La dispersione scolastica vista con gli occhi di una madre insegnante
di Valentina Chinnici
Primo giorno di scuola, prima elementare.
Emozione, scatti coi cellulari, sguardi indagatori tra mamme. Il mio è prima di tutto quello della madre che vive l’evento con la figlia di sei anni e attraverso di lei, ma ben presto mi rendo conto che la mia ‘pelle’ di insegnante non si scolla mai da quella di genitore, e che il mio occhio un po’ deviato mi fa rilevare alcuni sintomi della peste nera che conosco bene.
Sì, la “nera signora” di cui cantava Vecchioni in Samarcanda si aggira in quest’aula in mezzo a noi, fra quei flash euforici e quei grembiulini ben stirati. Intendiamoci, non si tratta ovviamente della morte fisica da cui scappava invano il soldato fino a Samarcanda, ma della morte scolastica, la dispersione appunto, che striscia e accompagna alunni e insegnanti sin dall’età più tenera.
Guardo quei bambini, tutti vispi e con gli sguardi raggianti, e cerco di collegare i loro volti a quelli dei genitori, non riuscendo a trattenere i presagi tristi, da facile Cassandra. Mi vergogno persino perché mi rendo conto che sto facendo delle equazioni grossolane, degli automatismi degni del peggior Lombroso, eppure la dispersione la sento lì, col fiato sul collo di quei bambini in apparenza uguali agli altri.
Passano le settimane, e in segreto spero di venire disattesa. Ma la nera signora è ancora lì quando organizziamo sulla chat di what’s app i regalini di Natale per i nostri bambini e la nostra timida proposta di regalare qualche libricino viene bocciata da un secco “Hanno già i libri di scuola. Gli bastano quelli” attorno a cui fa quadrato una cospicua cordata di mamme. Ci adeguiamo, per non innescare polemiche e spaccare la classe inutilmente, ma non posso smettere di pensare che la dispersione è accucciata lì, persino sotto l’albero di Natale in cui non c’è nessun libro da spacchettare con trepidazione. E a proposito, quanto sono sterili e moralistici i commenti di chi rileva che “i soldi per i telefonini però ce li hanno!”: come se non fosse proprio questa la patologia, il fatto che molte famiglie non riescono a vedere nei libri e nella cultura una ricchezza, specie di questi tempi in cui studiare sembra non servire a niente, almeno in termini di promozione sociale o di opportunità lavorative.
Ora che sono madre e conosco la fatica di stare dietro ai figli e al lavoro, ogni sera quando le bambine mi chiedono di leggere loro le pagine di un libro, e io spesso, per la stanchezza di ascoltare la mia voce cedo volentieri il compito a mio marito, il pensiero corre alle madri che abitano a pochi metri dalla mia strada, in un quartiere popolare di Palermo. Donne che passano la giornata intera a pulire le case degli altri, per poi tornare a casa la sera a rassettare la propria, a cucinare e a rendere conto spesso a un marito ancora troppo padrone. E mi assale la certezza che la dispersione è lì, in quei quaderni chiusi in uno zaino che nessuno controlla, in quella mattinata a scuola di cui nessuno chiede nulla, in quella fiaba da raccontare che una madre non ha né la forza né la voglia di leggere.
Qualche giorno fa, girando in uno dei tanti plessi del mio Istituto Comprensivo, quello che insiste nella zona più difficile, mi sono imbattuta in uno di questi colleghi, che nel quartiere è un’istituzione: uno di quei Maestri di strada guardato con amore e con rispetto, accolto nella case, dove sa entrare con discrezione e con fermezza, per riprendersi gli alunni più lontani. Con lui sono entrata in sala professori, dove erano esposti in bella mostra manufatti pregevolissimi, frutto di tecniche diverse: portafoto, album, mestoli di legno, quadri e pannelli con materiali di riciclo, un tripudio di colori e di bellezza che mi ha lasciato senza fiato. “Sai – mi ha detto con gli occhi che gli brillavano – li hanno fatti le nostre mamme”. E indicandomi un raccoglitore: “in questi biglietti hanno lasciato i loro sogni, le loro speranze, i loro ricordi di qualche sprazzo di serenità vissuto col marito e coi bambini”. Avevano lavorato pomeriggi interi insieme a lui, che, pur di coinvolgerle ha tenuto accanto i loro piccoli, impegnati anche loro ad allestire colorati cartelloni a fianco alle mamme. Davvero hai fatto tutto questo? E davvero quest’anno vuoi chiedere trasferimento? Abbassa lo sguardo azzurro, che gli si fa imbarazzato e triste. “Sì, è vero, dopo vent’anni sono troppo stanco”, mormora. Vado via, col cuore pieno di emozioni, di orgoglio forte per questo collega, di idee sconnesse per valorizzare quello che ha fatto. E ancora una volta, pensando a un grande professionista che forse lascerà la Sua Scuola, vedo la nera signora che incassa un’altra delle sue tristi vittorie. Allora penso che ci vorrebbe un coraggio enorme, non solo degli insegnanti ma dell’intera ‘società civile’, per ripensare una Scuola a misura di Tutti i bambini, per supportare queste famiglie devastate dalla stanchezza, dalla mancanza di serenità economica, e sovente anche dalla violenza.
Non parlo di soldi soltanto. Se la scuola è ancora “quell’assurdo sciupìo organizzato di uomini e donne”, come denunciava anni fa Françoise Dolto, più che di sporadici e frammentari interventi esterni, serve un progetto unitario di scuola, fortemente voluto dalle istituzioni, che rafforzi il lavoro prezioso di docenti e dirigenti profondamente radicati nel territorio, che conoscono a fondo le famiglie e le dinamiche del quartiere. Questi stessi docenti che spesso finiscono svuotati di ogni energia e frustrati per i risultati limitati che sembrano raggiungere a fronte di uno sforzo talvolta eroico. Gli insegnanti come il mio collega lo sanno bene, perché i migliori colpi contro la signora nera li hanno già assestati quando la scuola ha messo insieme, con straordinaria fatica e professionalità, un sistema integrato di istruzione che ha visto collaborare fianco a fianco istituzioni e associazioni.
La dispersione al Sud è ancora un’emergenza sociale inaudita e la società nel suo complesso deve finalmente farsene carico con un piano straordinario che non lasci nulla al caso. E che non lasci soprattutto gli insegnanti di tutte le nostre periferie a duellare come eroi solitari contro la nera signora.
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