Ancora confusione fra “democrazia diretta” e “democrazia parlamentare”.
Per formare un nuovo governo, il Movimento 5 Stelle subordina il proprio accordo con il PD all’ok dei propri iscritti sulla piattaforma Rousseau.
Mattarella nomini dunque il governo voluto da chi, essendo iscritto al movimento di Grillo, esprimerà la propria preferenza online.
Ora, si può capire la rabbia nei confronti della vecchia classe dirigente e l’anti-politica diffusa, ma così gettiamo via con l’acqua sporca anche il bambino, stravolgendo i meccanismi della repubblica democratica parlamentare, in cui a nominare il governo non è direttamente il popolo (che qui non sarebbe nemmeno il popolo, ma solo una parte degli elettori dei 5 Stelle), ma il presidente della Repubblica sulla base di un accordo parlamentare di maggioranza.
L’esclusione del vincolo di mandato
Per non parlare dell’art. 67 Cost., che esclude il “vincolo di mandato”: i parlamentari eletti non sono obbligati a fare soltanto, e a testa bassa, tutto ciò che vogliono i loro rispettivi elettori.
Una volta eletti, essi rappresentano l’intera nazione, e devono ragionare in termini di “bene comune”.
Certo, portando in parlamento il programma in virtù del quale la gente li ha votati, ma senza diventare le ”marionette” del proprio elettorato, peggio ancora se in base ai sondaggi dell’ultima ora. Siamo in democrazia, non in demagogia.
E l’abuso di potere tradizionalmente esercitato dalla classe politica, anche approfittando dell’assenza di vincolo di mandato (vedi il “trasformismo”) non elimina la possibilità di un suo buon uso.
Ormai è chiaro. In questa particolare contingenza storica non riusciamo a essere ciò che dovremmo: un popolo sovrano, sì, ma “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
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