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Gesù e i gay

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grande_gesu_inclusivo-520x245L’occasione di queste riflessioni nasce a seguito di un recente intervento di Enzo Bianchi che così si è espresso in merito alla posizione della Chiesa rispetto all’unione civile fra gli omosessuali, tema oggi tanto dibattuto: “Se Cristo nel Vangelo parla del matrimonio come unione indissolubile, nulla dice in merito all’omosessualità. L’onestà, quindi, ci obbliga ad ammettere l’enigma, a lasciare il quesito senza una risposta. Su questo, io vorrei una Chiesa che, non potendo pronunciarsi, preferisca tacere.” Da un lato vi sono dunque quelli che sostengono che questo silenzio indichi la perfetta continuità tra quanto è affermato contro l’omosessualità nell’Antico Testamento e dall’altro vi sono quelli che, come Enzo Bianchi, pensano che il silenzio di Cristo sull’argomento in questione, imponga una doverosa sospensione di ogni giudizio.

Tuttavia è possibile tracciare una terza via che, superando l’ipotesi dell’enigma e della conseguente impossibilità di una sua soluzione, ci porta a comprendere la questione come un falso problema. In altre parole, il fatto che il tema dell’omosessualità non trovi nei Vangeli alcuna tematizzazione, a nostro avviso, sta ad indicare semplicemente che esso non ha alcuna rilevanza all’interno del messaggio evangelico. Infatti se Cristo non ha detto nulla in proposito non è certo per caso, dal momento che, all’occorrenza, non ha avuto alcuna esitazione ad esprimersi, come ha fatto riguardo l’unione fra uomo e donna, il matrimonio, persino riguardo la pedofilia, rispetto alla quale è possibile rinvenire esplicite condanne. Non parlarne non è stata dunque una dimenticanza da parte di Gesù, ma una scelta ben precisa, in linea peraltro con il fine stesso delle Sacre Scritture che è quello di rivelare il volto di Dio ad ogni persona che vi si accosti, nessuno escluso, attraverso un percorso di conoscenza-amore del Padre e al tempo stesso di conoscenza di sé. Questa è anche la ragione per cui la religione cristiana, a differenza di quella musulmana, risulta del tutto sganciata dal discorso morale, nel senso che il fine ultimo non è mai la prassi, bensì la vera conoscenza, quella procede di pari passo con l’amore; ed è più che evidente che questo fine non può che prescindere del tutto da ogni caratteristica personale, incluso ovviamente l’orientamento sessuale.

Recentemente Papa Francesco ha affermato: “Se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla” proprio a sottolineare che ogni giudizio in merito esula dalle competenze della Chiesa. Questa dunque non è tenuta al silenzio perché Gesù non ci ha lasciato una sola parola sull’argomento, bensì perché il suo compito è quello di rivelare, sempre e comunque, il volto misericordioso di Dio e di testimoniare che non esiste debolezza umana che non possa tradursi in esperienza di grazia e di salvezza. Pertanto se è vero che nell’AT è la legge a condannare come peccato l’omosessualità, nel NT, attraverso Gesù Cristo, la legge trova il suo pieno compimento nell’amore che diviene la misura di tutte le cose. Non potrà esistere dunque amore fra esseri umani che possa avere meno dignità e di conseguenza l’amore fra due persone dello stesso sesso non potrà mai avere un valore diverso da quello che viene comunemente riconosciuto fra due persone di sesso differente.

