La cosa che più mi sorprende, nella complessa vicenda elettorale e nel suo esito finale, è che gli italiani siano riusciti a convincersi che mandare al governo la Lega rappresenti una “rivoluzione”, che apre una stagione nuova per il nostro Paese. E dire che, a richiamare l’attenzione sull’evidenza contraria, c’è stata la ferma determinazione di Salvini di non rompere la coalizione con Forza Italia, determinazione mantenuta, anche a costo di sfidare la logica, perfino ora che Berlusconi si trova all’opposizione e vota in Parlamento contro i suoi alleati. Un segno di tenace (anche se non del tutto disinteressata) fedeltà, che avrebbe dovuto forse suscitare nella labile memoria dei cittadini qualche brandello di ricordo dei tempi in cui la Lega governava insieme all’ex “cavaliere”.
Se questo fosse accaduto, magari avremmo avuto un minor numero di persone che, sui social o nelle conversazioni, continuano a ripetere che è presto per valutare il governo, perché siamo davanti a una novità assoluta, che dovrà essere giudicata da quello che farà. Dove è senz’altro vero che qualcosa di nuovo c’è – la presenza dei 5stelle, che, malgrado la fallimentare esperienza della Raggi a Roma, hanno il diritto di ritenersi degli esordienti a livello nazionale –, ma si possono già fare, alla luce del passato, delle sensate previsioni sul suo prossimo operato, anche per il ruolo decisamente preponderante che finora Salvini ha avuto e sembra destinato ad avere su Di Maio.
Sì, elettori che avete votato entusiasti per il “cambiamento”: l’avvento della Lega non è certo un gran cambiamento rispetto ai governi che hanno portato l’Italia allo stallo economico, culturale, politico attuale. Anche nello stile, che è sempre stato quello del disprezzo verso le istituzioni (forse avete dimenticato di quando Bossi disse che con la bandiera tricolore poteva fare un uso che non voglio qui menzionare, o di quando minacciò di fare imbracciare ai suoi i fucili…), della rottura con i toni ufficiali della buona educazione politica (l’imbarbarimento del linguaggio, nel dibattito pubblico, si deve soprattutto, inizialmente, alla Lega), della facile polemica contro la gerarchia ecclesiastica, quando parlava a favore degli immigrati (Bossi ce l’aveva col cardinale Martini, Salvini addirittura con papa Francesco).
Qualcuno obietterà che quella era la Lega Nord, circoscritta ad orizzonti regionali, mentre ora Salvini ha messo da parte il vecchio gruppo dirigente e ha dato al partito un respiro nazionale. Che questa sia stata l’operazione di maquillage, alla vigilia delle elezioni, è indubbio. Ma che si sia trattato di una trasformazione solo nominale, rispetto alle precedenti esperienze di governo, lo dice con evidenza il fatto che in esse ormai la Lega aveva ampiamente abbandonato la polemica nordista contro “Roma ladrona”, per assumere, proprio a Roma, le redini del Paese in una prospettiva che non era più, ovviamente, quella regionalistica o peggio, secessionista. Né il ricambio di gruppo dirigente ha mutato di molto gli atteggiamenti e i progetti del partito, tranne che nella ferma volontà di convincere anche gli italiani del Centro e del Sud che questo mutamento era avvenuto e che ora potevano fidarsi della Lega “per cambiare le cose”.
Ma torniamo alla storia e alle esperienze passate del Carroccio alla guida del Paese. La prima è nel 1994, in un governo di cui è premier Berlusconi, con cinque ministri, di cui uno, Maroni, vice-presidente del Consiglio. La Lega ottiene anche la presidenza della Camera, a cui va Irene Pivetti. Il governo cade dopo pochi mesi, ma l’alleanza con Berlusconi viene riattivata e, nel 2001, porta a una nuova formazione governativa, questa volta stabile, di cui Lega e Forza Italia sono l’asse portante.
