1Si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. 2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate 3 – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi 4e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, 5quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
6Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
7Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». 14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene!15Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». 21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, 22adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
La liturgia di questa domenica ci pone davanti l’esigenza di coniugare legge e cuore, fede ed esistenza. La prima lettura, tratta dal Deuteronomio, accosta alcune omelie di Mosè prima di giungere alla Terra Promessa in cui la Torah viene presentata come espressione dell’incontro tra la volontà del Dio “vicino” e l’adesione gioiosa della volontà umana. Nella libera osservanza della Legge il credente scopre la volontà di Dio: nell’adesione “alle leggi e alle norme che egli ci insegna” è possibile cogliere la vicinanza di Dio al cuore dell’esistenza umana, infatti “quale nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicini a noi?” (Dt 4,7).
Lo stesso rapporto tra esistenza religiosa ed impegno vitale nei confronti della legge divina è presente nel testo della lettera di Giacomo dove, polemizzando contro un culto legalistico ed una spiritualità evanescente, l’apostolo propone l’accoglienza aperta e totale della “parola che è stata seminata” in noi da Dio, “Padre della luce”.
Non si tratta semplicemente di un ascolto astratto, ma di un impegno quotidiano e concreto nei confronti di chi si trova nel bisogno: obbedire a Dio è fare il bene del prossimo. Nel Vangelo, Gesù ci ricorda ancora che la Legge di Dio non è un giogo costrittivo, ma indicazione per il bene dell’uomo e da essa non va tolto né uno iota, né alcun segno.
La pericope evangelica, frutto dell’opera redazionale dell’evangelista, non presenta alcun collegamento di tempo e di luogo con gli episodi precedenti: partendo da una domanda posta dai farisei (vv. 1-5), si sviluppa con alcune considerazioni di risposta da parte di Gesù, date prima agli stessi farisei (vv. 6-13) e poi a tutto il popolo (vv. 14-16) e si chiude con una delucidazione sulle parole rivolte a tutto il popolo, delucidazione che però è data ai soli discepoli (vv. 17-23). Il movimento tematico del brano di Marco è duplice. Si inizia con un paragrafo negativo e violentemente polemico in cui Gesù sì scontra con gli scribi e farisei che lo attaccano perché egli critica le prescrizioni rigorosissime di purità rituale esemplificate nella netilat jadaijm, la lavanda delle mani. In realtà la legge della purità rituale faceva obbligo solo ai sacerdoti di lavarsi le mani prima di mangiare le parti loro spettanti dai sacrifici offerti al Signore (cf. Es 30,17-21; 40,30-33; Lv 10,12-13). L’uso aveva esteso la norma anche ai laici e per qualunque pasto: non solo motivi igienici ma religiosi dunque. Inoltre, da richiamo simbolico alla purezza del cuore e della vita si era trasformata in un ossessivo obbligo esteriore destinato ad esaurire ogni impegno di santità e di purezza interiore. Gesù oppone a queste prescrizioni, frutto “delle tradizioni di uomini” (v. 6), il “comandamento di Dio”, appello radicale alla coscienza. La seconda parte del discorso di Gesù, tutta positiva, ci ammonisce che la frontiera tra puro e impuro non passa fuori di noi e nemmeno divide la gente. È l’egoismo che rende l’uomo incapace di rapporto con Dio e quindi “impuro”. L‘evangelista Marco ci dà un elenco di 12 peccati, dove il numero 12 nella Bibbia indica la totalità: i primi sei indicano atti malvagi, gli altri sei altri vizi ma ad emergere con forza è l’affermazione che il vero peccato consiste nell’incapacità di amare il prossimo, di seguire il cuore.
Lascia un commento