Detto questo, tuttavia non possiamo esimerci dal prendere in considerazione, sia pur brevemente, la famosa lettera ai Romani, in cui secondo molti sarebbe rinvenibile una esplicita condanna dell’omosessualità. Se è vero che la scrittura si commenta con la scrittura, allora la nostra lettura non potrà prescindere dal contesto di riferimento di San Paolo, il quale si rivolge alla società pagana pre-cristiana, considerata corrotta e idolatrica.   Sono dunque innanzitutto parole rivolte contro coloro che vivono vite piene di cupidigia, malizia, invidia, lotte, calunnie, mancanza di rispetto per i genitori, di orgoglio e di odio verso Dio (v. 29-31). Tra questi vizi vi sono pure quelli di coloro che, mossi unicamente dalla ricerca smodata di piacere, sono determinati a profanare persino i loro stessi corpi – ridotti a meri strumenti di piacere – al punto da allontanarsi dalle loro tendenze innate. Si tratta di una vera e propria idolatria dei corpi: se infatti il corpo, nella prospettiva cristiana, è il tempio di Dio, allora disonorando il corpo, è anche e soprattutto la relazione con Dio che viene profanata.

L’omosessualità condannata nella lettera paolina non ha dunque nulla a che fare con le inclinazioni omosessuali innate o naturali, bensì con quella ricerca incondizionata del piacere fine a se stesso che in ultimo si traduce in vizio contro natura, ossia in un vizio acquisito. Pertanto, possiamo dire, in ultima analisi, che la sola condanna di Paolo è rivolta contro tutto ciò che si oppone a quell’amore che, come si legge nella lettera ai Corinzi “si compiace della verità e che tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Indubbiamente tutto ciò non mette in discussione il fatto che il matrimonio cristiano rimane prerogativa esclusiva dell’incontro fra un uomo e una donna. Nelle Sacre Scritture, infatti, la sessualità è intesa come quel grande dono che, attraverso la procreazione, rende l’uomo e la donna compartecipi dell’opera creatrice di Dio. Non si tratta dunque di una presa di posizione contro gli omosessuali – i quali a diverso titolo e in diversi modi, come tutti i figli di Dio, partecipano al disegno divino – ma di una inevitabile constatazione che nasce dal fatto che solo l’amore eterosessuale ha in sé le potenzialità di una piena compartecipazione all’atto della creazione stessa.

Tuttavia, vale la pena chiedersi perché mai il messaggio cristiano che per definizione è universalmente salvifico, si trovi oggi a dover fare i conti, in un modo o in altro, con una questione di tipo morale. Cosa ha a che fare il Dio dell’amore, della salvezza, della misericordia con l’omofobia, addirittura con la transfobia, in ultima analisi con le preferenze sessuali delle persone? Infatti, se è vero che amore è innanzitutto l’agape, ossia amore tra fratelli che si riconoscono figli di uno stesso Padre, la stessa possibilità di distinguere o di discriminare le persone in base alla sessualità non è forse del tutto incompatibile con il messaggio evangelico? Non è forse evidente il fatto che ogni tendenza sessuale sia del tutto irrilevante nell’economia del discorso salvifico e che la buona novella sia rivolta ad ogni uomo e ad ogni donna in quanto tali? Queste domande ci portano in ultimo ad interrogarci su quale sia l’immagine di Dio dell’uomo contemporaneo.

Di certo, oggi occorre fare attenzione al rischio di mondanizzare la religione, di strumentalizzare la Parola, piegandola alle logiche mondane emergenti. Occorre cioè mettersi al riparo da false e spesso pretestuose esigenze imposte da una società che non cessa di accarezzare il sogno dell’auto-divinizzazione di un uomo, il quale appare sempre più vittima di se stesso e del suo delirio di onnipotenza. A tal fine, tutti i mezzi a disposizione per impadronirsi del segreto genetico della vita e per riuscire a manipolarla in ogni forma possibile e immaginabile –  dalla fecondazione eterologa all’utero in affitto – sarebbero da considerarsi per ciò stesso leciti. Ed è in questo scenario che in parecchi Paesi europei si sta inserendo il matrimonio omosessuale, approvato sotto la spinta di  lobbies le quali, se da un lato sembrerebbero mirare alla tutela della minoranza omosessuale, di fatto  perseguono già da tempo un fine strumentale assai più ampio, ossia quello di determinare una destabilizzazione morale e sociale attraverso il riconoscimento e l’enfatizzazione di tutte le tendenze individuali edonistiche e narcisistiche.

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