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Madonna del Parto tra arte e devozione. Studio di una Madonnina con nomen sacrum.

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LA LODE ALLA MADONNA DEL PARTO

L’arte cristiana celebra, con la vastità dell’iconografia Mariana, l’intensità della lode a Maria di Nazareth , unendosi al coro straordinario di tutte le lingue: dalle invocazioni e dagli inni dei padri della Chiesa delle origini, alle chiose sapienti e complesse della riflessione teologica, fino alle voci più umili e talvolta sorprendenti della devozione popolare.

I volti e i ritratti confluiti nell’alveo pittorico della “Madonna del parto”, sono metafore straordinarie della fede nell’Evento: le istanze profetiche, la visione teologica, le suggestioni, le ispirazioni degli artisti e dei poeti di tutti i tempi si sono accordate in una sola lode verso la “Madre del Salvatore”.

Dal suo “Eccomi”, sospeso sul Mistero dell’Incarnazione, Maria accoglie nelle sue fibre l’umana realtà della sua maternità: il Dio fatto uomo entra nel tempo e pur invisibile e fasciato di silenzio, si protende, piano piano, allo sguardo degli artisti che creando infinite visioni della “Vergine Madre”, lo magnificano nella sacralità dell’ostensorio vivente, lo contemplano nel suo evolversi e inventano miriadi di segni, simboli e metafore per “rendere visibile, l’Invisibile”, per “dare contemporaneità all’Umano insieme al Divino”. Al cuore di questo flusso radioso e inesausto di lodi c’è, unicamente e indefettibilmente, la Madre del Salvatore.

Tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.”
(Dante, Paradiso)

Fin dalle catacombe l’arte, tra il II e III secolo, presenta Maria come Madre del Redentore. La più antica immagine è in una nicchia del cimitero di Priscilla, a Roma, dove Maria appare con il Bambino al seno. Davanti a lei il profeta Balaam indica la stella e la Madre.

“Io lo vedo, ma non ora,
io lo contemplo, ma non da vicino:
Una stella spunta da Giacobbe
e uno scettro sorge da Israele” (Nm 24,17).

Al suo primo apparire, agli albori dell’arte cristiana, Maria è ritratta nella veste più umana e materna, mentre nutre al seno il suo bambino. La più antica immagine della Madonna è dunque la prima “Virgo lactans” della storia della cristianità, evocata nel testo di Luca: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!” (Lc 11,27.)

Luca usa la parola greca dynamis (forza) per definire la potenza dello Spirito Santo su Maria e l’Eccomi di Maria non può essere che una risposta ugualmente potente. Ed è dalla consapevolezza di quel Figlio – che ha reso il seno di Maria “vasto quanto l’infinità di Dio”– che scaturisce la dynamis che guida la Chiesa dei primi tempi, nel lungo travaglio delle disquisizioni teologiche sul mistero del concepimento di Gesù Cristo. Sarà il Concilio di Efeso, nel 431, a definire la Divina Maternità di Maria: “La Santa Vergine, Colei che ha generato secondo la carne il Verbo (logos) che è da Dio, è Madre di Dio”.

Dal deserto dell’Amore disatteso di Eva nasce il Fiore divino della Vergine madre: il mondo ammutolisce davanti al Prodigio, contempla il Mistero, e tutte le lingue si accordano in un unico Canto davanti al corpo-ostensorio di Colei che ha osato intercedere fra il Divino e l’Umano.

All’arte, quale scrittura visiva in simbiosi con la Parola, spetta il compito immane di rappresentare il mistero del concepimento divino.

L’iconografia che scaturisce dalla contemplazione della “Santa Vergine Madre di Dio”, non può esimersi dall’assumere, già dai suoi primi palpiti, la potenza dell’Eccomi di Maria di Nazareth e servire la vastità e l’intensità della Scrittura germinata dall’evento.

È l’iconografia più complessa e più estesa rispetto qualsiasi altro tema della Storia sacra: la più affascinante narrazione metaforica del Mistero dell’Incarnazione.

ICONE, FRA ARTE SACRA E PROFANA.

Al Concilio ecumenico di Nicea del 787, cattolici e ortodossi, di comune accordo, riconobbero “la liceità delle immagini e del loro culto” autorizzando la raffigurazione, “come evocazione sensibile del mistero” dell’Incarnazione, a pari titolo della Parola: “Ciò che la Parola porta all’orecchio, l’immagine lo porta davanti agli occhi”. Durante la quinta sessione di quel concilio, un’icona fu collocata in mezzo alla sala in cui si svolgeva l’assemblea, là dove per tradizione erano esposti i Vangeli: le icone sono al servizio della Rivelazione.

