Allarme fascismo… Rientrato
Ora che Salvini, in un ribaltamento totale e improvviso, rischia di passare da potenziale premier di un nuovo governo all’opposizione di un governo Conte-bis, qualche domanda possiamo farcela.
Innanzitutto ci si dovrebbe chiedere come mai, in un clima di diffuso allarmismo che ha rievocato il rischio di un ritorno del fascismo, sia bastato, per far rientrare l’allarme, un semplice gesto di un premier finora ritenuto “insignificante” e “subalterno” come Conte.
Se davvero il nostro paese era ormai avviato a diventare uno strumento nella mani del leader leghista, e se davvero costui avrebbe già in parte, in spregio alle istituzioni, preso “pieni poteri”, non si spiegherebbe la facilità con cui lo si sta per trasformare, da imminente dittatore, in semplice leader di un partito all’opposizione.
Una dimostrazione, lampante, che Salvini non ha affatto quel potere che gli si rimprovera di essersi attribuito, e che le nostre istituzioni non sono così fragili da entrare in crisi solo per la prepotenza individuale di un singolo personaggio, per quanto votato dalla gente.
I grillini: onestà o incompetenza?
La “gente”, appunto. Vale la pena fermarsi un momento, e provare a riflettere sullo scenario che si va profilando, concentrandoci soprattutto sulle tre principali forze in campo e sui loro complessi rapporti: il Movimento 5 stelle, la Lega e il Pd.
Il Movimento di Grillo, com’è risaputo, ha basato il proprio successo sul malcontento popolare rispetto alla vecchia politica. Non ha mai avuto, come i partiti tradizionali, una visione organica e strutturata del bene comune.
La sua forza, essenzialmente, è (stata) la debolezza altrui, e dunque l’insofferenza popolare nei confronti della mala politica nostrana. Essendo trasversale rispetto alle diverse opinioni politiche della gente, questa insofferenza è diventata un collante elettorale formidabile.
Composto essenzialmente da gente comune, presumibilmente “pulita” rispetto ai politici di professione, i grillini hanno cercato di coprire l’incompetenza politica dei propri uomini con la bandiera della loro onesta’ morale.
In un articolo da leggere, il filosofo Neri Pollastri spiega perché, a suo dire, siano state proprio queste caratteristiche del Movimento 5 Stelle a favorire involontariamente l’ascesa della Lega.
I 5 stelle hanno (avuto) successo perché la loro è una politica di opposizione, la cui forza è direttamente proporzionale alla debolezza di chi governa. Più precisamente, secondo Pollastri, 5 stelle vive finché il popolo che lo sostiene non ottiene risposte dalla politica.
Una volta, però, che un simile movimento presta il proprio successo elettorale a una Lega che ne ha ottenuto di meno, e una volta che al governo la stessa Lega, con maggior competenza di quanto non faccia il Movimento stesso, comincia a darle davvero delle risposte, per quanto discutibili, ecco che il Movimento si sfalda.
La parte di scontenti di destra, che si era unita agli scontenti di sinistra in nome del comune malcontento, torna a casa propria (FI, Lega stessa e FI). Gli scontenti di sinistra, temendo che prevalgano quelli di destra, tornano al PD. Ed ecco configurato lo scenario attuale.
Sorgono a questo punto delle domande. Perché la gente si fa attrarre sia dalla “genericità” della denuncia globale della classe politica sia dalla “concretezza” delle sue risposte parziali? Perché ci sono persone disposte a chiudere un occhio sull’incompetenza di un politico ma non sulla sua disonestà, o viceversa, benché più raramente, ci sono persone che oggi rimpiangono la corruzione “intellettualmente raffinata” di un Bettino Craxi?
Populismo buono e cattivo
Evidentemente tutto ciò accade perché il “populismo”, come sostiene il filosofo argentino Ernesto Laclau, non è, di per sé, sbagliato.
Il popolo, il tanto famigerato popolo, chiede infatti alla politica e ai suoi leader ciò che già Platone teorizzava come connaturato al buon governo: competenza tecnica (per dare risposte che siano “efficaci”) e saggezza morale (per dare risposte che siano “giuste”, o comunque non troppo distanti da quelle che anche l’opposizione riterrebbe “giuste”).
