Le principali coalizioni e i più grandi partiti candidati a queste imminenti elezioni, che consegneranno un nuovo Parlamento, tra i tanti slogan elettorali hanno ripreso dalla soffitta impolverata l’invito al cosiddetto voto utile.
Sì, l’invito a votare “responsabilmente”, questa sollecitazione propagandistica e prima di tutto paternalistica, stava li in quel sottotetto buio nel quale si conserva quella roba vecchia che può sempre servirci.
Se ne parla infatti oggi, in occasione delle prossime elezioni, ma se ne è parlato anche in occasione del rinnovo dei “parlamenti” regionali, così come per la scelta del nuovo sindaco e dei nuovi consiglieri comunali.
Tutti gli esponenti di spicco dei partiti o delle coalizioni, che immaginano ragionevolmente, per quello che gli dicono i sondaggi, di ricevere voti in percentuale pari o superiore al 25 o al 30 per cento, invitano costantemente gli elettori a votare utilmente.
Sembra di sentirli “votate noi! Ogni voto ai partiti piccoli è un voto ai nostri veri avversari”.
Si tratta chiaramente di un ragionamento utilitaristico, ragionevole e persino corretto, ma a condizione di considerare il cittadino come un mero titolare del diritto di voto e non come una persona, ossia come un animale politico che porta con sé un vissuto, dei valori, delle idee e delle speranze che non è disposto a sacrificare neanche davanti alla prospettiva che, quel suo voto, non aiuterà il partito prescelto ad ottenere il potere per governare. Insomma la famosa goccia nell’oceano che non serve a niente, ma che, come diceva Madre Teresa di Calcutta, è pur sempre una goccia in meno.
Il voto utile, che qui difendiamo, al contrario di quello che vogliamo mettere in discussione, si badi, non è quello utile a me, nel senso di voto riferito a me stesso e che guarda, come si dice, al mio orticello, secondo un’accezione individualista, ma è il voto che ti rappresenta, con il quale non si scende a compromessi con sé stessi. Il voto utile è quello con cui la persona che lo esprime, tracciando una x sulla scheda elettorale, si riconosce, riconosce la propria storia e si ri-afferma.
L’art. 48 della Costituzione del 1948 individua i caratteri del diritto all’elettorato attivo – il diritto al voto – che sono la segretezza, l’uguaglianza e soprattutto (per il discorso che stiamo facendo) la personalità e il suo essere libero.
Il voto è giustappunto personale e libero ma il voto utile, nell’accezione che rigettiamo, non è né personale, né libero, nella misura in cui è legato a una mera logica algebrica e di distribuzione proporzionale di scranni parlamentari che non ha nulla a che vedere con noi e con quello a cui crediamo (personale), né tantomeno è libero perché condizionato da quelle logiche fredde a cui si è già fatto riferimento.
Ma a prescindere da ciò, è davvero questo il voto utile? È questa l’utilità alla quale pensavano i tanti uomini e le tante donne del mondo che hanno combattuto per sé e per gli altri perché la democrazia vincesse sugli oppressori?
Sinceramente non lo penso, non lo penso perché nessuno, neanche i “partigiani di tutto il mondo”, sapevano se, alla fine, avrebbero potuto godere di quel diritto e di quella pace sudata e combattuta. Molti di loro sono morti con questa speranza, tutti, invece, ai tempi, non potevano sapere come sarebbe andata a finire e ciononostante non hanno demorso, poiché lo pensavano utile. Secondo la logica del voto utile che contestiamo non avremmo conosciuto Pertini e le donne forse avrebbero dovuto attendere ancora un altro po’ per votare.
Utile è ciò che ci rappresenta, utile è il voto che silenziosamente, come il rumore della mina di una matita su una scheda elettorale, afferma a noi e alla Comunità chi siamo veramente, cosa vogliamo e verso dove guardiamo.
Utile è il voto che non ammette che la nostra identità si neutralizzi, ma al contrario, vuole che si affermi, in tutti i suoi aspetti per confrontarsi con l’altro e nella speranza che l’altro – apprezzando questo atto di sincerità, questa volontà di mettersi a nudo – decida di confrontarsi e così da dare vita a qualcosa di nuovo, nuovo sia rispetto alla mia idea di utile sia rispetto a quella dell’altro, e che sia utile a tutti.
È utile, insomma, il voto del cuore che però è ancor prima il voto della mia testa.
Se infatti razionalmente, con le mie letture, i miei maestri, i miei padri e le mie ferite, ho “partorito” un’idea, una convinzione sul mondo, a quella non posso rinunciare, perché solo quella mi farà pulsare il cuore.
Giorgio Gaber cantando sosteneva che “un’idea, un concetto, un’idea finché resta un’idea è soltanto un’astrazione”, niente di più vero e coerente con quello che stiamo sostenendo.
Nel senso che se abbiamo un’idea, una nostra idea, la dobbiamo fare vivere, a tutti i costi, anche se ci diranno che non è utile, diversamente non solo rimarrà un’astrazione, ma concretizzerà l’idea di mondo che hanno gli altri e che potrebbe essere molto diversa dall’idea di comunità e di mondo che la mia testa sussurra al cuore.
Lascia un commento