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L’equivoco delle liste pulite

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Nel loro documento dell’ottobre scorso, alla vigilia delle elezioni regionali, «Amate la giustizia, voi che governate sulla terra», i vescovi siciliani, pur invitando i fedeli a non lasciarsi trascinare dalla facile tentazione dell’astensionismo e ad adempiere il loro dovere di cittadini, sottolineavano che le prospettive di resurrezione dell’Isola riguardavano «non solo l’ormai prossimo appuntamento elettorale, ma soprattutto il periodo che ad esso seguirà».

L’esito dell’appuntamento elettorale non ha corrisposto all’invito dei pastori: con un astensionismo che ha raggiunto la soglia record del 52,58% i siciliani, pur riconoscendosi in larghissima misura nella tradizione cattolica dell’Isola, hanno ignorato la raccomandazione dei loro vescovi di non disertare le urne. Di conseguenza, anche sul secondo punto, quello relativo alla costruzione a lungo termine di un futuro diverso, è calata l’ombra del dubbio che esso sia destinato a rimanere disatteso. A confermarlo viene ora questa campagna elettorale per le elezioni politiche nazionali che, a distanza di pochi mesi, riproduce sostanzialmente gli scenari non esaltanti di quella per le regionali.

Non che non sia cambiato proprio nulla. Il monito proveniente dall’astensionismo record registrato nelle precedenti consultazioni, unito alla pressione proveniente dal movimento “5 stelle” (l’unico, peraltro – va detto per rispetto alla verità – , i cui rappresentanti, dopo essere stati eletti, abbiano saputo dare un segno di serietà e di coerenza, rinunciando al 75% dei loro emolumenti a favore di una cassa per il microcredito!), ha costretto alcuni partiti – ma, si badi bene, non tutti! – a chiedere un passo indietro ai loro candidati più compromessi dal punto di vista giudiziario.

E’ qualcosa, certo, ma non basta perché si possa parlare di quella «conversione radicale» della politica siciliana che i vescovi indicavano come condizione per una ripresa della nostra Isola. Intanto perché, come si diceva, non tutti gli schieramenti hanno operato questa scelta di elementare pulizia. Così, ci ritroviamo ad avere ancora, in certe liste, degli indiziati di associazione mafiosa che aspirano a restare sulla scena politica. Magari con la giustificazione, strombazzata con orgoglio, che non c’è ancora una condanna! In altri Paesi è sufficiente che si apra un’inchiesta a suo carico perché l’accusato, pur proclamandosi innocente, abbandoni immediatamente le cariche che ricopre, in base al principio – altrove reputato ovvio – che il servizio al bene comune richiede persone al di sopra non solo della galera, ma anche del semplice sospetto.

Inoltre, anche se non oggetto di indagini giudiziarie, troppi nomi in lizza, di tutti gli schieramenti, sono tristemente noti – chi più, chi meno – per le loro scelte incoerenti, per le loro menzogne, per la loro spudoratezza. Gente che dice oggi il contrario di ciò che con sicumera affermava non dieci anni, ma solo qualche settimana fa. Capace ancora di promettere dopo avere totalmente e colpevolmente disatteso le promesse fatte in passato. Capace di allearsi con chi era stato accusato delle peggiori nefandezze, e di scontrarsi con chi era stato lodato e valorizzato come alleato prezioso.

A conferma di quanto poco sia in realtà cambiato basta osservare che in questa vigilia elettorale vale esattamente la stessa amara considerazione che si leggeva nel documento dei vescovi: «Il dibattito tra gli schieramenti è concentrato più sulla gestione dei mutevoli rapporti di forza, che non sul confronto leale concernente programmi, obiettivi e competenze necessarie per realizzarli».

Quanto allo stile con cui partiti si confrontano, ci troviamo di nuovo davanti alle «penose scorciatoie, utilizzate per creare o mantenere il consenso elettorale» di cui si parlava in quel testo.

Qui ci vuole ben di più che un’operazione di maquillage, peraltro abbastanza forzata e formale. E’ necessario un «lucido riconoscimento degli errori del passato» che possa costituire il punto di partenza per dar luogo a comportamenti pubblici e a una classe dirigente del tutto nuovi. Questo atto penitenziale è richiesto anche, anzi prima di tutto, a coloro che si ritengono cristiani: «Non vogliamo esimerci», scrivevano onestamente i pastori in ottobre, «da un necessario esame di coscienza riguardo alle responsabilità che anche noi credenti, insieme con tutti gli altri, abbiamo avuto in questo processo di degrado».

A partire da questo, si deve inaugurare un modo nuovo di fare politica. Ma, come i vescovi notavano allora, «questo è un compito di tutti i cittadini e non solo di quanti hanno ruoli istituzionali». La nostra è una democrazia. Se non ci impegniamo a creare un nuovo stile di cittadinanza nella base, negli elettori, continueremo ad avere, al vertice, negli eletti, uno specchio della nostra mancanza di senso del bene comune. Abbiamo quello che ci meritiamo. Il monito dei vescovi resta ancora attuale, anche per queste elezioni nazionali: al di là dell’appuntamento elettorale, la sola speranza della Sicilia (e dell’Italia) è in un lavoro a lungo termine che produca una «conversione radicale».

 

Giuseppe Savagnone

 

 

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