Si moltiplicano in questi giorni gli accorati appelli dei rappresentanti delle istituzioni a non disertare le urne quando, il 4 marzo p.v., gli italiani saranno chiamati a rinnovare finalmente il loro Parlamento. Gli argomenti sono ineccepibili, come lo sarebbero quelli di un padre che invita il figlio a fare il suo dovere a scuola, ricordandogli le sue responsabilità nei confronti della famiglia. Se però questo padre, in un recente passato, avesse abbandonato moglie e figli per andare a vivere con una sua collega e si rifiutasse, con scuse varie, di pagare gli alimenti, è chiaro che la forza del suo discorso, per quanto giusto, sarebbe molto indebolita. Qualcosa del genere si sta verificando nel rapporto tra i cittadini e la classe politica.
È un dato di fatto che l’immagine che continua a dominare nella percezione diffusa della gente è quella della “casta” autoreferenziale, preoccupata più del proprio auto-mantenimento al potere che del servizio per cui questo potere era stato dato dagli elettori. E questo è letale per una democrazia.
Ma c’è qualcosa di ancora più drammatico, ed è la constatazione che, tutto sommato, il rapporto che la popolazione ha con i lati peggiori dei suoi rappresentanti, se da un lato è di distacco e di profonda delusione, dall’altro è di sostanziale omogeneità e complicità.
Il recente film di Ficarra e Picone L’ora legale disegna da questo punto di vista un quadro tragicamente realistico della situazione italiana. Vi si narra l’amara vicenda del paesino siciliano di Pietrammare, dove la popolazione, stanca degli abusi dello storico sindaco Patanè, cinico maneggione abituato a usare tutti gli espedienti leciti e illeciti per garantirsi il consenso, finalmente ha un sussulto di indignazione e premia alle elezioni l’onesto e rispettabile professore Natoli.
Solo che, appena il nuovo sindaco comincia ad attuare il suo programma, da tutti approvato a parole, si scopre che esso comporta dei reali sacrifici per l’intera cittadinanza che, abituata a un regime di sistematica illegalità e di clientelismo, si vede improvvisamente costretta a rispettare le regole della civile convivenza e del bene comune.
Il crescente malcontento diventa presto aperta contestazione e il nuovo sindaco viene costretto alle dimissioni dalla rivolta popolare. Il film si chiude col trionfale ritorno di Patanè, la cui disonestà in fondo faceva comodo a tutti. E l’orologio della piazza, che era stato spostato in avanti per l’ora legale, alla fine può essere finalmente rimesso indietro, per il ritorno all’ora “naturale”.
Basta scorrere i giornali in questi giorni per rendersi conto che il racconto del film non riguarda solo Pietrammare. Per restare in Sicilia, dopo regolari elezioni ritroviamo presidente della nuova Assemblea regionale siciliana un tipico rappresentante della più triste stagione trascorsa come l’on. Miccichè. Il quale non a caso ha dedicato il suo discorso inaugurale all’urgenza di ripristinare i privilegi dei deputati appena eletti. Con la sola attenuante che a gestire la cosa pubblica, nella legislatura precedente, non era l’onesto e capace protagonista del film di Ficarra e Picone, il prof. Natoli, ma Rosario Crocetta…
Sul piano nazionale il quadro è altrettanto fosco. La nuova legge elettorale, orribile già nel nome – “Rosatellum” (dal nome del capogruppo del Pd alla Camera, Ettore Rosato) – , è il ritorno ad un passato in cui il proporzionale garantiva ad ogni partito il mantenimento di una certa fetta di potere, a spese della governabilità, riducendo a un terzo dei seggi il ruolo del maggioritario ed escludendo il ballottaggio.
Ma di questo rimettere indietro le lancette dell’orologio potrebbero essere accusate le alchimie della casta. Se non fosse che il grande protagonista delle imminenti elezioni nazionali risulta, nei sondaggi, Silvio Berlusconi, il Patanè nazionale, che ritorna sulla scena a furor di popolo! È lui che una percentuale importante del popolo italiano rivuole a governare, direttamente o indirettamente il Paese. Le rovine prodotte dalla sua gestione della questione fiscale (tagli delle tasse ai ricchi e conseguente riduzione dei finanziamenti ai servizi sociali degli enti locali), della scuola (la famigerata “riforma” Gelmini…), della politica estera (ricordate i sorrisi ironici dei capi di governo francese e tedesco?), dell’economia (aumento incontrollato dello spread), e soprattutto – ciò che più conta dal nostro punto di vista – quelle determinate dal modello etico da lui rappresentato ed esibito senza ritegno, sembrano dimenticate. Del resto, già alle scorse elezioni era bastata la promessa di restituire l’Imu (addirittura si chiedeva per lettera se l’elettore preferiva un assegno o un bonifico) per fargli recuperare milioni di voti.
In un suo dialogo, il Protagora , Platone mette in bocca al celebre sofista un mito in cui si narra che, all’origine del mondo, Prometeo aveva donato al genere umano il fuoco e le arti, permettendogli così, di sviluppare le capacità tecniche nei diversi settori.
Ma si scoprì, allora, che questo non bastava agli uomini per essere felici. Essi, infatti, «ogni qualvolta si radunavano, si recavano offesa fra di loro, perché mancanti dell’arte politica (…). Allora Zeus, temendo per la nostra specie, minacciata di andar distrutta, inviò Hermes perché portasse agli uomini il pudore e la giustizia, affinché servissero da ordinamento della città».
Può sorprendere il riferimento al pudore, che siamo abituati a riservare alla sfera privata, specialmente a quella sessuale. Ma forse proprio la storia di questi ultimi anni di vita politica in Italia – e ormai non solo in Italia (penso agli Stati Uniti) – può aiutarci a capire che vi è una spudoratezza anche nell’ambito del comportamento pubblico, forse più grave, più scandalosa dell’altra. Quanto alla giustizia, essa è un elemento centrale del bene comune. A una società non basta l’aumento del Pil, se la ricchezza è mal distribuita (come lo è, e non solo in Italia).
Ma ciò che più mi interessa sottolineare è ciò che Platone dice, parlando di come i doni “politici” debbano essere distribuiti. «Chiede Hermes a Zeus (…): “Debbo distribuire giustizia e pudore come sono distribuite le arti? (…). Uno solo che possegga l’arte medica basta per molti profani e lo stesso vale per le altre professioni. Anche giustizia e pudore debbo istituirli negli uomini nel medesimo modo, o debbo distribuirli a tutti?”. “A tutti”, rispose Zeus, “e che tutti ne abbiano parte: le città non potrebbero esistere se solo pochi possedessero pudore e giustizia, come avviene per le altre arti”»).
La politica compete a tutti i cittadini. “Politico” e “cittadino” hanno la stessa etimologia (polis greco, civitas latino). In una democrazia questo è ancora più evidente. Siamo noi che stiamo andando a queste elezioni senza avere pudore. Dobbiamo prenderne coscienza prima che sia troppo tardi. Prima che finisca all’Italia intera come alla Sicilia e come allo sventurato comune di Pietrammare.
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