In vista delle elezioni politiche del 2006, in cui però la Destra uscirà sconfitta, la Lega conferma l’adesione alla Casa delle Libertà, che candida nuovamente Berlusconi a premier, e, per la prima volta, apre anche alle energie provenienti dal Sud Italia, stipulando un accordo, detto Patto per le Autonomie, con il meridionalista Movimento per l’Autonomia, guidato da Raffaele Lombardo, che diventerà, più tardi, uno dei più “chiacchierati” governatori della Sicilia e sarà anche condannato per rapporti con la mafia.
Nel 2008, però, l’alleanza con la Casa delle libertà porta la Lega di nuovo al governo – sempre a guida Berlusconi – con quattro ministri. Ci resterà fino all’autunno del 2011, quando Berlusconi sarà costretto a dimettersi per la pesantissima crisi economica e finanziaria, da lui negata fino all’ultimo, ma evidenziata dall’aumento impressionante dello spread, che minaccia di portare il Pese al default.
Non è una storia gloriosa. Sono gli anni del declino dell’Italia, malgrado le eclatanti promesse di Berlusconi – aveva garantito, al suo esordio, un milione di nuovi posti di lavoro, e invece è venuta la dilagante disoccupazione! –, al quale sicuramento va attribuito il “merito” di avere introdotto il populismo nella politica italiana (vi ricordate la promessa, in extremis, di restituire l’Imu sulla seconda casa, alla vigilia delle elezioni del 2013? anche allora la Lega era stretta in coalizione con lui). In ogni caso, comunque la si giudichi, è una storia che fa della Lega una delle responsabili della situazione attuale dell’Italia. Come non ammirare il prodigio di illusionismo che le ha consentito di farsene una radicale e indomabile accusatrice?
Ma, dicevo, questo permette anche di capire fin da ora che cosa farà questo governo per la parte (consistente, forse decisiva) che dipende dalla Lega. E del resto il suo programma è sempre stato su questa linea. In primo luogo, combatterà il crimine della clandestinità. Che i crimini vadano colpiti è ovvio. Se non fosse che questo è stato inventato dalla legge Bossi-Fini, del 2002, stabilendo che si è criminali non per qualcosa che si “fa”, ma per il solo fatto di “essere” sul territorio italiano senza permesso di soggiorno. E siccome, secondo la legge in questione, il permesso di soggiorno si può avere solo se si ha un lavoro, gli immigrati sono messi nelle mani degli italiani poco onesti – e ce ne sono parecchi – che vogliano ricattare i loro dipendenti stranieri pagandoli meno del dichiarato e sottoponendoli ad ogni tipo di sopruso, minacciandoli di licenziarli. Da qui condizioni di lavoro disumane, funzionali all’economia italiana ma contrarie alla più elementare umanità.
È di fronte a questo quadro che Salvini ha avvertito gli immigrati, dopo il suo avvento al governo: «È finita la pacchia!». A meno che non si riferisse ai 35 euro giornalieri che la propaganda della Lega ha attribuito ai rifugiati, mentre in realtà sono stati pagati agli italiani che gestiscono la loro “accoglienza”, senza minimamente curarsi di garantire loro un reale inserimento, anzi perpetuando interessatamente la loro condizione di marginalità.
Si potrà dire che questo disastro è dovuto non alla Lega ma ai governi di centro-sinistra che hanno preceduto quello appena formato. Ed è verissimo. La pretesa solidarietà è stata realizzata da questi governi – per peraltro si sono guardati bene dall’abolire la Bossi-Fini – con tale inefficienza e insensibilità per le reali esigenze degli “assistiti” da non consentire alcun rimpianto, e prestando il fianco alle accuse di sperpero fatte dalla Lega. Con la sola, decisiva precisazione, che a essere responsabili e avvantaggiati di tutto ciò non sono stati gli stranieri, come si è voluto far credere, ma gli italiani.
Chiedo scusa di aver evocato questi ricordi, che a quanto pare sono risultati così scomodi da dover essere rimossi, anche da persone da cui ci si sarebbe aspettata una migliore memoria. Con questo non voglio anticipare giudizi negativi su ciò che la Lega (nuovamente) al governo farà. La storia è imprevedibile. Ma l’attesa del futuro non giustifica la rimozione di ciò che è accaduto nel passato. Altrimenti si risolve in pura e semplice illusione.
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