INTERVISTA A DON ALFONSO LIOTTA
PARROCCHIA DI SANTA LUISA DE’ MARILLAC
9.10.2012
Don Alfonso Liotta mi riceve in canonica una sera, dopo appena 24 ore dalla telefonata con cui lo avevo contattato. Gli sono grata per la sua pronta disponibilità e per la franchezza delle sue risposte rese con grande pacatezza, senza però rinunciare ad un spirito autocritico che spesso è emerso durante la conversazione. Santa Luisa de’Marillac, non avrà (anche se forse non per molto tempo ancora…) un consiglio pastorale, ma ha un parroco che sembra conoscere nel profondo la realtà parrocchiale e a cui sembra legato da un profondo affetto.
Un grazie anche da parte delle mie bimbe per le caramelle, con l’impegno che torneremo insieme per celebrare la Parola cantando con il suo coro.
Quanto è grande la parrocchia?
Purtroppo i dati del censimento riportati nell’annuario risalgono al 1981 e, quindi, sono vecchissimi. Secondo questa fonte ci sarebbero 8.933 abitanti e non riesco a fare una stima precisa ad oggi.
Qual è il rapporto tra il numero dei parrocchiani e quello di coloro che frequentano la messa domenicale con una certa costanza?
Noi abbiamo una messa il sabato sera, tre messe la domenica mattina e un’altra messa la domenica sera. In questo ultimo decennio ho visto un enorme calo di partecipazione. Ci sono due messe che sono strapiene, che sono la messa delle 10.00 di domenica e quella delle 18.00 del pomeriggio del sabato in cui possiamo contare 1.000 persone. La messa delle 10.00 è quella dei bambini e quindi c’è una partecipazione costante. Nella messa di domenica alle 8.00 parteciperanno circa 250 persone, per le altre due messe delle 11.30 e delle 18.00 di domenica il numero è estremamente varabile, probabilmente insieme parteciperanno circa 600 persone.
È prevalente il radicamento territoriale o vi sono persone che vengono da zone territoriali diverse?
La partecipazione della messa domenicale non è solo dei parrocchiani. Tradizionalmente le persone che afferiscono alla parrocchia provengono da varie parti della città. Ho persone affezionatissime che vengono dalla zona di Cruillas, per un legame molto antico e, comunque, anche da altre parti della città. Probabilmente vengono per simpatia, perché c’è un bel coro sia alla messa della 10.00, sia alla messa delle 11.30, perché vicino alla chiesa c’è un grande parcheggio. Molte persone anziane delle parrocchie circostanti vengono perché è comodo posteggiare. Anche questo diventa un servizio che agevola il venir meno dei limiti territoriali.
Nel territorio parrocchiale, come cercate di raggiungere i non praticanti o non credenti?
Da quando sono presente, circa una decina di anni, anche se nella mansione di parroco circa da sei, non abbiamo scelto una via peculiare. Quando iniziai qui come vicario parrocchiale, insieme con l’amministratore parrocchiale, provammo a fare un’esperienza di missioni popolari o cenacoli in famiglia, però trovammo un’enorme resistenza e non abbiamo più ritentato.
Nel mio ministero considero territori di frontiera la visita in famiglia per il defunto, l’occasione di un battesimo, la prima comunione. Questo mi permette di riagganciare persone che in un modo o nell’altro fanno una richiesta. Cerco di stare molto attento a curare questi rapporti.
Ci sono attività di formazione che vanno al di là del catechismo per i bambini e i ragazzini fino alla cresima?
Abbiamo provato negli anni passati qualche esperienza giovanile e di oratorio, ma la grossissima difficoltà nei quartieri come i nostri che hanno un’etichetta apparente di quartieri benestanti, apparente perché la crisi tocca ormai tutte le fasce, è che è difficilissimo trovare chi si dedichi ai bambini.
E’ veramente difficile trovare volontari. Noi abbiamo una realtà bellissima del gruppo dei ministranti. Normalmente per ministranti si intende solo coloro che fanno un servizio liturgico; di fatto il nostro gruppo di ministranti è un gruppo giovanile di formazione. Molti di coloro che partecipano a questo gruppo fa uno stato di servizio, alcuni partecipano ai nostri incontri. Il gruppo è composto da bambini della V elementare fino agli ultimi anni del liceo, primi anni dell’università e sono divisi in due gruppi differenti. Insieme organizziamo anche dei momenti formativi.
