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La festa senza fine

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Introduzione alla lectio divina sul brano di Gv 2, 1-12

 

domenica 20 gennaio 2013

 

E tre giorni dopo (lett. Il terzo giorno), ci furono nozze a Cana di Galilea e c’era là la madre di Gesù. 2 Fu invitato (lett. chiamato) alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.  3 Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: “Non hanno vino”. 4 E Gesù le dice: “Che cosa (c’è) fra me e te, donna? Non è ancora giunta la mia ora”. 5 Sua madre dice ai servi: “Fate quello che vi dirà”.            6 Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna due o tre barili. 7 E Gesù disse loro: “Riempite d’acqua le giare”; e le riempirono fino all’orlo. 8 Disse loro di nuovo: “Ora attingete e portatene al maestro di tavola”. Ed essi gliene portarono. 9 E come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva donde venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l’acqua), chiamò lo sposo 10 e gli disse: “ Ogni uomo mette da principio il vino buono e, quando sono un po’ brilli, quello meno buono; tu hai conservato fino ad ora il vino buono”.                                                                                                                  11 Questo fece Gesù (come) principio dei suoi miracoli (lett. segni) in Cana di Galilea e manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12 Dopo questo fatto, discese a Cafarnao insieme con sua madre, i fratelli e i suoi discepoli e si fermarono là non molti giorni.

 

Nozze di Cana – Cappella Scrovegni, Padova (1305) – Giotto

 

I brani evangelici che abbiamo ascoltato in queste ultime domeniche hanno un filo conduttore: nell’Epifania del Signore ricordiamo la manifestazione di Gesù ai Magi, cioè ai sapienti, espressione delle genti pagane d’Oriente; con il Battesimo celebriamo la manifestazione di Gesù, l’agapetos, il diletto, al popolo di Israele; con le nozze di Cana assistiamo alla manifestazione di Gesù ai suoi discepoli ed all’inizio del suo ministero pubblico.

Non è un caso che la Chiesa delle origini facesse memoria (nel giorno dell’Epifania) di tutti e tre questi passi del Vangelo.

Il tempo ordinario, dunque, ricomincia con il brano giovanneo del primo “miracolo” di Gesù, un miracolo che, a differenza di quanto narrato dagli altri sinottici, non è in Giovanni un atto di dunamis (lett. potenza, forza), ma si rivela piuttosto come semeion, cioè segno. Un segno è un elemento rivelatore, di manifestazione, appunto, un input che ci conduce ad una realtà più profonda e può essere interpretato da colui al quale è rivolto a seconda del proprio livello di comprensione. Il testo evangelico, dunque, non si presenta tanto come la narrazione di un evento sensazionale (perché non si parla degli sposi? chi sono?), ma come un viaggio di progressiva emersione della buona novella attraverso diversi percorsi simbolici .

Giovanni, solito nel suo vangelo a servirsi di questi simboli (come le nozze, l’acqua, il vino buono, le giare) che fanno spiccare il contrasto tra il livello di interpretazione umana e quello di Gesù, usa il segno della trasformazione da acqua in vino in un contesto nuziale per manifestare per la prima volta ai discepoli che si stringono intorno a lui il futuro gioioso della alleanza tra l’umanità ed il suo Dio. Del resto, il richiamo al “dopo tre giorni” del v.1 rimanda proprio ad un evento fortemente connesso alla Resurrezione.

Gesù conduce, infatti, i discepoli che ha appena prescelto – quegli stessi discepoli che fino a pochi giorni prima avevano seguito la rigida disciplina di digiuno del Battista – ad una festa di nozze presso la quale Egli è stato chiamato e dove sua madre lo precede.

La festa nuziale è organizzata da gente umile (il vino certamente non sarebbe mancato) ma osservante (le sei idrie sono di pietra – e non di impura terracotta – e permettono le rituali abluzioni). All’improvviso, tra questa gente viene a mancare il vino, simbolo della gioia e della festa. La madre percepisce immediatamente l’assenza del vino e lo fa presente al Figlio.

La dura reazione di Gesù sorprende per la decisa presa di distanza da colei che, in fondo, non ha chiesto miracoli, ma ha solo rappresentato un disagio per tutti. Questo enigmatico dialogo stupisce meno, però, se pensiamo che nei vangeli Gesù ha sempre trattato con schietta ostilità ogni persona o cosa che potesse in qualche modo intralciare l’adempimento della sua missione, quand’anche tale intralcio fosse costituito dai suoi legami familiari o di sangue.

Gesù avverte il pericolo di anticipare il Tempo del Signore, anche di fronte ad una situazione che giustificherebbe obiettivamente un suo intervento. In questo Gesù si rivela maestro nell’ascolto del Padre e interprete assoluto della sua Ora. Neanche Maria, icona della Chiesa, può dettare i tempi al Figlio, ma deve limitarsi a seguirne le orme.

E così avviene: Maria invita i servi ad un ascolto attento della sua Parola (Fate quello che egli vi dice).

Gesù, comunque, non lascia che le nozze, espressione dell’alleanza tra uomo e donna, ma anche dell’alleanza tra Dio ed il suo popolo (si pensi al libro di Osea) rimangano senza senza festa.

L’acqua, simbolo della antica alleanza tra Dio e Israele, serve a dissetare, ma non serve alla festa. Appare ancora utile (Gesù nel suo miracolo non ne fa a meno), ma deve essere trasformata.

Dunque Gesù parla, legge l’opportunità di tracciare una anticipazione del cielo aperto promesso a Natanaele in favore dei suoi discepoli (e dei servi di tavola, unici veri destinatari insieme con Maria del segno; il maestro di tavola non riconosce “donde” viene il vino). Parla e, come nella creazione, dalla Parola sgorga la vita.

Il gusto di questo vino buono trasforma una normale festa nuziale in una straordinaria celebrazione, tanto che il maestro di tavola si rende conto che si sono capovolte le logiche ordinarie. Gli uomini danno generalmente il meglio all’inizio, ma poi prevale la stanchezza, la distrazione, l’abitudine. Ma qui è diverso. Si sperimenta una gioia che non dura solo per i primi tempi, come capita nell’esperienza umana soggetta al tempo, una gioia che persiste fino alla fine, anche quando tutti sono un po’ più stanchi. Anche dopo la morte. E’ questo il segno della speranza che Dio ha in serbo per noi. È questo che attraverso il segno Gesù rivela ai suoi discepoli.

E da questa consapevolezza escatologica – e non dalla condivisione di valori umani, per quanto apprezzabili – per l’evangelista Giovanni nasce la comunità messianica.

 

Lorenzo Jannelli

 

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