Accrescere le misure di pena alternative al carcere che ancora è un sistema troppo chiuso per innescare positivi percorsi di cambiamento per coloro che hanno compiuto dei reati. È questo uno dei principali obiettivi alti da raggiungere secondo il presidente dell’As.Vo.Pe, Francesco Chinnici. L’Asvope dal 2000 con la sua attività di volontariato opera nelle due carceri di Pagliarelli e Ucciardone. I volontari che operano all’esterno e all’interno del carcere sono complessivamente 40 e di questi 25 prestano servizio dentro le due case di reclusione.
«Qual è oggi il principale aspetto da cui partire in tema di carcere?»
«La prima considerazione da fare è prima di tutto che il carcere in quanto tale, risulta ancora un sistema troppo chiuso, che non aiuta la persona ad ottenere grandi risultati. Difficilmente, infatti, si può pensare ad un vero percorso di riabilitazione personale che tenga conto anche del contesto esterno. Se l’obiettivo alto è il recupero pieno della persona occorre quindi necessariamente intraprendere altre strade.»
«Quali sono?»
«La prima strada è sicuramente, per i reati che lo prevedono, l’incentivazione delle pene alternative con le misure di comunità. Il 30 % delle pene rientrano oggi nelle misure alternative. Rispetto al passato notiamo che qualcosa si stia muovendo anche se rispetto ai numeri dei detenuti tanto resta ancora da fare. Per questo, occorre accrescere le realtà del privato sociale di appoggio coinvolgendo anche comune e regione. A questo proposito il Seac ha proposto la costituzione di un tavolo interistituzionale con Uepe, enti locali ed associazioni per cercare proprio di capire come migliorare le misure alternative alla pena. La vera rivoluzione è quella di potere pensare oggi ad un carcere fuori dalle mura. Solo a partire da questa impostazione si potranno dare opportunità significative di cambiamento. Occorre pensare quindi ad un fine pena che offra concretamente possibilità di cambiare la condizione di vita aiutando la persona a non ricadere nel reato.»
«Quali sono le difficoltà più forti che hanno i detenuti?»
«I problemi più forti sono di salute. I detenuti spesso devono fare i conti con la carenza dei servizi sanitari che rispondono in maniera precaria ai loro bisogni. Nonostante questo, come volontari cerchiamo di ascoltarli, dando sostegno e calore soprattutto a coloro che vivono momenti di scoraggiamento e di depressione per la solitudine dovuta alla perdita delle relazioni con gli altri. Molti di loro poi lamentano anche il mancato rispetto di alcuni diritti che dentro il carcere non devono diventare delle concessioni o dei favori. Per le questioni specifiche scrivono al garante dei detenuti.»
«Quali sono le attività che svolgete nelle due carceri?»
«Tra le principali attività c’è quello della biblioteca che è molto positiva dal punto di vista culturale perché stimoliamo i detenuti alla lettura consigliando i testi a cui si possono avvicinare. Capita che entrano in biblioteca all’inizio anche per curiosità ma dopo, creandosi uno scambio positivo con noi, in molti casi ritornano per chiedere altri libri o per commentare ciò che hanno letto. Ricordo in particolare un giovane rom che aveva da scontare una pena per un reato grave che ha fatto con noi un bel percorso. Non sapeva leggere e scrivere ma quando ha imparato gli si è aperto un mondo. Ci ha chiesto nel tempo parecchi libri, confidandoci che non sapeva che la cultura fosse così bella. Inoltre ci ha chiesto di aiutarlo a fare in modo che i suoi due bambini potessero andare regolarmente a scuola. Attraverso i servizi sociali siamo riusciti a farlo. Fare studiare i figli è stata una grande conquista rispetto a lui che non aveva avuto questa opportunità.»
«Si può parlare in questi casi di accompagnamento vero e proprio?»
«A volte sì. Ascoltiamo persone che proprio per essere nate in alcuni contesti, purtroppo sono state travolte da un vortice da cui non sono riuscite ad uscire. Paradossalmente è proprio in carcere che riescono ad avere alcune opportunità per riflettere sulla loro vita. In alcuni casi con il racconto, ti mettono in mano la loro vita ed proprio valorizzando il rapporto di fiducia che si raggiungono buoni risultati.»
«Quali altri servizi fornite?»
«Da anni gestiamo il guardaroba che ci permette di raccogliere indumenti ma anche prodotti per l’igiene e molte scarpe che poi distribuiamo ai più bisognosi. Tra le persone che sono sole ci sono molti immigrati. La richiesta di questi beni è notevole soprattutto al Pagliarelli dove su 1200 detenuti, 300 circa sono gli stranieri. In un mese spendiamo circa 500 euro. Prevalentemente con tanti sacrifici ci auto-inanziamo anche se abbiamo pure i benefattori e il piccolo contributo dal 5X100. Tra i corsi che hanno avuto successo ci sono stati anche quello antropologico culturale su “L’uomo in relazione con se stesso, con gli altri con Dio, con il cosmo” e poi come attività sportiva invece il torneo di tennis da tavolo.»
«All’Ucciardone invece?»
«Per i 450 detenuti con almeno 100 stranieri, tutti con pene definitive abbiamo portato avanti altre iniziative culturali. Da qualche anno abbiamo un corso di ‘filosofia in pratica’ che non è quella dei classici ma un modo per affrontare i problemi della vita guidato da alcuni professori. Poi c’è anche un laboratorio teatrale svolto dal teatro Atlante. Il primo anno è stata rappresentata un’opera di Omero. Inoltre è nato un corso di fotografia che ha portato alla realizzazione di due calendari. Il titolo del calendario di quest’anno è “Fotografi dentro”. Presto avvieremo anche un corso di pittura e poi in tutte e due le carceri sono stati creati dei cori musicali.»
«Uno dei principali impegni è infine anche quello di formare sempre più volontari?»
«Sì, c’è sempre bisogno di avere nuovi volontari disposti a dedicarsi alle persone recluse. Per il momento per questo scopo abbiamo un progetto sostenuto da Fondazione con il Sud che sta avendo successo. Ci sono, infatti, 25 persone interessate al tema. I volontari oltre a prestare servizio dentro il carcere possono anche dedicarsi alle nuove misure alternative di comunità ed alla relazione con le famiglie. Per il futuro si stanno studiando insieme all’Uepe modalità operative nuove che coinvolgono anche i volontari tutte finalizzate al reinserimento sociale del detenuto. In oltre 17 anni di volontariato in carcere penso che è un servizio che fa crescere molto perché c’è una fortissima restituzione dal punto di vista umano».
Lascia un commento