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Il lavoro, i migranti, la fuga dei giovani siciliani e l’arroganza del potere: il discorso alla Città dell’arcivescovo Corrado Lorefice per il 393° Festino di Santa Rosalia

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L’arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice, in occasione del 393° Festino di Santa Rosalia il 15 luglio 2017, ha tenuto il tradizionale discorso alla città.

Tuttavia stavolta il vescovo ha formulato non solo un bellissimo e appassionato discorso, ma vi compare in esso, come in filigrana, una sorta di programma per il rilancio della città e per la promozione dei suoi cittadini.

Di seguito si ripercorrono le tappe essenziali del discorso e in seguito se ne trarranno alcune conclusioni non solo significative, ma anche impegnative per la comunità diocesana.

Il vescovo ha iniziato parlando delle “pesti”, che oggi affliggono Palermo, e la Sicilia più in generale, e che – segnando a fondo la vita quotidiana di ciascuno – stanno comportando due esodi epocali: l’esodo dei figli della nostra isola verso le nazioni più evolute, alla ricerca di futuro, e l’esodo dei popoli del sud del pianeta verso le coste siciliane, alla ricerca di rifugio e di possibilità di sopravvivenza.

Da questa constatazione è partito un accorato appello del nostro Vescovo:

«Care Palermitane, Cari Palermitani, sarebbe un grave errore contrapporre i due esodi, quello dei nostri giovani e quello dei popoli del Sud. Chi ha una responsabilità politica ed è purtroppo miope e ignorante può farlo. Noi no. Noi no. Pensare che sia larrivo di tanti fratelli dal Sud del mondo a togliere il lavoro ai nostri giovani è una totale idiozia. Al contrario: lesodo epocale dallAfrica attraverso il Mediterraneo è l’appello, e soprattutto lopportunità che la storia ci offre, per ribaltare il perverso assetto del mondo e della sua economia; per creare nuove possibilità e nuove speranze proprio grazie allaccoglienza e allintegrazione dei tanti che giungono e che già oggi sono un polmone del lavoro e dello stato sociale in Italia. Lalleanza tra i due esodi, e non la contrapposizione, è il vero orizzonte che ci può consentire un passaggio nuovo. I migranti e i giovani in Sicilia non sono reciprocamente nemici, ma sono il popolo del futuro, il popolo della speranza».

Sono temi che non solo interpellano le coscienze, ma che sono di grande attualità e intersecano il dibattito socio-politico, che in quest’ambito non appare disgiunto o indifferente ai sentimenti ecclesiali. In riferimento a ciò il vescovo ha chiarito:

«L’ho detto più volte e lo ripeto: qui lo ‘ius soli’ c’è già, a dispetto delle beghe vergognose dei palazzi della politica in questi giorni. Qui chi arriva e tocca terra è già da subito palermitano. E questo è un atteggiamento bellissimo, che Palermo non deve perdere mai. Un atteggiamento fattivo che dobbiamo trasferire ed applicare a tutta la nostra storia, a tutte le nostre emergenze».

A questo quadro, già molto difficile e problematico, il vescovo ha aggiunto la denuncia di altre calamità endemiche per la Sicilia, come gli incendi boschivi, realizzati per mano dolosa, e gli atti vandalici, perpetrati per sfregiare la memoria di chi in Sicilia ha versato il sangue nell’esercizio feriale della propria professione, come Giovanni Falcone. Dietro questa nuova grande peste dei nostri giorni Mons. Corrado riconosce e denuncia l’opera della mafia:

«Ecco, c’è un atteggiamento di questo tipo, quello di chi si dà da fare per distruggere la natura, lambiente, ma anche per distruggere gli altri, perché questa è la mafia, la mafia è la distruzione dellaltro, comunque lo vogliamo pensare: ecco c’è un atteggiamento distruttivo e in ultima analisi mafioso, che non rispetta niente e nessuno, che scommette e gode della distruzione, che pensa sopra di me nessuno’ – tantomeno Dio! – ‘dopo di me il diluvio’».

