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I Chiaroscuri – I miraggi del populismo

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savagnone-3-small-articoloChi lo dice che ai politici italiani mancano le idee? In questa campagna elettorale ne sentiamo ogni giorno enunciare tante, da destra e da sinistra, tutte però ispirate a quello stile di populismo che ormai è diventato l’approccio d’obbligo per chi si propone di far breccia non nel cervello, ma nella pancia degli elettori, intercettando le loro paure, le loro inconfessabili aspirazioni, le loro illusioni…

A cominciare dall’uscita del candidato presidente alla Regione Lombardia per il centrodestra, Attilio Fontana: «Dobbiamo decidere se la nostra etnia, la nostra razza bianca, la nostra società devono continuare a esistere o se devono essere cancellate». Un termine, quello di “razza”, che evoca tristissimi ricordi, ma che torna purtroppo ad avere una profonda risonanza nella psicologia di massa di molti italiani.

Per difendersi, Fontana prima ha parlato di lapsus – ma forse non conosce la teoria di Freud in proposito – , poi si è addirittura appellato alla nostra Carta costituzionale che, all’art. 3 recita: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Dove è evidente, però, che si parla di “razza” solo per escluderne la rilevanza, esattamente all’opposto di ciò che Fontana fa nel suo discorso!

In appoggio del suo compagno di partito è intervenuto Matteo Salvini, che ne ha tradotto il messaggio dal registro biologico a quello culturale, evocando il pericolo dell’islamizzazione del nostro Paese: «Sono a rischio», ha ammonito, «la nostra cultura, società, tradizioni, modo di vivere».

Resta il dubbio se, per interpretare e difendere la cultura e le tradizioni dell’Occidente cristiano, come spesso la Lega ha preteso di fare, siano adeguate proposte come quella avanzata proprio in questi giorni da Salvini, di ritornare al sistema delle “case chiuse”: «Riapriamo le case chiuse», ha detto in un’intervista a «Radio anch’io», «e tassiamo la prostituzione». «Prostituirsi è una scelta» – ha poi aggiunto. «C’è chi sceglie, invece di fare l’insegnante, il poliziotto, il muratore o il giornalista a Rai Radio 1, di prostituirsi, per soldi (…). È un lavoro come un altro, che si fa per scelta ed è sanitariamente tutelato e tassato. Io al Governo voglio un paese con delle regole».

Quello che il segretario della Lega non dice è che la “libertà” di mettere in vendita il proprio corpo, rinunziando a un vero rapporto d’amore con una persona, a una famiglia, ai figli, è spesso il frutto di condizionamenti sociali ed economici che costringono delle disgraziate ad abdicare alla loro dignità di donne per assicurare il “divertimento” dei maschi che vogliono usarle come oggetti. È vero che uno Stato che, invece di combattere seriamente la prostituzione, codifica e regolamenta questo regime di sub-umanità, può anche evitare molti inconvenienti e perfino guadagnarci. Ma c’è da chiedersi se poi ha il diritto di ergersi a paladino dei valori della civiltà cristiana e della dignità della donna, per contrapporsi al mondo islamico che la penalizza.

Un’altra bella idea lanciata in questa campagna elettorale è stata quella di abolire le tasse universitarie, partorita dal candidato premier di «Liberi e uguali», Pietro Grasso nel contesto di un discorso in cui rivendicava l’intento di «ridare speranza al Paese con proposte serie e concrete, a differenza delle irrealizzabili favole degli altri partiti».

Il piccolo difetto di questa proposta «seria e concreta» è che da anni esistono nel nostro Paese diverse agevolazioni per gli studenti meno ricchi, e che nell’ultima legge di stabilità il governo Gentiloni ha introdotto l’esonero totale dalle tasse universitarie per quelli di loro che provengono da famiglie con redditi bassi. A questo punto, la riforma promessa dal leader di «Liberi e uguali» avrebbe il solo effetto di non far pagare le tasse universitarie a quegli studenti del ceto alto e medio-alto che attualmente, con i loro versamenti, consentono ai rispettivi atenei di fornire delle borse di studio ai frequentanti più poveri, per consentire loro di acquistare i libri e di mantenersi nel corso degli studi!

