30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Nel Vangelo di questa Domenica del tempo ordinario possiamo identificare due nuclei tematici apparentemente distinti ma che, in realtà, convergono: l’annuncio della passione e l’idea di grandezza evangelica, contrapposta a quella del mondo.
È la seconda volta, nel Vangelo di Marco, che Gesù annuncia la Passione: il primo annunzio è avvenuto dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci, le guarigioni, l’insegnamento alle folle e la professione di Pietro “Tu sei il Cristo!”. L’evangelista colloca questo secondo episodio dopo la Trasfigurazione di Gesù e la potente liberazione del ragazzo indemoniato dallo spirito “muto e sordo” che sin dall’infanzia lo affliggeva. Si può ravvisare, quindi, come Cristo ammonisca i discepoli, nei momenti di massima esaltazione per i segni messianici, indicando loro il diverso destino che gli si dispiega davanti: di essere, cioè, “consegnato nelle mani degli uomini”. Non per nulla Pietro rimprovererà (Mc 8,32) Gesù, in una opposizione netta che viene dal maligno e per la quale verrà duramente rimproverato a sua volta dal Maestro (“Va dietro a me, satana!”). In questo caso il mutismo e il timore sostituiscono la precedente reazione di Pietro ed è come se il racconto si interrompesse.
A Cafarnao, verosimilmente nella casa di Pietro, Gesù interroga i discepoli sulla discussione avvenuta tra di loro lungo la strada, su chi fosse il più grande. Durante il silenzio imbarazzato che segue, si mette seduto, nella posizione di chi insegna. “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti” è l’insegnamento grande della Parola di oggi: è una frase forte che è talvolta utilizzata come paradigma e semplificazione del Cristianesimo, anche da chi poco lo conosce o da chi ne è lontano, anche come semplice barzelletta o gioco di parole. In un modo bizzarro questo messaggio, più volte ripetuto in altre occasioni nei vangeli (Mc 10, 28-31) è davvero una densa sintesi della nostra fede e viene a rivelarci l’identità di Gesù e di Dio. Il Signore svela ai discepoli il vero e sconcertate significato della grandezza, la cui ricerca affanna ogni uomo. I più vicini a Gesù vivono per primi questa ricerca (nel successivo capitolo del racconto di Marco, si contenderanno la destra e la sinistra del Cristo nel Regno – Mc 10,37) a dimostrazione di come nessuno sia immune alla logica di grandezza che corrisponde al potere e alla posizione di dominio sugli altri. Voler essere “più grandi” rivela che nel cuore dell’uomo si annida l’ombra e la paura dell’insignificanza, del sentirsi non amati e il desiderio, quindi, di essere diversi, sempre un po’ più in alto, sempre più amabili, sempre più meritevoli di attenzioni. Il sospetto, l’incredulità di essere amati gratuitamente sono la ferita, la macchia con cui ogni uomo deve fare i conti nel proprio cammino. L’egoismo e il protagonismo diventano, in questa ottica, il criterio di azione di chi non si ama e non si sente amato.
Cristo oggi ribalta l’idea di grandezza che afferma se stessa a spese degli altri, chiedendoci di accogliere una verità a noi poco familiare cioè quella di promuovere gli altri a nostre spese, servendoli. Non è servendo che si diventa grandi ma solo se si è grandi si può servire senza ipocrisia. Solo Dio, che è il Grande per eccellenza, poteva spogliarsi e consegnarsi agli uomini nella incarnazione e nella morte di croce. Noi uomini dobbiamo abbattere e sminuire l’altro per esaltarci, dobbiamo morderci e divorarci a vicenda (Gal 5,15) e questo rivela la nostra mediocrità. Il gesto di tenerezza di Gesù, di Dio che abbraccia e mette in mezzo un bambino si contrappone ai nostri fantasmi di grandezza, a quando sogniamo di essere applauditi. La sfida che il Vangelo propone è il gareggiare nella piccolezza, nello stimarsi a vicenda (Rm 12,10), considerare gli altri superiori a se stessi (Fil 2,3), essere come i bambini non quanto a giudizio ma per l’assenza di malizia (1Cor 14,20), perché senza fiducia non si può diventare adulti, né tantomeno liberi. Vane sarebbero le nostre sole forze per un amore così grande, se non ci viene in aiuto lo Spirito Santo.
Accogliere e servire i piccoli è l’azione di Gesù nel mondo, la sua consegna agli uomini, il mistero che celebriamo nell’Eucaristia. In questo senso le due parti del Vangelo di oggi sono collegate, sono due modi per dire la stessa cosa. Gesù che si consegna al mondo è la grandezza che si piega a raggiungere ciò che di più basso esiste, è la vera grandezza che diventa insegnamento per le nostre vite. Servi “di tutti”, non di una selezione di persone, ma di chiunque incontriamo nel cammino che non è più un nemico da abbattere ma un fratello da amare. Lasciandoci invadere dall’amore di Cristo, che libera da ogni paura e diffidenza, non solo accogliamo Cristo stesso, ma anche il Padre: questo amore ci fa entrare nel mistero della Trinità, ci fa partecipare, con tutte le nostre fragilità, all’amore trinitario. E nulla è più grande di questo Amore.
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