Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure non era più giovane; era pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da satanasso, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina. Perché la Lupa non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar messa, né per confessarsi. Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei.[…]
La chiamavano bocca di rosa…, cantava De André, e faceva venire in mente questa novella di Verga, parte della raccolta Vita dei campi e destinata ad un successo teatrale e cinematografico. La vicenda è nota. Una donna delle campagne sicule di fine Ottocento faceva parlare di sé per la sua esuberanza sessuale priva di ogni controllo. Il povero contadino Nanni cade nelle grinfie della ‘gna Pina e per liberarsene non può che ucciderla, dopo averne sposato la figlia, aver accettato la suocera in casa propria ed essere diventato lo zimbello del paese.
La parola chiave la dice lui stesso ai carabinieri cui è stato denunciato dalla moglie Maricchia: tentazione. E’ questo il tema formativo di fondo, ma non solo. La lupa è un testo capace di far vedere l’umano senza briglie. Non definibile in alcun modo. Persino il proverbiale appellativo “donna di facili costumi” sembra ridurre la dimensione della nostra protagonista. Davvero qui risuonano le parole di Ivano Fossati e Fiorella Mannoia, nella celebre Oh, che sarà..: ….quel che non ha ragione/nè mai ce l’avrà/quel che non ha rimedio/nè mai ce l’avrà/quel che non ha misura. Già l’appellativo che dà il titolo alla novella orienta il lettore. Siamo al di qua dell’umano. Costei è insaziabile: non era sazia giammai di nulla. Implacabilità del desiderare, impossibilità di aderire a convenzioni e istituzioni. E religione. Sì, perché l’ambiente sociale e culturale delineato dallo scrittore trasuda di simboli religiosi: le donne si facevano la croce quando la vedevano passare.
Ragione e religione sono le grandi alleate e le grandi assenti dall’orizzonte della Lupa. Ai ragazzi generalmente piace la lettura di questo testo, perché parla di libertà, ma al contempo sono incuriositi e disorientati da una possibilità antropologica così estrema, che li spinge a interrogarsi sulla potenza e sull’impotenza degli schemi e delle convenzioni sociali. In classe la si finisce spesso per buttarla sul morale, ma presto ci si rende conto che anche l’ approccio etico finisce per ridurre la portata esistenziale del lavoro verghiano. La lupa sembra proprio al di là del bene e del male, e non si fa fatica ad avere un occhio benevolo verso di lei proprio perché dal suo orizzonte sembrano dileguarsi la cattiveria, la strategia e la premeditazione. La lupa vive in una dimensione di eccedenza dell’essere, e tutti coloro che si imbattono in lei non possono che rifugiarsi nella Religione e nella Legge.
Il brigadiere ed il parroco, infatti, diventano due figure chiave, che tentano di tenere Nanni al riparo dalla tempesta ormonale che irrompe quotidianamente nella sua ordinarietà di contadino e a cui egli cede. La tentazione. Nanni è intercettato in quel che desidera anche lui, che pur ha voluto farsi una famiglia e vivere in modo, come oggi si direbbe, “sistemato”. Il suo progetto di vita tranquilla è scombussolato dall’irrompere di un eros scomposto e irresistibile. Nanni addirittura prega il brigadiere di tenerlo in galera o di ucciderlo.
Si diceva dei simboli religiosi. Il diavolo quando invecchia si fa eremita. Di lei si parla come si parlerebbe del diavolo, perché la sua capacità di destrutturare gli equilibri razionali umani è paragonabile soltanto alla forza malefica di satana, con la quale solo la religione può e deve contrastare. Persino Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero servo di Dio, aveva persa l’anima per lei. Quando Nanni, colpito dal calcio di un mulo, sembra star per morire, il parroco addirittura gli rifiuta la comunione finché non avesse cacciato via la lupa da casa sua. Ma quando guarisce, il diavolo torna a tentarlo e a ficcarglisi nell’anima e nel corpo. Il linguaggio di Verga non fa sconti. Nanni è come un posseduto.
Non sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasciconi sui ciottoli del sacrato innanzi alla chiesa, in penitenza – e poi, come la Lupa tornava a tentarlo: “Sentite!” le disse, “non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi, com’è vero Iddio, vi ammazzo!” “Ammazzami,” rispose la Lupa, “ché non me ne importa; ma senza di te non voglio starci.” Questo passaggio è emblematico del rapporto che il testo instaura tra tentazione, religione e magia. Amore e morte combattono strenuamente senza alcuna possibilità di compromesso.
E’ una full immersion antropologica di grande portata formativa. Al di là della fabula, alquanto semplice, l’interesse sta nella tragedia umana a tinte forti che viene presentata ai ragazzi, posti davanti – loro digitalizzati e spesso artefatti o omologati – ad un mondo arcaico, dalle emozioni primigenie, in cui eros ed ethos si battono a duello ed è solo la morte ad avere l’ultima parola.
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