Un’altra esperienza che ritengo formativa è l’esperienza del coro dei bambini. All’inizio partecipavano bambini solo dell’età del catechismo, poi si sono inseriti bambini piccolissimi che non sanno leggere, ma imparano a memoria i canti ed oggi ci sono anche ragazzi di scuola media.
E’ un’esperienza formativa, perché i canti sono Parola di Dio celebrata ed è bellissimo quando i bambini capiscono perché hanno cantato dicendo quelle parole. Anche se non è un’esperienza che potrebbe sembrare far parte dell’attività formativa, tuttavia lo è nell’affetto alla vita parrocchiale, nel senso di servizio per la comunità, nel desiderio della celebrazione eucaristica, nella preparazione al sacramento del perdono. E’ un’esperienza che ha dei risvolti meravigliosi e un’opportunità di incontro anche per i genitori che si soffermano ad aspettare i loro ragazzi. Per me è una bella esperienza formativa.
I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati, a loro volta? Come? Da chi?
Noi abbiamo delle indicazioni diocesane di fare la teologia di base e, poi, c’è una scuola per il ministero dei catechisti. Diversi miei catechisti hanno fatto la scuola di teologia di base, alcuni hanno fatto il corso istituzionale di teologia, altri no. Chiedo sempre ai miei catechisti di fare un apprendistato. I catechisti lavorano quasi sempre in coppia, per cui chiedo pian piano di affiancare qualcuno più anziano.
Dimenticavo un’esperienza formativa che è lo scoutismo. Devo dire che nella mia realtà parrocchiale rimango sempre estasiato di come, entrando nello scoutismo, si pongano le premesse perché colui che fa un’esperienza bella possa poi offrirla da adulto agli altri.
Al contrario, in tutte le altre mie esperienze parrocchiali, non c’è questo naturale passaggio di consegne. Il mio gruppo di catechisti ha sempre avuto difficoltà ad essere scuola di apprendistato. Ci sono delle difficoltà anche per i momenti di formazione, perché alcuni danno una massima disponibilità, altri hanno tanti impegni lavorativi, genitoriali, per cui sono disponibili per il catechismo, ma non sempre è facile andare oltre.
Non mi è stato facile organizzare momenti di formazione. Certe volte anche per me parroco non è stato semplice ritagliare un momento per loro. Vorrei dedicarmi loro di più, certamente come proposito. I momenti di formazione che abbiamo organizzato sono solitamente momenti interni. Alla fine dell’anno scorso avevamo individuato un progetto di collaborazione con un esperto di pastorale ed è un’iniziativa che vorremmo portare avanti.
Qual è la percentuale di ragazzi che continua a frequentare la parrocchia dopo la cresima? C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?
Le percentuali sono bassissime.
Questo dipende da vari fattori: prima di tutto c’è una responsabilità della realtà parrocchiale che non sa offrire loro un futuro. I bambini arrivano entusiasti per il catechismo e appena non sono più bambini noi continuiamo ad offrire loro o una messa per bambini o la messa per gli adulti, senza riuscire ad offrire una attività intermedia. Un anno abbiamo organizzato dei laboratori di informatica, teatro, calcetto e di attività manuale. Però l’anno successivo ci è stato molto difficile riuscire a riproporre l’attività.
E’ difficile per la mancanza di volontari, di gente che riesce a cogliere l’attenzione di questi ragazzi che sono abituati a tutto, che con un tasto hanno in mano il mondo, con la playstation sognano di fare una partita, con il computer ritengono di avere molte amicizie. Hanno esperienze molto più entusiasmanti rispetto a quelle di venire in parrocchia e sedersi a giocare. Forse nei quartieri più popolari è più facile trovare chi si impegna a favore, conosco tante realtà in quartieri popolari dove si riesce meglio.
Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti (Azione cattolica, Scout, etc.) – se ce ne sono – che operano al suo interno?
Abbiano rapporti con l’Azione cattolica, abbiamo un gruppo della Federazione Scout d’Europa, il gruppo della Legione di Maria, il gruppo dell’Apostolato della preghiera, e poi si riunisce qui l’associazione di Maria del Monte Carmelo.
Il settore adulti di Azione cattolica ha tanti buoi propositi e ha offerto delle iniziative, anche se, purtroppo, non sempre attuate. Il gruppo della Federazione Scout (FSE) è una realtà vivacissima, straordinariamente vivace, bella. Partecipano ragazzi da tutte le parti della città ed è un promotore di entusiasmo all’interno della vita parrocchiale. E’ una presenza molto importante.
