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“Farisei o non farisei?” – Introduzione alla lectio divina su Mt 23, 1-12

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By Vasily Polenov - Bonhams, Public Domain, Link
By Vasily PolenovBonhams, Public Domain, Link

1Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: 2«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. 3Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. 4Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. 5Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filattèri e allungano le frange;6amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe7e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ‘rabbì”dalla gente. 8Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. 9E non chiamate nessuno ‘padrè’sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. 10E non fatevi chiamare ‘maestrì’, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. 11Il più grande tra voi sia vostro servo; 12chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato.

Farisei o non farisei? L’alternativa, quasi amletica, che il Gesù di Matteo ci presenta è netta e non facilmente conciliabile tra questi due modi di vivere il proprio rapporto con Dio.

Il brano evangelico si pone al centro di una sezione che segna la definitiva frattura con il mondo del potere politico-religioso di Gerusalemme e, dopo una serie di eloquenti prese di posizione di Gesù tradottesi in gesti (cacciata dei mercanti dal tempio; maledizione del fico), in confronti pubblici (sull’autorità di Gesù; il tributo a Cesare; la resurrezione dei morti; il comandamento più grande) e in parabole (i due figli; i vignaioli omicidi; le nozze regali), qui si cambia registro.

Stavolta Gesù è molto chiaro e, senza parabole e accorgimenti retorici, si rivolge in modo esplicito e diretto alle folle ed ai discepoli (nell’ordine, quasi un discorso della montagna al contrario, destinato a mettere in guardia tutti i cristiani dai pericoli più sottili della loro esperienza di fede).

È noto che la comunità di Matteo avvertiva come centrale nel messaggio cristiano una netta presa di distanza dalla Sinagoga e dalle sue guide, scribi e farisei, i quali in quel tempo avevano ormai preso il sopravvento (epi tes Mouséos kathédras) tra le varie anime del mondo ebraico, ma questa polemica si trasforma nel Vangelo in un richiamo universale alla autenticità ed a mettere da parte il fariseo che è in ognuno di noi.

Il modello negativo dei farisei è articolato: essi dicono e non fanno; caricano sugli altri pesi che essi non intendono portare; fanno le loro opere per farsi vedere dagli altri; amano i posti d’onore in pubblico e ambiscono a titoli onorifici. Il filo conduttore di questi atteggiamenti è l’attenzione all’apparenza, persino nella preghiera, la tentazione di credersi e accreditarsi migliori di come si è in realtà, lo scollamento tra la fede proclamata e la fede vissuta.

Non è difficile intravedere nei difetti evidenziati da Gesù i vizi tipici delle persone religiose, di quei “giusti incalliti” (A. Louf) in cui ci si può imbattere in parrocchie e comunità cristiane di ogni tipo e che, in fondo, richiamano una tendenza difficilmente arginabile che alberga in ciascuno di noi: la eccessiva attenzione a sé stessi ed alla ricerca di una immagine\identità irreprensibile, che conquisti con i propri meriti la salvezza in cielo (ed in terra il consenso dei più) senza necessità di affidare a qualcun Altro le proprie debolezze. Ciò porta ad autorappresentarsi come migliori di quello che si è realmente e dei propri fratelli ed a cercare segni tangibili di questa superiorità, come i primi posti nelle piazze o in chiesa, onorificenze e riconoscimenti pubblici, anche a costo di non riuscire più a vedere l’umanità di chi ci sta accanto, le loro fragilità ed, in definitiva, il loro reale ed autentico bisogno di salvezza.

Lapidario è il commento di Gesù: “Chiunque si innalzerà, sarà abbassato, e chiunque si abbasserà sarà innalzato.

Viene, dunque, proposto un modello di cristiano e di comunità cristiana che impone di concentrarsi su Cristo e sui fratelli, anziché sul proprio io.

Più si pone autenticamente lo sguardo sull’unico Maestro, più ci si accorgerà che l’unica ammirazione non può che essere a Lui rivolta: immediatamente la percezione di chi ci sta accanto non sarà quella dell’estraneo che si giudica, ma del fratello con cui si condividono le debolezze umane e la divina benedizione. Guardando a Dio, nascerà il fratello. Guardando a se stessi, si rimarrà confinati nel proprio io, incapaci – come i farisei – di vedere il proprio sentiero verso la salvezza, come ciechi, guide di ciechi (Mt 15,14).

Nessuna corsa, dunque, a diventare Maestro, Presbitero, Vescovo , Responsabile o Guida. “La vostra guida è uno solo, il Cristo”.

Scrive Giancarlo Bruni, “Questa è l’altezza dell’uomo religioso, e non solo, a misura di Cristo il Signore che si è fatto Servo e il Maestro che si è fatto parola nella mitezza e nell’umiltà togliendo pesi e rivestendo l’uomo del giogo dolce e leggero dell’amore e della compassione (Mt 11,28-30). Senza cercare gloria e consensi (Gv 5,41.44), unicamente dedito al bene dell’uomo a gioia del Padre. Ogni ruolo e compito nella Chiesa vanno letti a partire da qui, dallo sconvolgimento portato da Gesù il quale «ha talmente preso l’ultimo posto che nessuno può toglierglielo» (De Foucauld), ed è lì che chiede di raggiungerlo. Il posto per vedere bene se stessi e gli altri, senza maschere.

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