LA VERGINE DEL SEGNO E LA METAFORA DEL CONCEPIMENTO.

Il primo tipo iconografico dotato di un segno che indica la divina maternità, è la Vergine orante con l’effige di Gesù dentro un “clipeo” (medaglione), posta tra il petto e il ventre. Sorta sul modello dell’Orante con le braccia aperte e le mani alzate, visibile, dal IV secolo, nelle catacombe di Santa Agnese a Roma, appare nel V secolo ed è nominata “La Vergine del segno”, o Platytera, o Madre di Dio del segno, in perfetta aderenza alla profezia di Isaia ad Acaz, re di Giuda: “Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.”. (Is. 7,14).

L’iconografia sorta, per motivi devozionali connessi alle disquisizioni teologiche sulla natura umana e divina del Cristo ha un suo incipit in un papiro del VI secolo:

“Ave Madre di Dio, o pura di Israele!
Ave, o tu, il cui seno è più vasto dei cieli!
Ave, o Santa, o Trono celeste!”

Fra le icone in cui si rappresenta, in forma metaforica, il mistero del concepimento, si distingue per la sua sostanziale relazione con la Parola, il tipo della “Madonna del Roveto”. Una metafora splendida ove il miracolo del roveto ardente apparso a Mosè, diventa prefigurazione della nascita di Gesù dalla Vergine Maria: così come la fiamma brucia nel roveto e non lo consuma, ugualmente la Vergine dà alla luce Gesù rimanendo perfettamente integra.

L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo a un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. (Es 3,2-5).

SEGNO.

Sotto il titolo della Madre di Dio del segno le iconografie mariane interagiscono e dialogano incessantemente: dalla Vergine del Segno alla Vergine del Roveto, dalla Madre della Misericordia alla Madonna della Cintola, dalla Vergine dell’Annunciazione e della Visitazione alla Madonna del Magnificat. Abbracciate in una tenerissima danza caleidoscopica contemplano i tempi e gli aspetti dell’Evento del Concepimento di Gesù Cristo: alcune ne evocano la presenza tramite un’effige di Gesù racchiusa dentro la mandorla che simboleggia la presenza simultanea dell’umano e il divino, altre, raffigurando l’espandersi naturale del ventre che lo accoglie tramite i particolari del vestiario di Maria, dai primi accenni del concepimento nell’Annunciazione fino alla “Madonna dell’aspettazione del Parto” che esibisce con estrema naturalezza l’imminenza dell’evento, come si attesta esemplarmente, nella magnifica Madonna del Parto di Piero della Francesca.

San Paolo (Gal 4,4): “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna…”.

ICO MARIANE TAV 1 C

ARTE SACRA: DALL’ICONA ALL’ARTE DEVOZIONALE.

Nel secolo scorso, sulla sacralità delle icone il teologo russo Pavel Florenskij, si esprimeva con fermezza. Le icone sono altro rispetto qualsiasi pittura profana di soggetto religioso: “La “pittura di icone come espressione della cultura ecclesiale” rende visibile simbolicamente il “mondo degli archetipi, delle essenze supreme, sovracelesti”; “l’icona è un’opera testimoniale da accogliere come rivelazione del sacro“.

Molti anni fa, a Palazzo Abatellis, dopo aver contemplato a lungo il volto dell’opera di Antonello, ho affidato a poche righe la percezione della sua “visione teologica” nel ritrarre la Vergine Annunciata: “Le pagine del libro della Parola di Dio si sono mosse al passaggio del Messaggero: si è perso il segno materiale, temporale della Parola tramandata. La mano destra è accogliente oltre le pagine scritte: Maria ha in sé il Prodigio della Rivelazione. Gli occhi chini e dolcissimi dell’Ubbidiente sono assorti nel Mistero più grande: Il Segno di Dio è ora in Maria” (n. s.). Oggi, riemergono dalla memoria e mi accorgo di aver elaborato una metafora del concepimento nel suo farsi, allineando gli elementi simbolici dell’evento (Libro – Parola – Segno): Annuncio (passaggio del messaggero), Eccomi (La mano destra è accogliente), Rivelazione (Maria ha in sé il Prodigio della Rivelazione), Segno (il Segno di Dio è ora in Maria). L’Annunciata di Antonello è “rivelazione del sacro”?

