Umberto prova a tendere la mano per chiedere l’elemosina. Non ci riesce, è troppo degradante.
“Umberto D” è un film del 1952, diretto da Vittorio De Sica e sceneggiato da Cesare Zavattini.
Ad essere raccontata è la storia di un anziano pensionato che prova giorno dopo giorno a sopravvivere con l’esigua pensione che si ritrova tra le mani. In balia dell’acida padrona di casa che lo minaccia ogni giorno di un imminente sfratto, Umberto trascorre le sue giornate in compagnia dell’unico amico che si ritrova: il cane Flik.
È così che nel 1952 viene firmato uno dei film considerato oggi tra i capolavori del neorealismo e del cinema italiano. Come già era avvenuto con Ladri di biciclette e ancor prima con I bambini ci guardano, Vittorio De Sica e Cesare Zavattini concentrano la loro attenzione sul singolo personaggio, lo seguono passo dopo passo e restituiscono al pubblico la realtà della vita, cruda e tragica.
In I bambini ci guardano il tradimento, all’interno della coppia, i litigi e le bugie erano filtrate interamente dallo sguardo del piccolo Pricò.
La solitudine, adesso, e la chiusura al mondo circostante, vengono mostrate magistralmente dallo sguardo di un uomo comune: Umberto D, nella vita professore di glottologia all’Università di Firenze.
L’indifferenza è il grande leitmotiv del film che in maniera scarna ed essenziale racconta il travaglio di un uomo afflitto, ancor prima che dalle difficoltà economiche, dalla totale indifferenza degli altri uomini.
La giovane servetta di casa (Maria Pia Casilio) sembra essere l’unica figura interessata al vecchio Umberto. Personaggio apparentemente secondario del film, vive anch’essa il dramma della solitudine, incinta di un bambino dal padre ignoto, piange da sola macinando il caffè in cucina.
Lo stile del film è unico. Carlo Lizzani in “Storia del cinema italiano (Castelvecchi, 2016)” definisce Umberto D con queste parole: «spoglio e freddo come forse nessun film italiano mai lo è stato. Gesti, figure, stati d’animo, germinano misteriosamente sullo schermo come cristalli; lasciando nell’animo un solco di amaro stupore.»
L’indifferenza degli esseri umani verso gli altri esseri umani è la costante che spinge Umberto a chiudersi sempre più in se stesso e a parlare solamente con Flik, l’unica creatura che lo accompagna in ogni suo movimento.
L’estrema solitudine di quest’uomo non fa che tormentarlo sul futuro del suo cane nel momento in cui lui non ci sarà più.
Freddi e troppo crudi sono i dialoghi di Umberto con vecchi amici incontrati lungo le strade. Momenti di estremo imbarazzo che li portano a defilarsi il più velocemente possibile, per lasciare Umberto più solo di prima.
La genialità di questo personaggio non sta nell’aver dipinto un povero vecchietto piagnucolante a bordo strada, con la mano tesa in cerca di un piccolo aiuto, tutt’altro. Umberto tiene ancora tanto alla sua dignità e non riesce neppure a mostrare la mano nel gesto di chi domanda qualche soldo.
Umberto D oggi ci invita a riflettere sull’indifferenza che governa le nostre strade, i nostri ambienti e le nostre vite.
Ci invita a comprendere che ogni uomo non è un isola, autonomo e autosufficiente.
Un aiuto economico, ma ancora prima, un gesto di amicizia e di solidarietà umana avrebbero portato di certo Umberto a vivere il domani in maniera meno vuota e insignificante.
Ogni uomo ha un mistero preziosissimo dentro di sé. Un tesoro che la propria storia può raccontare, che spesso anche solo gli occhi sono in grado di narrare, se solo ci si ferma a guardarli.
Umberto D è un grido che appella a non rimanere indifferenti agli altri, alle loro difficoltà. È il grido di un uomo che invoca l’ascolto dell’altro, che chiede di non essere ignorato. L’indifferenza, come racconta il film, è una violenza subdola e silenziosa: non parla e non spettacolarizza nulla. Assopisce prima gli occhi e poi il cuore delle persone. L’indifferenza, in tutte le sue sfaccettature, ha come forma estrema la cosificazione dell’altro.
Per la padrona di casa Umberto è solo un vecchio che deve sborsare, e se non lo fa le è lecito gettarlo su un marciapiede.
Una vita le cui relazioni assumono un significato autentico e unico, una vita il cui sguardo rivolto agli altri è veramente autentico e disponibile è il messaggio più incoraggiante che ci regalano le ultime sequenze del film.
Umberto gioca con Flik, saltella e piano piano si allontana all’orizzonte.
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