In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti ed agli anziani del popolo: 28 «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: Figlio, va’ oggi a lavorare nella vigna. 29 Ed egli rispose: Sì, signore; ma non andò. 30 Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: Non ne ho voglia; ma poi, pentitosi, ci andò. 31 Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Dicono: «L’ultimo». E Gesù disse loro: «In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. 32 È venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli.
Gesù, nei versetti precedenti la pericope odierna, ha ripreso i capi religiosi che hanno fatto del Tempio di Gerusalemme, casa del Padre suo, un mercato. Ora le stesse autorità religiose si scagliano violentemente contro Gesù, chiedendo su quale autorità basi il suo operato. Cristo non risponde direttamente, ma con un altro interrogativo: l’autorità del Battista “veniva dal cielo” o “dagli uomini”?
I capi religiosi sono consapevoli che in qualunque modo rispondano alla domanda di Gesù vanno contro la loro convenienza, quindi decidono di non controbattere. Matteo presenta allora tre parabole, rivolte da Gesù ai capi e sacerdoti perché si convertano.
Da qui la sua domanda secondo lo stile delle dispute: “Che ve ne pare?” che apre le “parabole di rottura” rivolta ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo. Il racconto della parabola presenta una contrapposizione di risposte e di comportamenti tra i due figli: un assenso puramente verbale a cui non segue nessuna azione e un rifiuto a parole cui segue invece l’adesione operativa. Un uomo, ricco proprietario, ha due figli: al primo, che affettuosamente chiama “Figlio” chiede di recarsi alla loro vigna. Questi risponde in maniera irrispettosa ma, in seguito pentitosi, si reca nella vigna per affrontare la dura giornata di lavoro; il secondo figlio, alla uguale proposta del Padre, replica ossequiosamente “Vado Signore”, ma non va. Alla richiesta del Padre egli risponde – come il figlio primogenito della parabola lucana del Padre misericordioso – non come figlio, ma come schiavo che si rivolge al proprio padrone.
Ecco dunque la domanda di Gesù al termine della parabola: “Chi dei due ha fatto la volontà del Padre?”. Si tratta di prendere adesso una posizione. È chiaro che l’obbedienza implica fatti concreti, non vuote promesse e nessuno dei presenti ha difficoltà a dare la risposta corretta. In questo modo Gesù è riuscito a metterli con le spalle al muro, costringendo i sommi sacerdoti a esprimere un giudizio di condanna. Ed ecco il giudizio di Cristo “in verità, in verità ti dico”, parole dure e solenni preambolo di un annuncio sconvolgente: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio”. Prostitute e pubblicani sono peccatori per eccellenza, esclusi secondo la mentalità ebraica da ogni possibilità di salvezza. Ma Cristo ribalta i termini della questione mostrando un Dio che non vuole che si perda nessuno: è sufficiente avere fede in lui percorrendo la “via della giustizia” (cfr. Mt 9,9; Lc 7,36-50). I presenti non rientrano in nessuno di queste categorie, perché dopo avere rifiutato Giovanni Battista, continuano a non pentirsi e rigettano adesso anche Cristo, rimanendo attaccati ad una fede esteriore.
È un appello forte alla conversione del cuore che il Vangelo odierno ci rivolge, una conversione che non riguarda solo il momento di adesione iniziale alla fede ma che coinvolge la nostra fede vissuta: ogni giorno siamo chiamati a riconoscere di essere bisognosi della misericordia del Padre per riprendere con rinnovato slancio e gioia il nostro cammino alla sequela di Cristo. Con le parole di Gregorio di Nissa, si va “di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine”.
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