La scomparsa di Virgilio ed il ritorno di Beatrice
Dopo il testamento spirituale di Virgilio, Dante entra nel giardino dell’Eden, e gode della sua bellezza. Una donna, di nome Matelda, lo accoglie in uno scenario idillico di pace. Successivamente al poeta si offre la visione di una processione dal significato allegorico, che rappresenta la chiesa e le virtù cardinali e teologali, in un clima di festa e di lode a Dio.
È ciò che prepara il ritorno di Beatrice, che compare maestosamente in una nuvola di fiori. Dante avverte l’occulta virtù d’amore che proviene dalla donna amata per tutta la vita e morta dieci anni prima di questo momento solenne. Istintivamente, come sempre quando l’emozione lo travolge, si rivolge a Virgilio,
Ma Virgilio n’avea lasciati scemi
di sé, Virgilio dolcissimo patre,
Virgilio a cui per mia salute die’mi;
Virgilio è scomparso definitivamente. La sua missione è compiuta. Segue il pianto amaro di Dante, senza che Beatrice possa o voglia consolarlo:
«Dante, perché Virgilio se ne vada,
non pianger anco, non piangere ancora;
ché pianger ti conven per altra spada».
Il rimprovero di Beatrice
Dante (in tutta la Commedia soltanto qui viene detto il nome di Dante, e l’autore quasi se ne scusa più avanti), non piangere perché Virgilio se ne va, poiché un’altra spada ti farà piangere. Il volto di Beatrice è severo, e la donna che rappresenterà la sua guida nel Paradiso si prepara a sferrare il suo aspro rimprovero: “Come degnasti d’accedere al monte?”.
Gli angeli intercedono per Dante, già gravato dalla vergogna, e cantano un salmo che commuove il poeta e lo predispone a quanto Beatrice sta per dirgli.
In realtà Beatrice farà un lungo discorso che prenderà i canti 30 e 31. Nel canto 30 parlerà di Dante agli angeli, mentre nel canto 31 si rivolgerà direttamente a lui. È il momento supremo della purificazione, che passa attraverso l’umiliazione e il pentimento.
Attraverso Beatrice Dante processa se stesso, la sua vita, le sue scelte, tutto quel che ha determinato la perdita della “diritta via”. Per ragioni di spazio sarò molto sintetico sul contenuto della requisitoria di Beatrice. Per concentrarmi poi sul possibile attuale significato di tutto questo.
Alcun tempo il sostenni col mio volto:
mostrando li occhi giovanetti a lui,
meco il menava in dritta parte vòlto.Sì tosto come in su la soglia fui
di mia seconda etade e mutai vita,
questi si tolse a me, e diessi altrui.Quando di carne a spirto era salita,
e bellezza e virtù cresciuta m’era,
fu’ io a lui men cara e men gradita;e volse i passi suoi per via non vera,
imagini di ben seguendo false,
che nulla promession rendono intera.Né l’impetrare ispirazion mi valse,
con le quali e in sogno e altrimenti
lo rivocai: sì poco a lui ne calse!Tanto giù cadde, che tutti argomenti
a la salute sua eran già corti,
fuor che mostrarli le perdute genti.Per questo visitai l’uscio d’i morti,
e a colui che l’ha qua sù condotto,
li preghi miei, piangendo, furon porti.
La memoria del traviamento
Fin dalla giovinezza si poteva constatare come Dante avesse qualità non comuni. Beatrice, finché fu in vita, lo incoraggiò a valorizzare tali qualità, ma alla sua morte Dante traviò, seguì altri percorsi. Nulla poté riuscire a porre rimedio a questo traviamento, finché la donna si decise a pregare Virgilio affinché lo guidasse tra la perduta gente. È la ricostruzione dell’antefatto del primo canto dell’Inferno.
Poi Beatrice si rivolge a Dante e lo apostrofa duramente invitandolo a confessare le sue colpe.
«dì, dì se questo è vero; a tanta accusa
tua confession conviene esser congiunta».
I falsi piaceri del mondo
Nel canto 31 Beatrice è decisamente diretta ed esplicita: se ti ho guidato ad amare il bene, che cosa ti ha spinto ad andare in un’altra direzione? Dante è costretto a parlare, e con profonda vergogna ammette:
Piangendo dissi: «Le presenti cose
col falso lor piacer volser miei passi,
tosto che ‘l vostro viso si nascose».
Le cose del mondo con la loro falsa attrattiva hanno guidato i miei passi da quando il vostro viso scomparve. Questo è quanto Dante ha da dire su se stesso e sulle sue scelte.
Le lacrime che purificano
Ma cerchiamo di comprendere l’operazione compiuta dall’autore. Dante, si diceva, ha processato se stesso. Tutta la Commedia è scritta sotto il segno dell’amore, perché tutto è determinato dall’amore di Dio che si è servito dell’amore di Beatrice per ricollocare Dante nello spazio dell’armonia e della pienezza.
Ma questo passaggio doloroso è necessario, almeno quanto lo fu il dover percorrere le vie del male e del dolore. La ragione, impersonata da Virgilio, suggerisce di non prendere scorciatoie verso la virtù. È necessario confrontarsi con tutta la fragilità umana per conoscere se stessi.
Ma non bastò. Questo passaggio doloroso, proprio al cuore del paradiso terrestre, avverte tutti dell’impossibilità di entrare in contatto con se stessi senza la piena consapevolezza del proprio fallimento.
Questo, Dante ci consegna. Il suo fallimento è davanti a colei che non ha mai smesso di amarlo, e soltanto dal tribunale dell’amore le è possibile scagliare gli strali del rimprovero.
Questi sono i canti delle lacrime purificatrici. Si può piangere per la disperazione o per la purificazione. Qui Dante piange su se stesso, con quel pianto che preannuncia la riconquista dell’innocenza serena perduta. Sarà il tema del Paradiso.
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