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“La vite e i tralci” – Introduzione alla Lectio Divina su Gv 15, 1-8

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«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete gia mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

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Gesù adopera l’immagine della vite e dei tralci per mostrare ai discepoli il vincolo che li unisce e come sia necessario che essi rimangano sempre uniti a lui se vogliono portare frutti.

La pericope fa parte del libro degli addii che raccoglie quanto detto da Gesù nell’ultima cena: si tratta di un lavoro redazionale di composizione che ha legato insieme testi differenti sino a giungere all’attuale forma. Giovanni presenta il contesto dell’ultima cena facendo emergere il tema dell’addio nell’ultima donazione di amore di Cristo, simbolicamente presentato nella lavanda dei piedi; quindi, dopo l’annuncio del rinnegamento di Pietro, il primo discorso sulla fede e l’amore come risposta al turbamento dei discepoli per la prossima partenza di Gesù.

Segue la nostra pericope, all’interno del discorso sulla fede e l’amore come risposta all’odio del mondo. «Io sono la vite vera» (Gv 15,1). Come il tema del pastore, anche quello della vigna è molto presente nell’Antico Testamento: il Signore è il vignaiolo che ha piantato con amore la vigna che è Israele, il suo popolo, immagine alla quale i profeti spesso si sono rifatti per denunciare la mancanza di frutto. Il profeta Ezechiele (Ez 15, 2-5) presenta il legno della vite come un legno che non ha alcuna utilità, né quando è intero né quando è bruciato, ma solo nel suo portare frutto, serve solo a questo (cf Lc 6,44; Mt 7,16). Nel testo giovanneo, la vigna non è soltanto figura del Popolo di Dio, ma dello stesso Gesù: come per il pastore e il gregge, Cristo e la Chiesa sono uniti nell’immagine della vite e dei tralci. La vigna rimarrà per sempre fedele a Dio, perché la “Vite” non più il popolo ma è Cristo stesso, così che ora la vigna è divenuta la santa radice. Il vignaiolo che elimina i tralci secchi e pota rappresenta l’attività del Padre nei confronti della comunità dei discepoli. La potatura avviene mediante la parola di Gesù, accolta nella fede; il non portare frutto della vigna è per Giovanni da imputare solo a cattiva volontà. «Rimante in me e io in voi» (Gv 15,4) è un’espressione chiave che rimanda alla divino-umanità di Cristo come linfa vitale che nutre la vigna con il suo amore: infatti, come il tralcio che rimane attaccato al ceppo della vite riceve linfa e porta frutto, così il fedele che rimane in Cristo produce frutto e partecipa della vita divina. La vita umana trova il suo senso nel rimanere nell’amore di Dio, farsi attraversare da esso fino a vederne il frutto, l’amore, perché «senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5). Il tralcio che non dimora in Lui si dissecca e a suo tempo è tagliato via e arso con il fuoco. Il Padre opera nella storia tagliando ciò che impedisce di portare frutto, ma pota la sua vigna anche perché possa portare un frutto migliore e più abbondate. Il termine greco potare fa riferimento anche al purificare: non siamo noi che possiamo liberarci dalle nostre imperfezione, dal nostro egoismo per divenire dono, ma solo il Padre. Il dimorare in Cristo è accogliere il suo amore, cioè lasciarmi penetrare dalla sua parola; nella misura in cui io mi apro alla volontà di Dio essa si realizza nel mondo. Il Padre è glorificato nei frutti di amore e di apostolato dei discepoli. Il Padre sarà glorificato «se amiamo non a parole, né con la lingua, ma con i fatti e nella verità. Da questo conosceremo che siamo nati dalla verità» (cfr. 2a lett.), cioè se viviamo in Cristo da figli.

Col battesimo, noi siamo stati innestati in questa vite, siamo diventati figli di Dio, ma per poterlo essere e portare frutto dobbiamo costantemente «scegliere» di rimanere attaccati in Lui, di accogliere la sua Parola, di accettarlo nella nostra vita giorno dopo giorno, lasciandolo operare in noi così da avere gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5).

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