Quando perciò si dice, assumendolo nella sua accezione negativa, che il “populismo” è demagogico, perché promette “soluzioni semplici” per problemi che in realtà sono “complessi”, ci si riferisce a ciò che, in positivo, è l’efficacia delle risposte politiche, magari a fronte di chi, definendo “complessi” i problemi, sta solo cercando di giustificare la propria incapacità di risolverli.
E se, tornando a Platone, la competenza tecnica e l’efficacia rinviano a strutture, a burocrazia e a istituzioni impersonali, la saggezza morale non può che riguardare singole persone.
Anche un singolo leader, perché no, il cui contatto diretto con la gente (criticato da chi diffida del cattivo populismo) può bilanciare quei tratti impersonali e burocratici della politica che, benché necessari, finiscono talvolta per esonerare i singoli politici dal metterci la faccia.
Il buon governo: Pd, 5 stelle o Lega?
Provo un’applicazione allo scenario attuale, consapevole del fatto che ciò che dovrebbe idealmente trovarsi unito in una sola proposta politica si trova distribuito su più attori. E forse non è un male, per il pluralismo e per la democrazia.
Salvini sta dando risposte “efficaci”. Ma le sta anche dando “giuste”, o, comunque, non troppo distanti da quelle che anche l’opposizione riterrebbe “giuste”?
I grillini sono in grado di bilanciare il loro analfabetismo politico con la loro onestà? E in cosa, soprattutto, questa esibita onesta’ si distinguerebbe dalla “patente di moralità” che certa sinistra si è auto-attribuita soprattutto durante e dopo l’era Berlusconi?
E il PD, la cui provenienza “socialdemocratica” sarebbe, in teoria, un potenziale candidato per rappresentare unitamente le esigenze di “competenza” politica e di “giustizia” morale richieste, non è forse in palese difetto di “efficacia”? O, come dimostrano le oscillazioni di leadership Renzi-Zingaretti, in evidente crisi di identità, se non già, peggio ancora, una destra travestita da sinistra e, dunque, una destra debole che crede di essere una sinistra forte, magari solo perché “forte” è il suo nemico di destra?
L’elettorato “ignorante” e quello… “colto”
Al di là delle opinioni che ciascuno può avere, sta diventando di sempre più vitale importanza, per orientarsi in questo italico caos, una piccola filosofia politica, e cioè una riflessione sul “buon governo” e sui rapporti fra la politica e la gente.
Senza però la pretesa che mettersi a studiare, in questo ambito, debba condurre necessariamente gli altri a pensarla come noi, gli “studiosi” per definizione, e contro l’elettorato di centro-destra o 5 stelle, altrettanto per definizione “ignorante”.
E in effetti questa pretesa si registra soprattutto presso l’elettorato del PD. Che però, in questo, finisce per adottare una visione impropriamente “gnostica” e “manichea”, come se in politica ci fosse una sola “verità”, conosciuta la quale gli uomini passerebbero dal buio dell’ignoranza e dell’ingiustizia, alla luce della verità e della giustizia.
Chi dovesse pensarla così, lo sappia, commetterebbe lo stesso errore che rimprovera ai propri avversari: se i grillini pretendono consenso in quanto “onesti” anche se incompetenti, e i leghisti in quanto “concreti” benché “cinici”, il PD lo pretenderebbe in quanto “colto” anche se democristianamente “inconcludente”.
Democrazia e pluralismo
Come diceva Popper, in democrazia, a parte le stesse regole del gioco, non c’è mai una sola verità risolutiva, ma sempre la fatica di un confronto in cui, di volta in volta, provvisoriamente e nella stragrande maggioranza dei casi, occorre far prevalere una soluzione non tanto “giusta” – ogni tanto succede, certo – quanto “ragionevole”, ossia accettabile anche da chi non la condivide (un po’ come il divieto di fumare nei luoghi pubblici chiusi, divieto che anche il fumatore, che pure non lo condivide, considera ragionevole accettare).
Se è così, allora bisognerebbe limitare davvero al minimo le accuse di violazione del patto democratico, e imparare la virtù della tolleranza, che non è né resa né complicità con l’avversario, ma riconoscimento che in democrazia anche l’avversario ha, come lo abbiamo noi, il diritto di battersi per le soluzioni che ritiene migliori. A noi il compito di dimostrare che non lo sono affatto, e che l’alternativa che proponiamo è preferibile in se stessa, e non solo come strategia di denigrazione di quelle altrui.
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