Il significato della fede nell’Incarnazione.
Durante il tempo di Natale le nostre strade si affollano di persone che corrono di qua e di là in cerca di regali, e le nostre chiese iniziano ad allestire i presepi.
I fedeli attendono che su quella mangiatoia venga finalmente adagiato il bambino Gesù. La Santa notte di Natale i fedeli tracciano un segno di croce davanti al sacerdote che alza la statua del bambino Gesù.
Ma i nostri amici cristiani, i nostri familiari e i nostri parrocchiani hanno mai riflettuto realmente sulla portata di tale evento per la storia dell’uomo?
Fede e comunità
La riflessione mi è sorta durante questo ultimo tempo di Avvento, quando, durante la celebrazione eucaristica quotidiana, mi è capitato spesso di imbattermi in fedeli così presi dalla solenne celebrazione e dalle formule di fede da non riuscire a voltarsi neppure alle parole del sacerdote “scambiatevi un gesto di pace”.
È emblematico che ciò avvenga all’interno delle nostre Comunità. Questi episodi, seppur certo non particolarmente gravi, rivelano un atteggiamento di fondo completamente contrario all’essere “cristiano”.
Il fatto che la celebrazione eucaristica, emblema in questo caso del rapporto con Dio, possa essere vissuta come un evento di singoli per nulla legati agli altri membri della Comunità, che potrebbero anche non essere presenti, e in alcuni casi, si desidera pure non lo siano perché di intralcio alle preghiere e al culto, mi fa rabbrividire.
Dio e gli altri
Tutto questo spesso denota sicuramente un problema più a monte del singolo momento liturgico: lo sdoppiamento nella vita di fede, per cui il culto a Dio è una cosa, la vita e le persone un’altra.
Sicuramente è questo il caso dei tanti che si emozionano per la nascita del bambino Gesù e che poi si infastidiscono nel vivere la Santa Messa assieme ai fratelli e alle sorelle. Così anche come di coloro che ritengono “problemi di altri” i drammi dei tanti, immigrati e non, che vivono ai margini.
Sarebbe il caso che quanti sentono le altre persone come un fardello, un ostacolo d’inciampo nella propria vita e soprattutto nel proprio percorso di fede riflettano proprio sul Dio al quale congiungono le mani e compitamente sgranano rosari.
Non si può fare esperienza di fede senza passare per il Prossimo
La nascita di Gesù non è stato un evento memorabile perché ha riguardato la nascita di una grande personalità, un grande profeta o uomo ispirato. Tanti ne sono nati e ne nasceranno, e per tutti questi ci rallegreremo; ma la nascita di Gesù ha comportato che Dio, incarnandosi, ha assunto in maniera definitiva la nostra stessa natura.
Attraverso il farsi uomo Dio ha parlato una volta per tutte. “Non esiste infatti qualcosa di più provocatorio del Vangelo, realtà che oltrepassa l’orizzonte terreno e ci rivela la portata dell’incarnazione del Figlio di Dio, punto focale della storia.” (Josip Bozanic).
L’incarnazione ci provoca direttamente perché a partire da questo evento non è possibile più vivere un’autentica esperienza di Dio senza passare per l’uomo, così come non è più possibile vedere l’uomo senza vedervi specchiato il volto di Cristo.
Una fede scandalosamente storica, scandalosamente di carne
Provocazione per quanti vivono la Chiesa come un’esperienza eterea per lo spirito, un’isola sicura su cui rifugiarsi dal disturbo dell’altro che viene a bussare alla porta. Provocazione per tutti coloro che infastiditi dall’arrivo di poveri disperati sulle nostre coste vedono in essi minacce per la sicurezza ed esseri umani di serie B.
Il cristiano, piaccia o non piaccia, deve fare i conti con la storia, non come di una chiave simbolica che si può sostituire, come afferma Benedetto XVI, bensì come fondamento costitutivo per la fede stessa.
È tempo che questo bambino adagiato sulla mangiatoia ci scuota veramente. Papa Francesco parla dell’incarnazione del Verbo come di “scandalo” vero e proprio.
Ed è su questo scandalo e su questo amore scandaloso di Dio per l’uomo che il cristiano gioca la sua vita, anche a costo di attirarsi la persecuzione del mondo, come ci ricordano i martiri.
Quel bambino non è un simbolo per cui a Natale siamo tutti più buoni, ma è l’amore fatto carne, il Verbo fatto carne, come scrive Giovanni, sulla base del quale noi cristiani giochiamo nel mondo la nostra partita.
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