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La ricerca della felicità: le beatitudini – Lectio Divina su Lc 6, 17, 20-26

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Il brano del Vangelo: Lc 6, 17. 20-26

17Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, […]

20Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:

«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
24Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.»

Affidarsi o contare su di sé

La liturgia odierna accosta il celebre brano delle beatitudini nella versione lucana con il testo di Geremia (17,5-8), fornendone così la chiave interpretativa.
Nel testo di Geremia sono presentate due realtà contrapposte: la sorte di chi si affida al Signore e quella di chi confida solo in sé stesso e nelle proprie ricchezze, senza rendersi conto delle proprie fragilità.
Solo affidandosi al Signore è possibile, anche nei momenti di difficoltà, portare frutto. A differenza di Matteo (5, 2-12), Luca colloca le beatitudini nel racconto di scelta del Maestro, dopo essersi ritirato in preghiera durante la notte, di dodici apostoli nel gruppo dei discepoli (6,12-15).

Il rovesciamento dei criteri mondani

Nel racconto lucano le beatitudini sono rivolte ai discepoli e a una grande folla, proveniente anche dalle zone pagane di Tiro e Sidone, e descrivono lo stato in cui essi si trovano: sono poveri, affamati, piangenti, odiati e perseguitati.
Nelle beatitudini Gesù compie una proclamazione messianica, segno di un capovolgimento dei criteri mondani che guarda alla realtà a partire dalla scala dei valori di Dio.
L’uomo che vive le beatitudini, che vive cioè a partire da Dio, rende presente le promosse escatologiche.

Un Dio vicino agli afflitti

In filigrana il riferimento è al testo di Isaia 61, citato da Gesù nella sinagoga di Nazareth in cui il profeta descriveva i tempi messianici come il momento in cui Dio si sarebbe preso cura dei poveri, affamati, perseguitati, affamati, inutili.
Gesù proclama che queste beatitudini non riguardano le realtà future ma il presente, perché il Regno di Dio in lui si fa presente. I poveri sono proclamati beati non in quanto tali, ma perché, a motivo della loro condizione, sono oggetto privilegiato dell’amore e della benevolenza di Dio. Gesù stesso vive le beatitudini.
Luca riporta quattro beatitudini: i poveri, coloro che piangono, gli affamati e i perseguitati.
I poveri non sono solo coloro che sono privi di mezzi, ma è la descrizione di chi si trova a sperimentare l’essere marginalizzato, rifiutato.
Gli affamati e coloro che piangono vivono anch’essi la povertà, mentre i perseguitati rappresentano i discepoli, che scegliendo di seguire Gesù, ne condividono il destino di persecuzione e povertà.

Beatitudini e avvertimenti

In Luca alle quattro beatitudini corrispondono quattro invettive: è lo stesso schema di Geremia 17 e del Salmo 1 che mira a mostrare all’uomo il pericolo insito nell’imboccare altre strade, lontane da quelle segnate da Dio, legate al provvisorio, all’apparenza, all’avere.
Le invettive non sono condanne ma avvertimento per condurre alla salvezza e sono rivolte a coloro che sono ricchi, ai sazi, a coloro che ridono e ai superbi; poiché essi hanno già oggi riscosso il loro credito, non potranno rivendicare più nulla.
Le beatitudini non sono una rivendicazione politica, ma religiosa: poiché sono amati da Dio e appartengono al Regno, sono radicalmente ingiuste le condizioni di emarginazione e ingiustizia in cui vivono i poveri.

La povertà del discepolo

Gesù invita ad amare i poveri e schierarsi in loro difesa perché, come sono importanti agli occhi di Dio, così devono contare presso di noi; ma questo non basta, Gesù ci invita a farci poveri.
Nel Vangelo la povertà è presentata sotto due forme: una, estranea al piano di Dio, frutto del peccato che genera oppressione, ingiustizia, miseria ed egoismo; ma c’è anche la povertà del discepolo, che siamo chiamati a vivere e ricercare, che consiste nel confidare in Dio, abbandonandoci fiduciosamente in Lui, e nel renderci disponibile all’amore e alla condivisione, alla giustizia e alla fraternità, vivendo concretamente la solidarietà con i poveri.

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