Leggo un titolo di prima pagina sul “Giornale di Sicilia” di oggi, lunedì 28 gennaio, in cui si rileva che i sexy shop di Palermo «non conoscono crisi». In realtà, a leggere l’articolo corrispondente, si scopre che un po’ di crisi ce l’hanno anche loro, «ma non è letale come nel caso di altre attività commerciali». Clienti ne hanno tanti – molte, a sentire i gestori, sono le signore – e, anche se “Mutandina sexy Duck” è meno florido che in altre annate, al “Blue Moon” le cose vanno abbastanza bene. Merito anche del cambiamento di mentalità dei palermitani: «Prima la gente si guardava attorno prima di entrare, adesso lo fa con molta più tranquillità». Almeno su questo versante, il Pil non è in rosso profondo.
Certo, anche a non essere dei moralisti, viene spontaneo chiedersi se una sessualità che ha bisogno, per attivarsi, dei gadget resi di moda da libri o film “specializzati”, sia il massimo. Forse dalla famosa “liberazione sessuale” ci si poteva aspettare qualcosa di meglio.
Resta il fatto che il livello dei consumi ormai, anche al di fuori dei sexy shop, è strettamente legato all’esibizione dei corpi, specialmente di quello femminile. I settimanali li esibiscono in copertina. La pubblicità ne fa ampio uso per rendere più appetibili i prodotti reclamizzati. Nei film è diventato raro – quale che sia il genere cinematografico – non assistere in diretta a un coito o ai suoi preliminari. Eros ormai fa rima con business.
Al punto che pochi sanno di un passato remotissimo in cui questa parola indicava l’amore. Platone, un filosofo del quattrocento avanti Cristo, gli ha dedicato una sua opera, identificando in esso la grande forza che spinge l’essere umano. Non parlava delle pulsioni sessuali, anche se non le escludeva. Perché l’amore, egli scriveva, è il desiderio struggente della bellezza, e questa si coglie in prima istanza in un bel corpo. Ma, se ci si lascia trasportare dal dinamismo di questo desiderio, si scopre che più grande e affascinante della bellezza di un corpo è la bellezza di un’anima. Quante unioni si sono sfasciate per non avere fin dall’inizio saputo fare attenzione a questa distinzione! E poi c’è il desiderio di belle leggi, che siano ispirate alla giustizia e non solo a logiche di potere e di interesse privato. E, più grande ancora, c’è quello per la bellezza della verità, in nome del quale si può spendere un’intera vita nella sua ricerca e ci si può opporre strenuamente a un clima dominante di menzogna…
Di questo eros più grande, di cui il sesso è un aspetto importante, ma non esaustivo, di questo amore a cui la stessa sessualità deve la sua dimensione propriamente umana e la sua grandezza, non sembra esserci quasi più traccia nella nostra società. Sì, è vero, nelle scuole si fa “educazione sessuale”. Ma si riduce a una serie di “istruzioni” sull’uso dei mezzi anticoncezionali, per consentire ai ragazzi e alle ragazze di divertirsi senza avere grane. Dell’eros come amore neppure un cenno.
E ormai, nel linguaggio degli studenti, spesso la stessa espressione “fare l’amore” è esorcizzata, come un residuo di epoche passate, sostituita da quella, più realistica, “fare sesso”. E il motivo è chiaro: amare è impegnativo, implica la lunga maturazione di un desiderio che coinvolge tutta al persona e sfocia, in ultima istanza, in un dono di sé all’amato o all’amata. Fare sesso, sganciandolo dall’amore, è invece dare sfogo a una pulsione. E la logica del consumismo, anche in questo campo, ha messo in primo piano la soddisfazione immediata, escludendo ogni attesa.
Uno psicoanalista italiano molto noto, Massimo Recalcati, richiamando Freud, ha osservato una simile cultura «rigetta il limite, la mancanza, il desiderio (…) Il godimento deborda senza argine, senza freni, non si aggancia al desiderio, sospinge verso la consumazione dissipativa della vita». E impedisce all’io di maturare attraverso la propria sessualità
Non si tratta solo di teorie. Nel 44° Rapporto Censis, del 2010, ne troviamo una conferma a livello sociologico: «Sembra avvenire ogni giorno di più che il desiderio diventi esangue, senza forza, indebolito da una realtà socioeconomica che da un lato ha appagato la maggior parte delle psicologie individuali attraverso una lunga cavalcata di soddisfazione dei desideri (…) e che dall’altro è basata sul primato dell’offerta che garantisce il godimento di oggetti e di relazioni mai desiderati, o almeno non abbastanza desiderati» (n.13).
Siamo davanti al paradosso di una società che ha posto in primo piano la liberazione dell’eros, e che alla fine si ritrova a constatare il fallimento proprio della capacità di desiderare con passione, anche da un punto di vista sessuale. Da qui il bisogno dei gadget.
Probabilmente gli avventori e le avventrici di “Mutandina sexy Duck”, se leggessero queste considerazioni, le attribuirebbero alla nota sessuofobia dei cattolici. Si stupirebbero molto se qualcuno spiegasse loro che esse sono, al contrario, una disperata difesa dell’eros tradito.
Giuseppe Savagnone
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