hanno manipolati o perché il sistema aveva le maglie così strette che, diciamocelo, in qualche modo si deve pur sopravvivere.
Non si tratta qui di stupidità, ignoranza o analfabetismo funzionale (o almeno non solo di questo). Gli aderenti a questo genere di gruppi sono perfettamente in grado di riconoscere una bufala – quando questa bufala va a vantaggio dei loro nemici politici e a svantaggio dei loro beniamini. Nessuno di loro è mai cascato in uno dei post falsi messi volutamente in giro da parte degli infiltrati (sì, ci sono davvero) che fanno parte del gruppo solo per farsi due risate e prenderli in giro con i post più improponibili e le notizie più false.
Quindi si può dedurre che non è che non siano capaci di distinguere tra vero e falso.
È che non vogliono. Non vogliono fare questo sforzo. Non vogliono sentire ragioni e non vogliono essere messi in discussione – perché dato che stanno male evidentemente hanno ragione. Non vogliono fare distinguo, perché i distinguo sono superflue sofisticherie che rallentano il cambiamento e l’azione, l’espressione della rabbia e del disagio. Non vogliono fermarsi a fare verifiche, perché sarebbe superfluo: la validità della loro posizione sta nella profondità del loro disagio. È veramente l’era dei misologi, degli “odiatori dei discorsi” di platoniana memoria (per usare un’immagine e forzando l’accezione del termine).
E dare tutta la colpa di questo al Movimento 5 stelle o alle dinamiche del web sarebbe errato. Ho seguito l’evoluzione politica di Grillo dagli inizi al momento attuale; i suoi primi spettacoli di stampo più serio ed impegnato richiedevano una certa cultura, una notevole capacità di mettere in dubbio l’esistente, ed uno spiccato senso critico per essere compresi. Erano, insomma, discorsi complessi per gente capace di fare delle distinzioni e portare a termine delle analisi mettendo in dubbio abitudini e modi di fare dati per scontati.
Il target di riferimento era, evidentemente, la giovane borghesia benestante ma ribelle, sia pure in modo velleitario, e vicina ai no global, insieme agli uomini di (media) cultura delusi dal capitalismo e dal sistema economico e politico attuale. Col tempo Grillo ha capito di avere fatto presa su un bacino di possibili voti enormemente più ampio: la piccola e piccolissima borghesia, la media borghesia di cultura bassa, e in generale tutti quelli lasciati indietro dalla crisi e dai cambiamenti economici degli ultimi anni –a tutti gli incapaci di adeguarsi alle nuove richieste e alle esigenze disumane dell’economia degli ultimi anni, forse perché troppo anziani, forse perché privi per altri motivi della flessibilità, della cultura e perché no anche della fortuna necessaria. E a questo bacino andava rivolto un messaggio che fosse comprensibile e capace di conquistare la fiducia in modo totalizzante. I messaggi, dunque, si sono sempre più semplificati: la visione del mondo no-global e “umanista” del Grillo politico degli esordi è stata messa in secondo piano per dei molto più semplici e fruibili inni all’onestà, alla gioventù, al taglio dei costi della politica e alla punizione dei colpevoli.
Ma è stato Grillo ad adeguarsi alla formazione del suo bacino elettorale, non il contrario. Quel bacino elettorale era lì, pronto con i suoi criteri tutti fondati sull’emotività e la pretesa di pancia, la sua attitudine all’urlo e alla prevaricazione, e la sua mancanza di senso critico. Aveva già ricevuto la sua formazione. E da chi era stato formato, per l’appunto?
Chi scrive questo articolo ha ventotto anni. Mi ricordo benissimo, dunque, di un’era che potremmo chiamare pre-internet per tutti e pre-Grillo. E mi ricordo anche la qualità media dei talk show politici, dei programmi di satira, delle campagne elettorali dell’epoca. Mi ricordo benissimo dove l’italiano medio ha imparato che vince chi urla più forte; dove ha imparato a prevalere nelle discussioni con uno scarica-barile di colpe e accuse infamanti; dove ha imparato che è più forte chi non ascolta le critiche che gli si rivolgono, chi non entra nel merito delle contestazioni e dei problemi, ma risponde chiamando in causa le scelte del “precedente governo di centrodestra-sinistra”.
La causa prossima dell’epoca della post-verità e del populismo è la classe dirigente che ora da essi teme di essere seppellita. La causa remota sono decenni, se non secoli, di relativismo e di esaltazione dell’emotività passata alla cultura popolare in maniera acritica e spesso fraintesa: “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, si sente spesso dire, così come si sente spesso dire che “ognuno ha la sua verità che dev’essere rispettata”. Oggi il popolo dei cinque stelle pensa che il proprio cuore ed il proprio ventre abbiano sempre e comunque ragione, anche quando vogliono legiferare, e di avere non solo il diritto alla propria verità, ma di essere loro stessi tale verità.
E non solo il popolo dei cinque stelle, ovviamente. Perché in rete si trovano gruppi fotocopia e pagine con lo stesso spirito a sostegno di Renzi (per non parlare della pagina facebook di Salvini e di altri gruppi dell’estrema destra).
Insomma, il populismo è figlio di quella classe dirigente che vorrebbe rimuovere a parole. Spesso è volutamente utilizzato da essa come un facile mezzo di propaganda; e quando così non è, esso riproduce comunque i criteri di giudizio, le forme idiote di gestione della discussione e del conflitto, le tonalità espressive e non riflessive portate avanti dalla maggioranza delle forze politiche e della classe intellettuale negli ultimi decenni della storia d’italia.
È evidente, dunque, che qualunque forza politica che voglia davvero essere rivoluzionaria – chiunque voglia “uccidere” culturalmente e socialmente i padri di questa triste fase della storia sociale, politica ed economica italiana e occidentale, non potrà esimersi dalla fatica e dallo sforzo di conquistare il proprio elettorato utilizzando criteri e metodi radicalmente differenti, per quanto meno immediati e più incerti essi possano essere. Dovrà forse accollarsi addirittura l’impegno di educare il proprio elettorato ad un modo di essere differente rispetto a quello attuale, affinché le sue stesse rivendicazioni possano trovare un soddisfacimento autentico e non solo apparente ed in sintonia col bene comune.
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