La grande famiglia iconografica della “Madre di Dio del segno”, accoglie dunque una miriade di “segni che corredano le varie visioni della maternità di Maria, diffuse principalmente nelle opere della scuola toscana, verso la fine del trecento. Rarissimo invece, il ricorso a un nomen sacrum come si è acclarato, recentemente, nell’effige di una Madonnina del parto di casa Maurigi, oggi oggetto di studio e tema appassionante della nostra ricerca.

MADONNINA DEL PARTO CON IMPORTANTE NOMEN SACRUM.

(Premessa.)

RV MDP J PART 2La Madonnina del Parto dei Marchesi Maurigi mi è stata affidata, per un approfondimento iconografico, nel dicembre 2016, nel corso di una conferenza – “Meditazione sulla Madonna del parto”- tenuta presso la Cappella delle Dame del Giardinello, a Palermo. La prima sollecitazione , che mi è stata posta, ineriva la singolare iscrizione che la Madonnina recava sul ventre. Iscrizione indecifrata, sulla quale era puntato il massimo interesse di Giuseppe Maurigi Fatta, ansioso di potersi riappropriare di un frammento ancora “secretato” della storia di famiglia. Infatti, la Madonnina, trasmessa dal 1600 ai primogeniti dei Marchesi Maurigi di Castelmaurigi, gli era stata affidata dal nonno Giuseppe Maurigi con la raccomandazione di averne massima cura per la sua “grande preziosità” che andava ben oltre “il valore materiale” poiché “si trattava di un’opera votiva importantissima. Queste, le parole testuali del nonno paterno, che non volle mai spiegare il perché di questa “preziosità”, limitandosi a consegnare la memoria di un rigoroso rito famigliare: “La Madonnina, oggetto di grandissima devozione, veniva recata nella stanza della partoriente e tenuta, con il suo lumino acceso a protezione del compimento del parto”. Per Giuseppe Maurigi, in virtù di questa memoria ancora nitidissima, era quasi un imperativo sondare il mistero della piccola Madonna votiva: un’esigenza mai tacitata.

In passato alcuni studiosi avevano ravvisato nei segni tracciati sul suo ventre dei “simboli esoterici”, ma Giuseppe e Stella Maurigi erano decisamente insoddisfatti di un’ipotesi che confliggeva con la loro storia di famiglia e, consegnandomi le prime immagini per lo studio, era evidente, nei loro sguardi, che mi affidano le loro aspettative: l’attesa di un disvelamento che non fosse lesivo dell’immagine sacra cui erano molto devoti.

(Le prime istanze della ricerca.)

Il primo dilemma che mi si è posto per sciogliere l’appassionante mistero riguarda la testimonianza del donatore: perché “importantissima”? …per il significato della scritta indecifrata, per la pregevolezza della pittura, per l’autorevolezza del suo autore o per la sua destinazione? Il primo interrogativo si è risolto in tempi relativamente brevi: dopo la ricostruzione virtuale della terza lettera dell’iscrizione, ipotizzata come una “S”, velata da una piccola lacuna, si è evidenziato il Cristogramma IHS, sormontato da una croce (a T).

DECIGRAZIONE RV TAV. 2

Derivato dalle prime tre lettere – ΙΗΣ – del nome di Gesù in greco, – ΙΗΣΟΥΣ –, ove sigma Σ diventa S nell’alfabeto latino e di seguito interpretato come “Jesus Hominum Salvator”, IHS, è un cristogramma dalla grande fortuna storica.

Presente dal III secolo fra le abbreviazioni utilizzate nei manoscritti greci del Nuovo Testamento, abbreviazioni chiamate oggi Nomina sacra, percorre un suo iter dall’intensissima devozione verso il Santissimo Nome di Gesù promossa da San Bernardino da Siena, che lo esponeva al pubblico su tavolette di legno, durante le sue omelie, fino a Sant’Ignazio di Loyola che lo scelse come proprio sigillo e lo adottò, in seguito, come emblema del suo ordine della Compagnia di Gesù.

Da questa importante decifrazione la ricerca iconografica è proseguita in dialogo costante con Stella e Giuseppe Maurigi, subito interpellati per un confronto fra la storia della famiglia e i contatti con i Gesuiti.

