«Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.
Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Altre tre parabole sul Regno vanno a concludere le 7 contenute nel tredicesimo capitolo del vangelo raccontato da Matteo. In questa XVII domenica del tempo ordinario A ci vengono presentate quella del tesoro nascosto, quella della perla e quella della rete; quest’ultima per alcuni aspetti è simile a quella della zizzania, in quanto rimanda ad una separazione dei pesci buoni e di quelli cattivi ma in un tempo futuro, quando saranno raccolti pesci di ogni tipologia. Infine, c’è chi considera parabola anche la similitudine tra lo scriba-discepolo e il “padrone di casa” che dal suo tesoro estrae “cose nuove e cose antiche”.
Tuttavia commenterò solamente le prime due menzionate, che hanno contenuto abbastanza simile; le “accoppiate” sono abbastanza frequenti in Matteo. Tesoro nascosto e perla ci dicono, molto semplicemente, che c’è qualcosa di prezioso per cui è bene spendersi, perché ne vale la pena. Questo è in relazione con il Regno dei cieli che è il modo in cui l’amore che lega Gesù con suo Padre può regnare anche nelle relazioni umane, come avevamo visto nella spiegazione di due domeniche fa, che silenziosamente, gradualmente e inesorabilmente inizia già a compiersi, su questa terra, presso chi vive le beatitudini: lì Dio si fa presente in modo tangibile con Gesù che va ad abbracciare tutti gli esclusi e li accompagna nell’abbraccio del Padre.
Tesoro nascosto e perla ci dicono che chi ha incontrato Gesù e ha accettato la sua proposta di amore reciproco e di giustizia che si attua attraverso la misericordia ha fatto un grande affare: vivere nel suo amore è conveniente! Non si fa una rinuncia per nulla. Va ad ogni modo inteso che il Regno è paragonato alle due situazioni nel loro complesso, con il comportamento dei vari personaggi, più che alle similitudini del “tesoro nascosto” o del “mercante di perle” che ci vengono subito presentate, altrimenti si finirebbe per concentrarsi esclusivamente su uno dei molteplici aspetti che possono emergere: il sacrificio sostenuto, la scaltrezza dell’agire, il valore, l’urgenza attuale, la gioia (menzionate dall’esegeta Gerhard Lohfink). Come per tutte le parabole, per giunta, le allegorizzazioni e le moralizzazioni successive sono state innumerevoli e molte di esse si concentrano sulla preziosità della legge cui fa riferimento il salmo 118 odierno o di Gesù che incarna “il tesoro della sapienza e la perla della giustizia” (Paolo Farinella) esaudendo la richiesta – già di per sé giusta e saggia – di Salomone nella prima lettura (1Re 3,5.7-12).
Nel primo caso un bracciante povero trova un tesoro nascosto in un campo che non è suo. Non esistendo grandi banche di deposito, casseforti o cassette di sicurezza, a quel tempo era normale sotterrare le cose preziose. Il ritrovamento di quel tesoro – si potrebbe pensare ad un vaso colmo di monete d’argento – è avvenuto per caso fortuito. Tuttavia, se non avesse fatto un lavoro di scavo o di aratura del terreno, difficilmente il contadino lo avrebbe potuto trovare, in quanto era stato sepolto proprio per evitare furti o razzie. Il padrone di quel campo ignora la presenza di quel tesoro e lo vende per quel poco che pensa potesse valere l’appezzamento di terreno – per la sua apparenza esteriore – ma comunque una somma ingente per quel contadino che decide di vendere “tutti i suoi averi” per poter essere proprietario di quel campo. Non si sa quanto il padrone si potesse capacitare della “pazza idea” del contadino, per il quale si trattava di un sacrificio ragionevole e quindi assolutamente non di un “peso”: per lui era un investimento certo, perché aveva già incontrato quel tesoro e ne aveva fatto esperienza tangibile. Di qui una gioia piena che sempre più ha iniziato a crescere, avvicinandosi alla possibilità concreta di avere nella sua vita quel tesoro. Sa di aver fatto la cosa giusta, perché quel campo valeva molto di più di quanto potesse spendere. Insomma: una vera occasione che non poteva lasciarsi scappare di mano!
Nel secondo caso la similitudine si apre non con un tesoro ma con una persona: un mercante all’ingrosso di perle, quindi si tratta di un uomo ben più ricco rispetto a quello presentato nella parabola precedente. Qui abbiamo di fronte un intenditore, che fa della valutazione meticolosa una professione; in questa parabola l’aspetto della casualità – pur in qualche modo presente pure qui – passa in secondo piano rispetto a quello della ricerca che l’ha condotto a solcare mari lontani. E il fatto che quella perla sia di grande valore era noto sia al proprietario che la mette in vendita pubblicamente ad un prezzo altissimo, sia al mercante che decide nonostante tutto di acquistarla. Come il personaggio del racconto precedente, anch’egli deve “vendere tutto” per poterne godere; in questo caso non vi è un “profitto” esplicito, ma anche questo acquirente sicuramente ottiene una gioia che, seppur non espressa, ripaga abbondantemente il prezzo sostenuto. Egli infatti ha potuto far sua quella perla che aveva tanto desiderato: la più preziosa possibile.
Entrambe sono complementari; vi è della scaltrezza, soprattutto nel primo caso, ma nessuna di esse deve essere fraintesa come un invito ad ambire a ricchezze materiali né tantomeno a comprarsi il Regno, bensì è un rendersi conto del suo valore, perché chi lo conosce sa che vale assolutamente la pena investire la propria vita su di esso. Questo nuovo modo di relazionarsi con Dio e con il fratello è concreto, e già il potersi avvicinare ad esso suscita gioia. Entrambi i personaggi – povero e ricco, che abbiano incontrato Gesù casualmente o dopo una lunga ricerca, in terra o per mare, provenienti dal mondo pagano o giudaico – hanno comunque rinunciato a tutto per ottenere qualcosa di meglio. Non hanno “dovuto” farlo per costrizione esterna né interna: è piuttosto la gioia, libera e spontanea, ad averli spinti. Se non avessero conosciuto concretamente sulla propria pelle la gioia del Regno che riempie la loro esistenza, quale motivo avrebbero avuto per agire? Addirittura, con Lohfink, potremmo chiederci: se Gesù stesso non avesse avuto in cuor suo la gioia della sua relazione con il Padre, che cosa lo avrebbe spinto a parlare per tutta la Galilea con inaudita libertà, allontanandosi dalla famiglia, rinunciando ad avere moglie, casa, figli e potere mondano? È invece quella tangibile, incontrata dal contadino e dal mercante di perle, la spinta entusiasta che continua ancora oggi a muovere milioni di cristiani in tutto il mondo.
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