33Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Tu sei il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te oppure altri te l’hanno detto sul mio conto?». 35Pilato rispose: «Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto?».36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
L’ultima domenica dell’anno liturgico è la celebrazione della regalità di Cristo, una regalità che non segue la logica del mondo. Nel Vangelo di Giovanni il tema della regalità ricorre 12 volte ed è sempre presentato in un contesto di passione e sofferenza: per l’evangelista, infatti, la morte infamante di Gesù è la fonte da cui scaturisce la salvezza e costituisce l’inizio del Regno di Dio. La croce è il trono regale da cui Cristo governa e attira a sé tutto il mondo. Nella pericope odierna i termini “re” e “regno” ricorrono sei volte e, in un climax crescente, permettono lo svelarsi della prospettiva di Dio. Pilato è convinto di avere davanti un miserabile che pensa di poter sconfiggere la potenza romana; il suo interrogatorio pieno di sarcasmo si apre con un “Tu”, proferito da chi pensa di essere in una posizione di netta superiorità. Gesù infatti non solo è stato tradito dalle classi più alte, i sommi sacerdoti, generalmente collaborative con il potere dominante, ma anche dal popolo che avrebbe dovuto sostenerlo.
In questa situazione apparentemente così semplice, Gesù interviene solennemente conducendo Pilato ad un’altra logica, quella del piano di Dio. Il Regno che Cristo viene a inaugurare ha due caratteristiche che vengono illustrare in modo positivo e negativo. Con insistenza Gesù precisa che “il mio regno non è di questo mondo…se il mio regno fosse di questo mondo…il mio regno non è di quaggiù”; questo perché non si fonda su schiavi costretti a combattere per difenderlo, ma è un “regno eterno e universale, regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”. Non è un Regno legato al dominio, al successo, al potere, perché non è legato al presente ma è rivolto al futuro di Dio.
Gesù, inoltre, afferma che egli è venuto nel mondo come re della verità e i sudditi di tale regno sono coloro che accolgono con gioia la verità. Nel vangelo di Giovanni la verità è il Vangelo e il Regno di Dio è la rivelazione della bontà del Padre, la fedeltà di Dio alle sue promesse di salvezza, la persona stessa di Cristo.
Tutte le letture odierne sottolineano che malgrado l’apparente piccolezza di questo Regno esso è eterno e indistruttibile; nella celebre visione messianica del profeta Daniele, il Figlio dell’uomo è rivestito da Dio di “un potere eterno che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto”. Nel salmo 92 viene esaltato il trono divino che “è saldo fin dal principio e che è da sempre”, mentre il testo dell’Apocalisse presenta Cristo Alfa e Omega della storia, “colui che era, che è e che viene”.
Pilato non riesce a comprendere tutta la complessità delle parole di Cristo, per lui Gesù è solo un idealista, che nulla può contro la potenza di Roma; le parole di Cristo rimangono però come una sfida per la coscienza di ogni uomo, perché scardinano le logiche del potere, del successo e della realizzazione e mostrano come la vera regalità consista nell’adesione libera e incondizionata al progetto di Dio nella storia. Il processo a Gesù è in realtà il processo a Pilato e con lui ad ogni uomo che si trova ineludibilmente a dover decidere se scegliere di cedere alla tentazione dell’orgoglio, della falsità, dell’invidia, della sopraffazione oppure la via faticosa della verità e giustizia nella consapevolezza che “chiunque è della verità, ascolti la mia voce!”.
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