“Dante parla ancora” – Brunetto Latini: un grande tra i sodomiti (Inferno XV)

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Già nel canto precedente Dante e Virgilio erano arrivati nel terzo girone del settimo cerchio, che ospita i violenti contro Dio, la natura e l’arte. È una terra battuta da una pioggia di fuoco e vi sono condannati i bestemmiatori, i sodomiti e gli usurai. I secondi corrono senza potersi mai fermare e sono proprio essi materia del XV canto. I due viandanti scansano la pioggia di fuoco perché protetti dal vapore del fiume Flegetonte sull’argine del quale camminano. Loro in alto e la folla di anime in basso lungo il fiume: una di queste prende Dante per il lembo del mantello (memoria evangelica?) e gli grida il suo stupore. Dante china la mano verso il suo viso e attraverso il volto bruciato dal fuoco rivede il suo maestro, Brunetto Latini. Tra i sodomiti, che oggi chiamiamo omosessuali. Il maestro gli chiede di camminare insieme per un po’ ed il discepolo prontamente acconsente, Dante sopra col capo chino (“com’uom che reverente vada”) e Brunetto sotto, col viso rivolto verso l’alto. Il primo dei paradossi di questo canto.

El cominciò: «Qual fortuna o destino
anzi l’ultimo dì qua giù ti mena?
e chi è questi che mostra ‘l cammino?».

«Là sù di sopra, in la vita serena»,
rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle,
avanti che l’età mia fosse piena.

Pur ier mattina le volsi le spalle:
questi m’apparve, tornand’ ïo in quella,
e reducemi a ca per questo calle».

Ed elli a me: «Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glorïoso porto,
se ben m’accorsi ne la vita bella;

e s’io non fossi sì per tempo morto,
veggendo il cielo a te così benigno,
dato t’avrei a l’opera conforto.

Ma quello ingrato popolo maligno
che discese di Fiesole ab antico,
e tiene ancor del monte e del macigno,

ti si farà, per tuo ben far, nimico;
ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi
si disconvien fruttare al dolce fico.

Vecchia fama nel mondo li chiama orbi;
gent’ è avara, invidiosa e superba:
dai lor costumi fa che tu ti forbi.

La tua fortuna tanto onor ti serba,
che l’una parte e l’altra avranno fame
di te; ma lungi fia dal becco l’erba.

Faccian le bestie fiesolane strame
di lor medesme, e non tocchin la pianta,
s’alcuna surge ancora in lor letame,

in cui riviva la sementa santa
di que’ Roman che vi rimaser quando
fu fatto il nido di malizia tanta».

«Se fosse tutto pieno il mio dimando»,
rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora
de l’umana natura posto in bando;

ché ‘n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora

m’insegnavate come l’uom s’etterna:
e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo
convien che ne la mia lingua si scerna.

Ciò che narrate di mio corso scrivo,
e serbolo a chiosar con altro testo
a donna che saprà, s’a lei arrivo.

Tanto vogl’ io che vi sia manifesto,
pur che mia coscïenza non mi garra,
ch’a la Fortuna, come vuol, son presto.

Non è nuova a li orecchi miei tal arra:
però giri Fortuna la sua rota
come le piace, e ‘l villan la sua marra».

Joseph-Anton-Koch-Dante-e-Brunetto-dettaglioÈ un canto che può imbarazzare forse solo i moralisti. O comunque coloro che non hanno familiarità con Dante. Mettere Brunetto all’inferno tra i sodomiti ed eternarlo come un maestro – non un insegnante, un maestro – di primo livello. Manifestare in ogni angolo del testo affetto, rispetto e venerazione. Come si può? Torniamoci dopo. Facciamo prima parlare il testo.