Dagli archivi di Casa Professa è scaturito l’elenco di ben sei giovani Maurigi entrati a far parte della “Compagnia del Gesù”: il primo fu Carlo Maurigi ( figlio di Simone M. e Antonia Lucchesi Palli), accolto nel 1633 nel Collegio di Caltagirone, seguito da quattro fratelli Maurigi , figli Simone M. e di Girolama Catena Lanza : Francesco, accolto nel 1678, Carlo nel 1682, Stanislao, nel 1700, e Salvatore, accolto a Messina nel 1712. Il sesto gesuita fu Maurizio (figlio di Maddalena Brianin) accolto nel 1761. Maurizio sopravvisse allo scioglimento dell’ordine ( 1773) ed era ancora in vita quando il nipote Simone Maurigi, figlio del fratello di Giovanni, appose al piccolo quadro di famiglia: “Simon Marchese Maurigi pinx 1783. Il legame fra i Maurigi e i primi Gesuiti della Sicilia rimarrà dunque costante nell’arco di un secolo, rafforzato, eccezionalmente, dall’accesso all’Ordine di ben quattro figli della stessa famiglia (Maurigi – Catena Lanza).

Dalla mia ricerca iconografica, nel frattempo, sono emerse alcune opere recanti il cristogramma IHS, diffuse unicamente in ambito gesuitico, in italia e all’estero. Allo stato attuale le poche opere esaminate, rispecchiano il tessuto iconografico della Madonnina del Parto di casa Maurigi. Ma ciò che emerge di singolare in queste opere, è la ripetizione più o meno fedele degli elementi paesaggistici retrostanti i piedi della Madonnina: a sinistra una rupe con una torre merlata, sullo sfondo un braccio di mare con un profilo di montagne e sulla destra un gracile alberello. Questa analogia di riferimenti logistici – se ulteriormente confermata – sta a significare che si indica un luogo esistente. Dalla comparazione incrociata con stampe d’epoca, potrebbe ravvisarsi la rappresentazione del porto di Messina e l’identificazione della torre sulla rupe a sinistra, con la fortezza del Matagrifone, Tale ipotesi apre uno scenario di estremo interesse se si pensa all’importanza capitale dei legami di Sant’Ignazio e della Compagnia di Gesù con la città di Messina ove viene chiamato ad erigere il primo Collegio con funzioni didattiche aperto anche ai laici e che diventerà la prima Università dei Gesuiti.

Pur in epoche diverse e in luoghi distanti tra loro, i Gesuiti trasmettono le fattezze della singolare “Madonna del parto con il monogramma IHS sul ventre”: si vuole fare memoria di un Evento di Intercessione di Sant’Ignazio, talmente straordinario da essere “celebrato” con il suo sigillo sormontato da una croce , che in tutta l’iconografia ignaziana è posto unicamente sul petto di Sant’Ignazio e sui santi Saverio e Luigi Gonzaga. Un evento o più eventi di cui c’è eco, nelle grandi tele dei “Miracoli di Sant’Ignazio” di Rubens ove sono rappresentate alcune madri che recano al cospetto del Santo bimbi esanimi, per la sua “intercessione”, e nella scena analoga dipinta nel corridoio di Andrea Pozzo, accanto alle Stanze di Sant’Ignazio di casa Professa a Roma. Un evento che si ritiene legato intimamente alla storia della famiglia Maurigi e di cui la Madonnina è sacra testimonianza.

In casa Maurigi, infatti, la devozione verso la piccola Madonna del parto è stata grandissima per più di due secoli e mai è cessata la tradizione di accompagnare i parti delle madri della famiglia, con la sua benefica presenza . Oggi il disvelamento del suo emblema genera un grande cerchio virtuoso che abbracciando storia, consacrazioni dei figli gesuiti e fede, trova il suo epicentro dentro il Segno della protezione spirituale di un grande Santo legato profondamente alla Vergine come Colei che intercede presso il suo Figlio e, insieme con Lui, presso il Padre celeste…Indimenticabile la sua visione agli albori della sua conversione : “Una notte, mentre era ancora sveglio, vide chiaramente un’immagine di nostra Signora con il santo bambino Gesù [e] poté contemplarla a lungo provandone grandissima consolazione” (da: Autobiografia, n.10).

Palermo, 8 settembre 2018


Il tema dell’articolo sarà ripreso, corredato da un vasto repertorio iconografico, nel corso dell’evento:

MADONNINA DEL PARTO CON IMPORTANTE “NOMEN SACRUM”. “Studi iconografici”.

PALERMO – 13 SETTEMBRE 2018 ore 18.00 presso l’ORATORIO DELLA CAPPELLA DELLE DAME – VIA DEL PONTICELLO 39 – Palermo

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