Dispiace non poter citare idee rivoluzionarie del PD e dei 5stelle. Per ciò che riguarda il primo, perché non ne ha. La più ardita è quella, avanzata da Renzi, di abolire il canone televisivo… C’erano tempi – ormai lontani anni luce – in cui la “sinistra” ne faceva di un po’ più significative, che giustificavano la sua esistenza, a favore dei poveri e degli sfruttati. Oggi si batte a spada tratta solo per i diritti individuali consacrati dall’ideologia liberal-borghese e, rispetto agli emarginati, ha paura pure di votare lo ius soli per non rischiare di perdere voti…

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Quanto ai grillini, è problematico discutere le loro idee non perché non ne abbiano, ma perché, cambiandole continuamente, mostrano di tenerci abbastanza poco. Emblematica la sorte del loro tradizionale cavallo di battaglia, l’uscita dell’Italia dell’area dell’euro, per cui da anni si battevano strenuamente, invocando su questo anche un referendum, e che ora non figura nemmeno nel loro programma.

Chi ha deciso una svolta così radicale, riguardante uno dei punti più qualificanti di tutta la storia ideologica del movimento? La fantomatica base? In questa vigilia elettorale essa sembra più presa dalla corsa alle candidature, che dal problema dell’euro. Del resto, anche su tutti gli altri temi – da quelli etici (unioni civili, testamento biologico) a quello dell’immigrazione – , il movimento grillino è apparso così ondivago e imprevedibile da rendere del tutto incerta la linea che seguirà effettivamente se andrà al governo.

Ancora una volta, il solo vero messaggio è rivolto alla “pancia” della gente: noi siamo il “nuovo”, la “gente comune”, “onesti cittadini” venuti a cacciare una classe di politici professionisti squalificata e corrotta. Il guaio è che la storia insegna che non sempre il nuovo è migliore dell’antico (anche i nazisti erano “nuovi” in Germania…) e che l’onestà va accertata non sulla base dei proclami preventivi, ma in base a ciò che si fa dopo essere stati eletti. Come in tutti gli altri esempi citati prima, quello che conta, qui, è l’immagine offerta al pubblico, non la realtà, e questa immagine è costruita in modo da captare umori e interessi, non ciò che veramente è buono per il nostro Paese.

In questo contesto, appare drammaticamente inattuale – ma di quell’inattualità che Nietzsche acutamente attribuiva alle cose davvero essenziali (e per questo dimenticate) – l’idea centrale dell’insegnamento sociale della Chiesa, secondo cui il fine della politica è il bene comune di una società. Dove, a differenza degli interessi – che sono sempre relativi a qualcuno che li difende perché sono i suoi, facendoli prevalere sugli altri se è più forte – , il bene vale in se stesso e promuove l’umanità di tutti i membri di una comunità.

Per capirci: che ci siano uomini, donne e bambini che annegano nel Mediterraneo sembra non interessare affatto alla maggior parte degli europei e in effetti non lede i loro interessi. Ma, a titolo di esempio, sarebbe adeguato definire la Shoah solo come un duro colpo agli interessi degli ebrei? O, al di là degli “interessati”, ci sono cose che ledono e altre che fanno crescere tutti, deboli e forti, perché hanno a che fare con la nostra umanità più profonda? Non è su queste, decisive per il bene comune – oltre alla questione dei migranti ce ne sono moltissime relative alla condizione di tanti italiani , che dovrebbe giocarsi il futuro di una nazione? Certo, esse possono essere discusse solo in un clima di ragionevolezza e di onestà intellettuale. Allora le differenti prospettive emergerebbero, ma nella loro verità. E non saremmo prigionieri dei miraggi del populismo.

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