I due sono felici di rivedersi. Brunetto è morto nel 1294 quando Dante aveva 29 anni. Quest’ultimo in vita aveva assorbito il suo insegnamento, che aveva la sua importanza soprattutto a livello politico e morale (inscindibili). Brunetto era stato un guelfo con importanti incarichi di governo. Aveva fatto lotta politica come Dante ed era stato esiliato come Dante. Della sua omosessualità non abbiamo alcuna fonte. La notizia ci viene proprio dal discepolo, che neppure gli concede il beneficio del purgatorio. Non è il caso che mi addentri nella considerazione ecclesiastica dell’omosessualità nel Medioevo. Rimando a chi ha studiato la questione. A quanto pare non doveva trattarsi di peccato particolarmente esecrato. Ma pur sempre di inferno si tratta, e di pena dolorosa.

Richiesto dall’ex maestro, Dante spiega il motivo della sua presenza lì. E accenna al suo smarrimento esistenziale. Brunetto aveva un’alta considerazione del suo allievo: se segui “tua stella” non puoi fallire. Non solo, ma Brunetto aggiunge che se egli non fosse morto avrebbe aiutato Dante a non smarrirsi. E poi gli torna a profetizzare il già avvenuto, cioè il trattamento vergognoso riservatogli dai fiorentini, di cui non si dà pace proprio perché sa che il suo allievo è di altra caratura morale rispetto ai suoi concittadini, che pertanto non lo meritano. I fiorentini per Brunetto non sono degni di Dante. La risposta del poeta esprime la più profonda tenerezza per il suo prof. Suggestivo il “voi” di Dante a Brunetto, camminandogli sulla testa, ed il “tu” di Brunetto, che cammina ad un livello inferiore, rivolto a Dante.

Se avessi realizzato il mio desiderio voi sareste ancora in vita. Infatti non potrò mai dimenticare la “cara e buona imagine paterna di voi”, quando mi insegnavate “come l’uom s’etterna”. Un vero maestro è chi è capace di insegnare l’umanità, prima, più e accanto alle conoscenze. E tutti devono saperlo, dice Dante. Tutti devono sapere chi è stato Brunetto Latini e che cosa ha rappresentato per Dante. Siamo davanti ad una delle più alte manifestazioni di gratitudine e di devozione che si potrebbero immaginare da allievo a maestro. E avviene in un girone infernale. Nessuna traccia, nell’episodio, di riferimenti al peccato di sodomia. Nessuna deplorazione. Nessun accenno.

Ha senso tutto ciò? E quale può essere il senso? Forse il senso si coglie ripensando a Francesca, o a Farinata, o agli spiriti grandi del Limbo. Forse il senso si intravede nella concezione dell’umanità di Dante Alighieri. Le donne e gli uomini vivono, sentono, sbagliano. Poi muoiono. Il bilancio morale delle loro esistenze può essere fatto solo da Dio e dai suoi rappresentanti se ne sono capaci (e non raramente Dante ne dubita), e lo stesso Dante non ha alcuna voglia di autoesonerarsi dall’aderire al bilancio ufficiale, che colloca taluni nello spazio della condanna, tal’altri nello spazio della correzione ed altri ancora nello spazio della beatitudine. È il Dante teologo morale. A chi parla, oggi, questo Dante? E ancora: avremmo il capolavoro della poesia se Dante fosse solo questo? L’avremmo. Perché Dante è anche questo, e se non fosse anche questo probabilmente la sua grandezza umana e poetica rimarrebbe sminuita. Togli Dante da questo spazio teologico-morale e ti perdi tutta la poesia di cui profumano i suoi incontri.

Brunetto Latini è il suo prof caro e venerato. Di fronte al quale egli sta col “capo chino”, invitando tutti noi lettori a fare altrettanto: “quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo convien che ne la mia lingua si scerna”. Quale lettore oserà, di fronte a questo, dire: sì, ma….? E se anche volesse riempire i puntini dopo il ma, cosa potrebbe dire? Di fronte a quel tipo di “vizio”, c’è ancora oggi qualcuno – sia che lo consideri tale, sia che non lo consideri tale – che potrebbe mettere il segno “meno” a Ser Brunetto? E se Dante parla ancora, a chi parla? Agli studenti che incontrano un grande in classe, con tutta evidenza. Ma sarà un grande a prescindere o un grande nonostante?

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