41Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?».
43Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. 44Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48Io sono il pane della vita. 49I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;50questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Ci troviamo oggi al centro della riflessione sul sesto capitolo del Vangelo di Giovanni, che la liturgia ci propone in queste domeniche del tempo ordinario. Il tema del pane della vita è, già dal brano di domenica scorsa, esplicitamente enunciato e acquista sempre maggior forza nei brani di questa e della prossima domenica.
Il discorso di Gesù avviene a Cafarnao e i destinatari sono quelle folle che lo hanno seguito dopo il prodigio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, con l’intento di farlo re. Il fatto che Gesù si sia sottratto genera nella gente incomprensione, se non addirittura una certa delusione (“Maestro, quando sei venuto qua?” Gv 6,25). Essa, insieme al messaggio inaudito che segue, è solo l’inizio di progressive defezioni che condurranno il Signore verso una solitudine indicibile nell’annuncio del suo messaggio, di cui questo brano evangelico è carico.
Il racconto di oggi inizia nella mormorazione dei Giudei su quanto appena detto: costui è il figlio di Giuseppe, conosciamo sua madre, sappiamo da dove viene; come è possibile che lui, “uno come gli altri”, faccia tale annuncio? Chi è davvero costui? “Donde gli vengono dunque queste cose?” (Mt 13, 55-56). Questo sentire è presente in altre parti dei vangeli, in cui conoscere L’appartenenza familiare di Gesù di Nazareth costituisce motivo di “scandalo” per la mentalità ebraica e per tutti noi: quando a Nazareth Cristo, nella sinagoga, interpreta il compimento della profezia di Isaia (Lc 4, 16-22) e vogliono spingerlo da una altura; dopo aver ascoltato il suo sapiente insegnamento in parabole (Mt 13). Persino Giovanni il Battista, sentito parlare di lui, si chiede “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Mt 11, 3). Anche per i profeti dell’Antico testamento la familiarità e la vicinanza sono spesso motivo di scandalo perché è proprio su di esse che si crede di avere piena conoscenza, pieno controllo, sulla cui identità e natura si dà tutto per scontato e nulla si è disposti a mettere in discussione. Il discorso sul pane della vita, che coincide con la persona stessa di Gesù, deve avere messo a dura prova ogni ebreo osservante –quanto mai attento al monoteismo e al pericolo idolatra – facendo apparire Gesù come una persona irrimediabilmente esaltata. In questo momento è la fede, intesa come pieno affidamento, ad essere chiamata in causa. E’ la rinuncia alla pre-comprensione, al radicato concetto che il Signore chiede. E’ la difficile “morte a noi stessi” necessaria per seguirlo.
Affinché questo avvenga le sole forze umane non sono bastevoli e questo è sottolineato dalle risposta di Gesù: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato”. L’opera stessa di Dio è necessaria per la accoglienza di questo messaggio; la sua comprensione è subordinata al “venire a lui”, condividere la sua vita, avere fiducia. Se infatti, si sottopone questo messaggio al nostro criterio di giudizio, appare indubbiamente inaccettabile. Credere che l’uomo che si ha davanti sia il pane che da la vita eterna, intendendo il pane in senso metaforico come fede nella sua persona, è già un passo molto radicale. Gesù, però, introduce un’inaudita letteralitá al discorso, riferendosi alla sua carne come cibo. Questo anticipa il Vangelo di domenica prossima, in cui Gesù non attenua nulla della forza del messaggio scatenando una crisi tra gli stessi discepoli e l’allontanamento di alcuni di essi: avrà, infatti, sicuramente confuso, o addirittura inorridito, gli astanti.
Il pane è simbolo di vita ricevuta in una relazione, di non autosufficienza, di creaturalità. Il fatto che Gesù si faccia prossimo a noi come pane ogni domenica, “fino alla fine del mondo” (Mt 28,20) ci insegna il giusto modo di entrare in relazione con Lui e con Dio. È la resistenza che ogni uomo oppone al riconoscersi come creatura bisognosa il vero peccato “originale”, quello che sta al fondo di ogni ribellione e lontananza da Dio, sul quale oggi siamo invitati a meditare.
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