santa rosalia

Infine il vescovo ha concluso il suo discorso alla cittadinanza con un appello morale, indirizzato alla coscienza di ognuno, invitando tutti ad essere consapevoli che Dio opera nella storia non attraverso miracoli e prodigi realizzati nella passività dell’attesa umana, ma attraverso l’opera di uomini che dedicano la loro vita a fare la volontà di Dio, come hanno fatto e testimoniato, fino alla morte, il giudice Paolo Borsellino e il mite, ma grandissimo, don Giuseppe Puglisi:

«Usciamo stasera dai nostri egoismi, dai nostri cinismi, e sogniamo con Rosalia il Regno di Dio tra di noi, una Sicilia diversa, una Palermo nuova, che è alla nostra portata, che è nelle nostre mani».

Questo discorso individua alcune importanti preoccupazioni, da assumere come direttrici programmatiche per l’Arcidiocesi di Palermo, sulle quali tutti siamo chiamati a riflettere, se le si vuol dare un seguito pratico.

Di seguito qui si riportano non per importanza, ma, più semplicemente, ripercorrendo l’ordine espositivo adottato dal vescovo.

La prima preoccupazione è il lavoro, la cui “mancanza endemica” rischia di sottrarre la speranza di un domani ai giovani: senza “lavoro vero, dignitoso, costruttivo, teso a cambiare il mondo,” non può esserci domani e diventa impossibile alimentare la speranza di futuro!

La seconda preoccupazione è l’accoglienza incondizionata di chi decide di sfidare la morte pur di sfuggire ad un destino segnato dalla povertà e dall’ingiustizia, che sono frutto dello squilibrio volutamente creato dalle nazioni forti del pianeta, per tenere in condizioni di sfruttamento e di sopraffazione i popoli più poveri. In quest’ambito Mons. Corrado Lorefice auspica uno ‘ius soli integrale, che non chiede “dove sei nato”, ma solamente “dove ti trovi”!

La terza preoccupazione sono l’incuria (“dalla peste non si esce se non siamo noi a curare le ferite, pulire le strade, creare spazi nuovi, cammini condivisi”) e l’individualismo (sollecitazione a prendere “le distanze dallindividualismo e da interessi personali o di gruppo”), che hanno il loro esito – ma anche il loro inizio – nel fenomeno mafioso, che perciò viene presentato come un fenomeno che affonda le sue radici in una crisi endemica morale e in una sciatteria culturale, che rischiano di configurarsi come irredimibili. La mafia come dato endemico culturale e antropologico è forse l’intuizione più chiara e più forte in questo discorso.

La quarta preoccupazione è come suscitare nel popolo la volontà e la forza per uscire da questa condizione di assopimento morale – quindi anche religioso – e culturale: per questo il vescovo parla di un luogo (“il monte di biblica memoria”): «in cui non c’è più sopruso, violenza e rapina, in cui non c’è guerra, non ci sono conflitti fratricidi, ma si sta gli uni accanto agli altri a celebrare la gioia dellincontro». Da qui l’invito ad uscire dagli egoismi, ad abbandonare i cinismi e a sognare una Sicilia diversa, una Palermo nuova, le cui sorti sono nelle mani di ciascuno dei suoi abitanti.

Questo discorso – e le istanze con esso sollevate – può esser letto come un vero e proprio programma dell’episcopato palermitano di Mons. Corrado Lorefice, dove sentimento religioso e impegno sociale paiono convergere. Programma complesso, coraggioso e difficile, la cui realizzazione interpella sia lo spirito cristiano sia la coscienza civile dei palermitani e dei siciliani: per questo esso richiede il sostegno costante, l’adesione sincera e la partecipazione fattiva dei fedeli cristiani dell’Arcidiocesi di Palermo.

Per facilità di consultazione, si riporta il link del discorso integrale di Mons. Corrado Lorefice:

http://www.arcidiocesi.palermo.it/pls/palermo/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=366095&rifi=guest&rifp=guest

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