La Legione di Maria, è un gruppo mariano dai termini estremamente militareschi, che fa un servizio di visita agli ammalati. E’una realtà bellissima, un gruppo sul quale posso contare. Il gruppo nasce dalla devozione a Maria nella forma cara alla tradizione di Santa Luisa de’Marillac, che è quella della medaglia miracolosa di Caterina Labouré. Il gruppo ha un momento parrocchiale con la recita del rosario, diversi momenti di formazione e si occupa della visita alle famiglie che è un’attività veramente importante.
Poi c’è il gruppo dell’Apostolato della preghiera che, a partire dalla devozione al Sacro Cuore, si dedica alla preghiera. Il gruppo nasce all’interno della realtà gesuitica. Poi c’è l’associazione Maria del Monte Carmelo che è nata sotto la guida di don Antonino Raspanti, ora vescovo ad Acireale. E’ un’associazione che si riunisce nei nostri locali e che fa un cammino molto intenso di impegno comunitario e personale di preghiera a partire dai testi classici di spiritualità. Un’altra attività è il volontariato vincenziano. Sia questo gruppo che quello della Legione di Maria ha una presenza molto intensa nel territorio.
Che ruolo hanno i laici?
Quando sono arrivato in questa parrocchia da vicario, dieci anni fa, con l’amministratore abbiamo trovato una situazione di grande fervore ed entusiasmo, ma anche di grande disorientamento e una grande difficoltà a lavorare insieme. Ho trovato persone ricche di propositi, ma ognuno li perseguiva per conto suo, con enormi difficoltà a pensare insieme il cammino parrocchiale.
Quando sono uscito dal seminario ho amato l’idea di una partecipazione, di una consultazione come il consiglio pastorale. Entrando qui in parrocchia ho trovato enormi difficoltà, proprio perché il consiglio pastorale, probabilmente per delle difficoltà nel decennio precedente il mio, non era abituato a pensare alla pastorale della parrocchia. Il consiglio pastorale era un organo in cui ciascuno diceva di cosa aveva bisogno e cosa aveva fatto, ma non si pensava alle scelte parrocchiali.
Pian piano, nel corso degli anni, sono diventato un parroco accentratore e monarca (don Alfonso usa queste parole con un tono dolce ed un divertito e compiaciuto sorriso, che hanno avuto l’effetto di stemperare l’immagine di un parroco regnante; n.d.r.). Mi sono trovato, di fatto, con le persone che trovo fisicamente più vicine.
Devo ringraziare il cielo, perché questa parrocchia punzecchia, ci sono persone meravigliose con le quali condivido perplessità, dubbi, propositi. Non ho un consiglio pastorale, anche se ho fatto dei tentativi. Di fatto, collaboro con molti laici e con loro intensamente mi confronto. In caso di emergenza riunisco i responsabili dei gruppi e qualche altra persone che mi sembra significativa per la vita pastorale. Ma non ho un consiglio pastorale, è una mia pecca.
Spero prima di passare il testimone al mio successore di potergli offrire un consiglio pastorale. Devo dire che sono maturate tante cose in questi dieci anni, è maturato il desiderio. L’anno scorso abbiamo fatto una riunione molto bella nel periodo precedentela quaresima, con persone che con ampio respiro hanno dato il loro contributo per il bene di tutta la parrocchia.
Quali sono i tratti essenziali della esperienza di fede che vi caratterizza (o che è presente in parrocchia)? Vi riconoscete in una spiritualità particolare?
Non ci sono movimenti o gruppi particolari. Il fondatore della parrocchia, che nasce 40 anni fa circa, padre Castiglione, veniva da una spiritualità francescana. In una parrocchia nota come borghese c’è sempre stata una sensibilità all’essenziale. C’è un’impronta di base che è nell’essenzialità francescana.
Qual è il gruppo o il cammino spirituale che ritenete più vicino a quello che perseguite?
Non saprei. Se c’è una cosa a cui tengo, con pochi pregi e tanti difetti, è la predicazione domenicale e anche quella quotidiana. Io testardamente predico ogni giorno, mi piace molto attenermi alla scrittura, non vorrei correre il pericolo del biblicismo, ma è una cosa che mi piace molto fare e anche i miei accenni e riferimenti ai vissuti della nostra parrocchia, della nostro quartiere o della nostra città sottostanno a quello che la Parola di Dio in quella domenica, in quel giorno ci dice. La mia predicazione è, in generale, molto biblica.
Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e\o parrocchie?
La nostra zona pastorale ha avuto in questi ultimi anni numerosi cambiamenti e facciamo fatica a camminare insieme. Io conosco realtà di zone pastorali in cui i parroci e la parrocchie collaborano insieme. Qui noi stentiamo.
Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?
Veniamo da una lunghissima stagione politica di relazione generale con lo Stato, la Regione e la città molto legata a logiche clientelari. La cultura siciliana non stima il bene comune. Noi siciliani pensiamo a ciò che oggi può far comodo a me, a partire dalle cose elementari fino alle cose più importanti. La prima grossa difficoltà della città di Palermo è culturale. Bisogna imparare ad amare la città, a stimare il bene comune.
Questa mi sembra una sfida enorme, il che si unisce in questa congiuntura culturale con la sfida educativa di cui i vescovi tanto ci parlano. Oggi educare è una realtà molto più complessa che nel passato ed è estremamente messa in crisi.
Noi come parrocchia possiamo dare il nostro contributo a vivere con intelligenza la fede, che tocca la carne di Cristo e, quindi, anche la nostra carne e i nostri rapporti umani. Se noi, mentre celebriamo negli anni, riusciamo a trasmettere e testimoniamo questo è un contributo importante.
Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della chiesa di Palermo?
La nostra chiesa di Palermo, come la realtà parrocchiale, in qualche modo risente non solo della realtà del vissuto nostro palermitano, ma risente anche di coloro che hanno guidano le nostre chiese, per cui si potrebbe provare a pensare a cosa ha caratterizzato il ministero del cardinale De Giorgi e che cosa ha caratterizzato il ministero del cardinale Romeo e questo ci permetterebbe di individuare delle linee programmatiche.
La chiesa, tuttavia, è anche la realtà variegata delle molteplici realtà parrocchiali, fatta di movimenti e di gruppi per cui bisognerebbe prima procedere a questa analisi a vasto raggio per poi provare ad individuare dei nodi problematici.
Noi clero soffriamo ancora di tanta difficoltà nel lavorare insieme, nel collaborare insieme, sebbene in seminario abbiamo vissuto, pregato, studiato insieme. L’antica formazione del clero era di battitori liberi, che dovevano riproporre quello che dall’alto si diceva. Ora, nella crisi di autorità diffusissima, giocare da battitori liberi vuol dire avere un’effervescenza che non sempre è un servizio allo spirito.
Inoltre, noi clero diocesano siamo quasi sempre nelle parrocchie soli, non abbiamo una comunità di preti e, sia che abbiamo un consiglio pastorale, sia che non l’abbiamo, facilmente ci troviamo ad avere più vicino la claque, piuttosto che le persone che ci criticano e sempre più facilmente possiamo allontanare o lasciare che si allontanino coloro che ci criticano. Non abbiamo criteri di verifica.
Mentre il sindaco alla successiva elezione se si è comportato male non viene eletto, o almeno così ci auspichiamo, finiti i 5 anni o i 10 anni se il vescovo mi cambia va bene, se non mi cambia i poveri parrocchiani si devono sorbire ancora la mia presenza.
Per noi preti è facile lamentarsi: se non portano i bambini per il catechismo, diciamo che è colpa dei genitori. E’ molto facile per noi parroci dire, quando vediamo mancare la gente, che la colpa è dei genitori che si disinteressano o che la gente non viene perché vuole le cose comode.
Devo dire che, in generale, noi parroci non riusciamo a farci scalfire. Purtroppo, in questa disabitudine al feedback e al nostro lasciarci interpellare dal feedback, diventiamo sempre più apatici e riusciamo facilmente a trovare ragioni diverse a quelle che attengono o al nostro stile o allo stile della comunità o allo stile della comunità insieme con il parroco.
Da tempo i nostri vescovi , almeno quelli con cui io di più ho collaborato, ci tengono ad incontri del clero diocesano e del clero per il vicariato. Non sempre la partecipazione è grande e poi, al di là delle intenzioni belle, non sempre risultano luoghi di dialogo e di confronto. A livello di vicariato, invece, lo stile è stato diverso, almeno per il nostro vicariato: c’è stata una grande possibilità di confronto.
Intervista di Luciana De Grazia
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